Sul muro della prigione di Francoforte-Preungesheim, dov’ era la ghigliottina, il luogo di esecuzione di più di cento antifascisti, c’è una targa con una frase della scrittrice antifascista Ricarda Huch:
“Voi che avete dato la vita per la libertà e l’onore del popolo –
il popolo non insorse –
per salvarvi vita e libertà”
Venerdì Santo 1939
Leo Schäfer bussa alla porta di Heinrich Carlebach in un condominio popolare nel quartiere Rödelheim di Francoforte sul Meno. “Heinrich”
“Leo! -Sì, ma da dove vieni?… Entra!…”
Dentro: “Qualcuno ti ha visto?”
Leo: “Non credo”
E secondo la vecchia regola cospirativa, Heinrich, un assistente di laboratorio presso IG Farben[1] (da tutti chiamata “Hoechst”), accende a alto volume la radio, da cui tuona la marcia di Badenweiler, la preferita di Hitler.
Heinrich: “Non si sa mai!” E poi: “Leo Schäfer, da dove vieni?… Quando è stata l’ultima volta – nel ‘33?… Pensavo fossi in Francia”.
Leo: “Compagno Heinrich, ora mi chiamo Erich Regler… Sì, vengo anche dalla Francia…”
Heinrich: “Dai, siediti, bevi qualcosa, mangiamo qualcosa. C’ è anche sidro”.
Leo: “Non l’ho bevuto da molto tempo”.
Heinrich: “Raccontami tutto dall’inizio.”
Leo: “Beh, come sai, i nazisti avevano dato la caccia a tutti quelli di sinistra e soprattutto ai comunisti nei primi giorni del febbraio del ‘33, anche qui a Francoforte. Il nostro partito non era preparato. Ma noi credevamo, se ti ricordi, qui alla Hoechst, di essere ancora abbastanza al sicuro. Ma quando hanno arrestato il nostro presidente distrettuale del KPD[2], Kuntz, dopo l’incendio del Reichstag ed il presidente del consiglio di fabbrica, io membro RGO[3] del consiglio di fabbrica ero in grande pericolo. Sarei stato uno dei prossimi. Avevamo già concordato con il distretto del KPD in una riunione della cellula aziendale[4], che sarei scomparso.
Così mi sono trasferito nella regione della Saar[5]. Lì ho trovato un buon lavoro a Völklingen; ero attivo con i compagni del KPD e abbiamo fatto molta propaganda contro “l’Anschluss”[6]. Quando abbiamo straperso il referendum nel gennaio del ‘35, sono scappato con altri in Francia, in Lorena, cioè a Metz. La maggior parte dei compagni tedeschi però è andata a Parigi. Con l’aiuto dei miei compagni francesi ho trovato un lavoro. Abbiamo formato una cellula con altri compagni che erano fuggiti e portato, tra l’altro. clandestinamente materiale politico nella Saar, sopratutto a Völklingen. Conosco la regione di confine come il palmo della mia mano ormai.
Quando poi abbiamo saputo del colpo di stato di Franco in Spagna nel luglio del ‘36, mi sono offerto volontario assieme ad altri tedeschi e francesi. Siamo arrivati in Spagna, a settembre per la formazione della brigata internazionale. Ho combattuto su più fronti e sono stato ferito nella battaglia di Guadalajara.
Nel ’38 ero sull’Ebro. Alla fine ho partecipato alla sfilata di addio delle brigate internazionali a Barcellona lo scorso ottobre. Negrin[7], questo stronzo, pensava che ritirando gli stranieri (non eravamo stranieri, ma fratelli per la popolazione e tutta Barcellona piangeva durante il nostro addio), poteva “rallentare” i fascisti italiani e tedeschi. Ma nonostante l’aiuto sovietico, loro erano di gran lunga superiori a noi come armamenti. E i francesi ci hanno piantato in asso…”
Heinrich: “Ma com’era lì? Qui è trapelato che avete combattuto contro gli altri di sinistra, il POUM[8] e gli anarchici”
Leo: “Noi no, noi eravamo al fronte. Ma per i delegati del Comintern e per i commissari politici ad Albacete[9] erano nemici mortali e li perseguitavano come trotskisti e traditori… Per me un grosso errore. All’inizio avevamo a che fare con il POUM, erano buoni compagni. Ma non lo devi dire ad alta voce, altrimenti…”
Heinrich: “Hai saputo dei processi a Mosca?”
