Ahinoi mala tempora currunt: la lista dei contagiati dal nuovo Coronavirus si allarga sempre di più, nessuna regione italiana è immune e sembrano saltati anche i confini tra stati. Leggere i giornali è paragonabile a partecipare da spettatore ad una caccia al tesoro dove lo stesso è rappresentato dal contagiato (anzi, dai contagiati) del giorno. E di lui vogliamo sapere tutto: nome, cognome, dove abita e quali luoghi ha frequentato prima di ricevere la diagnosi.
Si sa, “la paura fa 90”: può anche essere considerato umano il desiderio di sapere se potremmo essere stati contagiati. Ma a questo proposito è d’obbligo farci una domanda: è giusto dare in pasto all’opinione pubblica l’identikit di una persona “colpevole” di aver contratto una malattia? È possibile assecondare gli istinti di sopravvivenza della gente andando contro al diritto di privacy degli individui?
La risposta è
chiaramente no: non si può assolutamente usare la scusa della tutela
della salute per “sbattere il mostro in prima pagina”. Deve
essere compito e responsabilità di persone appositamente formate
andare a individuare e contattare coloro che possono essere a rischio
di contagio.
Intanto perché non ha senso scatenare il panico:
se vengo a conoscenza che tal Mario Rossi, risultato positivo al
tampone per il nuovo Coronavirus, il tal giorno alla tal ora si
trovava al “Bar Mario” cosa posso farne di questa
informazione? Intanto dovrei ricordare con sicurezza se
effettivamente anche io mi trovavo nello stesso posto alla stessa
ora. E, anche se così fosse, come posso essere sicura di aver avuto
contatti con Mario Rossi? Come posso anche banalmente sapere con
sicurezza chi è Mario Rossi?
Non è pensabile, come vorrebbero
taluni, divulgare la foto via social network o quant’altro: non siamo
in un film dove si fanno girare i cartelli con su scritto “WANTED”…
la persona infetta non ha commesso alcun delitto, non merita di
essere additata da amici e parenti. E non merita a maggior ragione di
diventare bersaglio dei commenti di sconosciuti.
Anche in questo caso
è necessaria razionalità e senso di responsabilità: giusto è, in
caso di positività al tampone, avvertire chi di dovere così da
poter iniziare l’iter di contatto delle persone vicine al contagiato.
Ma queste operazioni devono essere fatte con criterio e da chi sa
come muoversi. Non si aiuta nessuno lanciando il sasso e dando
informazioni magari incomplete, non sicure e verificate: magari
sappiamo nome e cognome ma non possiamo essere certi che non si
tratti di un caso di omonimia!
E comunque teniamo in
considerazione che certe informazioni devono andare nei luoghi
giusti: non è di alcuna utilità buttare un’identità nel mare
magnum del web. Il rischio è di non centrare il bersaglio, magari
perché le persone interessate dal messaggio non visualizzano (o
comunque non pongono la necessaria attenzione) il post, che invece
viene visto e condiviso da chi è interessato solo a fare allarmismo
e diffondere messaggi che non hanno come scopo il benessere e la
sicurezza collettivi.
Il web (ed i social
network) in questo momento possono e devono essere usati, ma è
necessario usarli e non esserne usati, a maggior ragione adesso:
bisogna comprendere che hanno delle specificità, ma anche dei
limiti. Certamente il loro essere così diffusi li pone in una
condizione privilegiata per quanto riguarda ad esempio la diffusione
delle buone regole da seguire per la prevenzione del contagio, ma
d’altro canto è necessario comprendere che non tutto si può fare
online: quindi, se vogliamo avvisare la zia settantenne delle nostre
condizioni di salute, facciamole una telefonata: si eviterà di farla
spaventare eccessivamente!
A maggior ragione non possiamo
pretendere che pagine pubbliche divulghino dati sensibili: la loro
mission è raccontare cosa sta accadendo, è fare
informazione. Non sta a loro mettere in moto il processo di ricerca
dei possibili contagiati.
Se leggiamo di un nuovo contagiato
dobbiamo tenere conto che lo scopo della notizia è dare
un’informazione su quanto sta accadendo, ma in nessun caso si deve
dare informazioni sensibili: non è assolutamente corretto pensare
che la necessità di preservare la salute possa prevalere sul
sacrosanto diritto alla privacy. Per questo è assolutamente corretto
che si cerchi di preservare il diritto alla riservatezza di una
persona, anche per evitare episodi in cui il malato è messo alla
gogna a mezzo social network.
Insomma, l’uso consapevole di Facebook e affini in questa emergenza
rappresenta contemporaneamente un’opportunità e una sfida:
un’opportunità perché trattasi di uno strumento alla portata di
tutti, che quindi offre l’opportunità di veicolare messaggi di ogni
genere a persone diverse. Una sfida per lo stesso motivo: arrivando a
tantissime persone si rischia che messaggi dati con le migliori
intenzioni vengano rielaborati e soprattutto utilizzati per fini ben
diversi da quello per cui sono stati originariamente elaborati.
Soprattutto al tempo del nuovo Coronavirus non abbiamo bisogno
di gossip: non ci deve importare se la persona contagiata è alta,
bassa, magra, grassa, coi capelli lunghi o corti… ci deve importare
di avere informazioni verificate, puntuali e corrette!
Immagine da Pixabay
Nata a Firenze il 17 novembre 1983 ha quasi sempre vissuto a Lastra a Signa (dopo una breve parentesi sandonninese). Ha studiato Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Firenze. Attualmente, da circa 5 anni, lavora presso il comitato regionale dell’Arci.