Leo: “Sì, è trapelata la notizia. E ad alcuni era stato ordinato di tornare a Mosca e non sono più tornati… Questo ha fatto dubitare della causa comune e ci sono state anche discussioni. Per questi eventi e per la persecuzione dei trotskisti e degli anarchici alcuni compagni si sono allontanati dal partito. Questi dissidenti – adesso soli – avevano una posizione particolarmente difficile nel campo in Francia, ma ora sto anticipando la mia storia…
Ma dimmi, com’è ti è andata?”
Heinrich: “Be’, nel ‘33, come sai, ero solo un semplice compagno e mantenevo un profilo basso, così non mi succedeva nulla. Tutti noi del partito abbiamo aspettato nei primi mesi dopo la “presa del potere” dei nazisti la “situazione rivoluzionaria” e l’opposizione delle masse. Nessuno si aspettava una persecuzione così brutale e immediata. Devo dire che fino al ‘33 eravamo tutti troppo ingenui e abbiamo sottovalutato i nazisti. Quanti compagni sono stati subito perseguitati dalle SA!… E i sindacati tradizionali non erano pronti per uno sciopero generale, e il nostro partito non era preparato. Era organizzato in modo troppo centralistico e burocratico per lavorare in modo efficace e cospirativo in clandestinità. Per i partiti più piccoli come la SAP[10] è stato più facile. Inoltre, la direzione della SPD[11], che si chiamava SOPADE dopo l’emigrazione della direzione del partito a Praga, si rifiutò di collaborare con noi. A causa della nostra “politica socialfascista” fino al ‘33, non c’era da meravigliarsi.
Molti compagni, così come i membri di SAP e SPD, sono stati poi arrestati, la direzione distrettuale e del sottodistretto del nostro partito fu immediatamente decimata. Il fronte unito contro i nazisti era assolutamente necessario. Ma c’erano ancora azioni individuali e di gruppo nei quartieri popolari, come distribuire volantini e scrivere slogan sui muri, anche alla Hoechst. C’erano ancora altre cellule aziendali e di quartiere; il Soccorso rosso[12] funzionava ancora per anni.
La cosa curiosa è che il distretto regionale del nostro partito aveva firmato un accordo di fronte unico alla fine del ‘34, ma il Politburo lo ha tacciato di opportunismo. Furono commessi grossi errori, ma più tardi il Comitato Centrale decise ufficialmente per la politica del Fronte Popolare.
Nel 1935 ci furono di nuovo proteste, anche insieme a socialdemocratici e sindacalisti di ispirazione cristiana e sia nelle fabbriche che nei quartieri popolari. Anche qui a Rödelheim e così sono stato arrestato. Ma non vi avevo preso parte e poiché non avevano niente di concreto contro di me, sono stato rilasciato. Poi più o meno ne sono tenuto fuori dalle attività. Ma molti dei nostri compagni sono stati arrestati, torturati e mandati nei campi di concentramento. E questo fino ad oggi. Alcuni dei compagni più noti furono decapitati nella prigione di Preungesheim.
Non sono più attivista, ma so che ci sono ancora cellule nelle fabbriche e ci sono compagni che ora si incontrano camuffati in associazioni di giardinieri o di apicoltori. Nei quartieri popolari c’erano anche azioni congiunte con i socialdemocratici dopo il ‘35, perché allora anche il KPD era ufficialmente favorevole al fronte popolare. Però dopo il ‘36 è diventato sempre più difficile, perché ora ti fanno per poco un processo per “preparazione di alto tradimento”. Nonostante ciò, si dice che centinaia di persone siano ancora attive contro i nazisti a Francoforte, dai comunisti ai cristiani, e se danno solo rifugio a chi è ricercato”.
Leo: “Come tu adesso”.
Heinrich: “Però i nazisti sono saldamente in sella. L’umore della popolazione non è buono e anche l’offerta di cibo è limitata. Ma la gente è diventata apatica, anche se tutti sanno che ci sarà la guerra, soprattutto ora dopo l’occupazione del resto della Repubblica Ceca… Le potenze occidentali lasciano che Hitler faccia ciò che vuole”.
Leo: “E perché non ti hanno ancora arruolato?”
Heinrich: “Come sai, siamo un’azienda importante nello sforzo bellico. E la IG Farben ha ancora bisogno di alcuni assistenti di laboratorio… E poi che ne è stato di te?”
Leo: “Be’, abbiamo attraversato il confine francese all’inizio di novembre ’38, lì siamo stati disarmati e lì abbiamo visto il peggio: il governo del cosiddetto Daladier radicale ci ha trattato come criminali. Ci hanno messi in campi di internamento, molti nei Pirenei e altri come me da qualche parte del Mediterraneo, al campo di internamento ancora da costruire: Argelès-sur-Mer. All’inizio non c’era niente. Abbiamo dovuto scavare buche in spiaggia e poi provare a costruire capanne con del materiale di recupero. Filo spinato all’esterno, e se qualcuno si avvicinava troppo, le guardie, per lo più algerini, sparavano. Non c’era niente da mangiare per giorni.
Il comandante francese era un porco, un vero fascista. Sapessi come ha trattato uno di noi, che dopotutto era un maggiore dell’esercito spagnolo! Poi le condizioni sanitarie: le malattie sono diventate dilaganti. Uno dei nostri compagni, che è stato in precedenza in un campo di concentramento tedesco, ha detto: ma che campo di internamento, è quasi come un campo di concentramento.
Era chiaro che non potevo stare lì e la mia conoscenza del francese era un vantaggio. A gennaio ho tratto in inganno le guardie algerine e noi, in dieci, siamo scappati in direzione est.
Siamo dovuti stare estremamente attenti lungo la strada e ci siamo diretti a Marsiglia. Avevamo già sentito nel campo che c’erano molti emigranti tedeschi e antifascisti ad Aix e a Marsiglia che speravano in una nave per oltremare. Sapevamo anche che a Marsiglia c’erano comitati internazionali di soccorso. Così, siamo arrivati a Marsiglia e abbiamo trovato rifugio con l’aiuto dei compagni francesi.”
Heinrich: “Volevi partire con la nave?”
Leo: “Avremmo potuto ottenere un visto per il Messico, ma per questo paese non c’era una nave diretta. Il problema era il visto di transito. Si può capire che gli USA, ad esempio, non fossero proprio propensi a rilasciarlo a un combattente della “Spagna Rossa”. E cosa avrei potuto fare in Messico?… Coloro che ce l’hanno fatta sono stati principalmente persone VIP, soprattutto intellettuali tedeschi, artisti, ebrei, politici, nonché alcuni noti compagni.
Ma razzie ogni giorno, bisognava stare attentissimi: era quasi insopportabile. Coloro che sono stati catturati sono stati mandati in prigione o immediatamente in un campo di internamento o di lavoro.
Così un giorno mi sono recato a nord con un ex legionario straniero tedesco. A Lione ci hanno arrestati, ma siamo riusciti a scappare. Mi diressi poi a Metz, dove trovai nuovamente alloggio presso i compagni francesi. Ma volevo tornare a casa…”
Heinrich: “Sei matto, non lo sai che i combattenti della Spagna Rossa vanno dritti al campo di concentramento, qui? E i ricercati come te potrebbero anche far conoscenza con la ghigliottina a Preungesheim!… E cosa dice il partito a riguardo?”
Leo: “Il partito ci ha praticamente proibito di tornare nel Reich. Ma io sono consapevole del rischio. È così: accade che una foglia fa ritorno sull’albero nel vento autunnale. Forse è lo stesso per me. Voglio rivedere i miei genitori… E poi voglio mettermi a disposizione del partito”.
Heinrich: “E come sei arrivato qui?”
Leo: “A Metz mi sono riposato un po’ da compagni francesi che conoscevo da prima. Ma senza documenti era ancora pericoloso. A proposito, ci sono alcuni compagni tedeschi ancora a Metz… Poi ho deciso di dirigermi prima nella regione della Saar, a Völklingen, dove ero nel ‘34. Conosco ancora ogni sentiero del confine. Ma ovviamente dovevi stare molto attento… Un compagno a Völklingen mi ha dato rifugio. Lì sia alcune cellule aziendali che quelle di quartiere sono ancora clandestinamente intatte. Ma quando i compagni hanno scoperto che volevo tornare a casa e senza documenti, ovviamente me l’hanno fortemente sconsigliato. Il caso è venuto in mio aiuto: il nipote di un compagno che aveva circa la mia età ha avuto un incidente mortale nella miniera. C’è una foto più vecchia sul documento d’identità, così posso farla franca. E parlo il dialetto della Saar. Poi è stato facile venire qui e ci ho provato con te come vecchio amico e compagno e perché non eri così esposto… ”
Heinrich: “È giusto… puoi restare quanto vuoi. Dobbiamo solo stare attenti. Non mi fido di tutti dei miei vicini… Per esempio, un compagno ha cambiato casacca.”
Leo: “Non preoccuparti, domani mattina parto per vedere i miei nella Bassa Franconia. E conosco ancora la regola: evitate la stazione centrale dei treni…”
Heinrich: “Come vuoi… Hai abbastanza soldi?”
Leo: “Basteranno…”
Heinrich gli passa un biglietto.
Leo: “Grazie.”
Heinrich: “E cosa vuoi fare dopo aver visto i tuoi?”
Leo: “Mi metterò a disposizione del partito, probabilmente ancora come pendolare transfrontaliero clandestino dalla Francia alla Saar”.
Heinrich: “Si è fatto tardi. Ti preparo una branda.”
Leo: “Grazie, grazie di tutto, Heinrich.”
La sera successiva, è il Sabato Santo, Leo entra nella piccola casa paterna nel vicolo della scuola a Obersinn, un paesello al confine regionale con l’Assia. La porta d’ingresso è aperta come sempre.
“Leo!” grida suo padre; sua madre e sua sorella entrano dalla stanza accanto e lo abbracciano.
Suo padre Johann: “Qualcuno ti ha visto?”
Leo: “Non credo”.
La madre: “Siediti e mangia prima qualcosa: c’è sformato di patate e ho ancora del formaggio e il buon pane del contadino… C’è anche abbastanza sidro”.
Dopo che Leo ha mangiato e bevuto, il padre dice: “Ora raccontaci”.
Ma ovviamente Leo non racconta tutto.
Quando la madre esce dalla cucina per preparargli un letto, il padre dice: “Leo, lo so che sei contro la chiesa, ma fai un favore a tua madre e vieni a messa con me domani mattina”.
Leo: “Va bene, papà, lo farò.”
E più tardi, per precauzione, chiude la porta d’ingresso a chiave.
La mattina dopo lui e suo padre vanno in chiesa. La gente guarda a bocca aperta Leo.
Quando tornano a casa, la madre dice: “Tra mezz’ora ci sarà il pranzo: ho cucinato il tuo piatto preferito: gnocchi e salsa bianca. E manderò Paula all’osteria per prendere un boccale della birra locale che ti piace tanto».
Leo: “È fantastico! Grazie”.
Quando Paula torna, Leo chiude la porta d’ingresso a chiave: “Meglio esser sicuri”.
A pranzo: “Li hai visti sbalorditi in chiesa? E l’uomo delle SA, quello all’uscita del paese, mi guardò molto arrabbiato. E gli altri, ipocriti e nazisti, che andavano alla comunione…?”
Il padre: “Lascia stare, molti sono solo gregari. E un altro membro della SA, un poveraccio, ha aderito solo per via della divisa, così che la domenica non ha bisogno di un vestito… Ma prima mangia qualcosa!”
E Leo si abbuffa: “Che buono!”
Ma appena dopo aver mangiato il primo canederlo, si sente bussare alla porta d’ingresso: “Aprite, Gestapo!”
Con presenza di spirito, Leo spalanca la finestra della cucina, salta nel cortile del vicino e scompare.
Quello che gli uomini con i lunghi cappotti di pelle non sapevano: Dalla finestra si poteva accedere al cortile del vicino a livello del suolo.
Il vero Leo Schäfer
Era un cugino di mio padre di Obersinn, un paesello a nord della Baviera al confine regionale con l’Assia. Si diceva che fosse comunista e che fosse fuggito nella regione della Saar dopo la cosiddetta presa del potere da parte dei nazisti. Tornò però dopo il referendum del ‘35, in cui oltre il 90% della popolazione aveva votato per “tornare al Reich”.
Poco dopo fu arrestato dalla Gestapo mentre scorticava il legno nel magazzino della stazione ferroviaria e inviato al campo di concentramento di Dachau.
Quando nel corso della guerra furono necessari sempre più soldati, fu inviato probabilmente nel 1943 al cosiddetto “fronte di prova”, nel “Battaglione di punizione 999”. Si trattò di una vera e propria missione suicida, ovvero su un dragamine in Grecia nel Mar Egeo; la nave fu silurata dagli inglesi o andò a sbattere contro una mina e affondò. Leo andò alla deriva per ore in mare, aggrappandosi a una trave finché gli inglesi non lo raccolsero. Ha vissuto la fine della guerra nel loro campo per prigionieri di guerra.
Dopo la sua liberazione dalla prigionia di guerra, si stabilì in un villaggio mezz’ora distante dal suo paese d’origine aprì una falegnameria.
Nei giorni festivi veniva spesso a far visita ai suoi a Obersinn.
Ricordo, quando ero un adolescente, che Leo venne a trovare il suo vecchio padre la domenica di Pasqua. Come era consuetudine, alle dieci andò con suo padre a messa.
Dopo la messa incontrò mio padre che poi ci raccontò: “Quando ho incontrato Leo sui gradini all’uscita della chiesa, mi ha detto: “Quelli che sono corsi lassù per la comunione sono quelli che a suo tempo mi hanno denunciato.””
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Il conglomerato industriale IG Farben a cui apparteneva anche la Hoechst di Francoforte ↑
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Partito Comunista della Germania ↑
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Opposizione sindacale rivoluzionaria, sindacato KPD ↑
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Cellula = unità organizzativa del KPD ↑
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Dopo la Prima Guerra mondiale la regione Saar era indipendente sotto la protezione della Società delle Nazioni ↑
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Nel referendum del 15 gennaio 1935 la popolazione doveva decidere se tornare nella Germania o no ↑
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Primo Ministro della Spagna repubblicana ↑
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“Partito dei lavoratori di unità marxista” di orientamento trotskista ↑
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Sede delle Brigate internazionali e del Comintern nella Spagna centrale ↑
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Partito socialista dei lavoratori ↑
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Partito socialdemocratico tedesco ↑
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Organizzazione di orientamento comunista a sostegno delle famiglie di perseguitati politici ↑
Immagine: M. Häusler, propaganda nelle campagne del KPD nel 1927 (dettaglio). Bundesarchiv, Bild 183-73785-0006 / Hochneder, Christa; Gahlbeck, Fr, da Wikimedia Commons
Leonhard Schaefer è “da sempre” attivo nel movimento contro la guerra e in particolar modo “militante” per la causa palestinese; è stato dal 2002 al 2007 attivo in Rifondazione Comunista. Conoscitore della Repubblica di Weimar e degli inizi del nazismo, ha scritto articoli sulla Repubblica dei consigli della Baviera e sull’antifascismo tedesco. Inoltre ha pubblicato alcuni volumi sull’ anarchismo tedesco.