La lotta di classe passa da Amazon?
Nel tardo capitalismo in cui siamo immersi ci troviamo davanti a fenomeni in cui persino l’acquisto di merci diventa frenetico al punto da essere ossessivo e compulsivo (si è arrivati nel giro di un anno a ridurre di due secondi la frequenza tra un ordine on-line e l’altro, vedi qui). Il Black Friday, nato negli Stati Uniti negli anni Ottanta è divenuto un fenomeno globale grazie all’e-commerce e tende ad estendersi come esplosione di delirio consumistico globalizzato. D’altra parte l’economia capitalistica è sempre più simile ad un cuore in fibrillazione, per cui si assiste a dei picchi impressionanti di domanda in brevissimi spazi di tempo seguiti da crolli impressionanti della bubble economy (si veda il fenomeno dei Bitcoin).
Questa volta però il picco di acquisti atteso come evento salvifico anche nel nostro Paese potrebbe essere interrotto bruscamente dalla base di uomini che movimenta quelle merci che devono spostarsi in grandi quantità in brevissimo tempo per soddisfare la frenesia di tale consumismo malato. Il più grande hub di spedizioni Amazon d’Italia che ha sede a Piacenza e di cui abbiamo già parlato ha infatti decretato una giornata di sciopero proprio nel giorno di maggior concentrazione delle vendite, al fine di arrecare più danni a un sistema palesemente irrazionale che riduce 1800 lavoratori su 4000 a dei “lavoratori a chiamata”, usa e getta.
In un mondo sempre più interconnesso in cui il commercio si riduce a pura massimizzazione dei profitti, l’hub di Piacenza introduce così una nuova forma di lotta, paragonabile allo sciopero “a singhiozzo” in cui gli operai interrompevano tutta la produzione fermandosi per brevissimi periodi di tempo proprio nei momenti di maggior carico di lavoro spezzando la continuità produttiva con ricadute pesantissime su tutta la linea di produzione.
L’ultimo “Black friday”, una giornata di saldi che di consueto apre la stagione dello shopping natalizio nel mondo anglosassone, ormai importata un po’ ovunque, ci ha offerto una interessante panoramica sulle modalità di lotta nel mondo odierno. Da un lato uno sciopero ben piazzato, pur limitato ai lavoratori “stabili” e sabotato da Amazon a colpi di lavoratori sostitutivi, è riuscito quantomeno a guadagnare un minimo di esposizione mediatica alle rivendicazioni dei lavoratori della multinazionale e anche solo per questo andrebbe giudicato un successo; d’altro lato fuori e dentro i social sono rimbalzate le dichiarazioni di boicottaggio di singoli bene intenzionati, più o meno concretamente argomentate e motivate.
Per quanto le intenzioni siano spesso lodevoli, materialmente ho dei serissimi dubbi che il boicottaggio a livello di singolo individuo nel capitalismo del XXI secolo possa realmente incidere economicamente e politicamente. Il boicottaggio di una giornata di sconti può servire a livello comunicativo, di sensibilizzazione, ma poco più. Come le petizioni, i mail bombing e le azioni più o meno individualizzate del genere, il boicottaggio rimane un’opera morta se oltre ad esso non sta un un impegno quotidiano e sistematico in direzione della giustizia e del cambiamento, dei rapporti sociali e delle dinamiche di potere più e prima che dello stile di vita.
Non comprare nulla da Amazon 24 ore o non usarlo a prescindere può far sentire superficialmente a posto con la coscienza, ma se rimane il livello massimo di impegno a cui si è personalmente disposti ad arrivare nella lotta non potrà mai servire a molto di più.
ll sistema logistico della multinazionale americana intende servirsi di quasi la metà dei lavoratori presenti nell’hub di Piacenza giusto per il tempo necessario a far fronte alle vendite natalizie, una volta venduti i pacchi di Natale, questi lavoratori che avranno sopportato turni massacranti di lavoro verranno scaricati. Così da loro verrà estratto il massimo del plusvalore possibile. Grazie alla precarizzazione del lavoro introdotta da Treu e Biagi questa forma di lavoro in cui il lavoratore viene ridotto a merce usa e getta risulta pienamente legale, ma non per questo c’è rassegnazione tra chi la subisce. Anzi, possiamo dire che l’hub logistico piacentino risulti essere una vera e propria avanguardia della lotta di classe in quanto introdotto in meccanismi tra i più innovativi della produzione moderna in cui un sistema di organizzazione del lavoro efficientissimo si sposa con macchinari innovativi per fornire livelli di produttività enormi. In tal modo la produttività elevata del lavoratore permette di ripagare in tempi brevissimi il mantenimento della forza-lavoro e quindi di incrementare l’estrazione di plusvalore da chi produce.
Il tema centrale resta sempre il solito: come legare l’esercito industriale di riserva assunto con contratti di somministrazione, attraverso agenzie interinali, ai dipendenti a tempo indeterminato full time. Lo sciopero di venerdì non dovrebbe ridursi a una mera rivendicazione di miglioramenti salariali e di condizioni lavorative, ma riuscire a porre la questione del chi detiene il potere in fabbrica perché è chiaro che finché sarà il capitale a dominare il lavoro risulterà incatenato e il lavoratore legato a doppio filo al salario da cui dipenderà per la sopravvivenza. Senza porre la questione del potere in fabbrica la lotta con l’esercito industriale di riserva continuerà fino all’ultimo sangue anche se nel breve periodo si riusciranno a strappare dei miglioramenti congiunturali dettati dal maggiore fatturato dell’impresa. Quando il fatturato smetterà di crescere vertiginosamente le pressioni al ribasso dei salari si faranno sentire concretamente azzerando i miglioramenti velleitari ottenuti da una politica sindacale di accomodamento.
Serve a poco boicottare a titolo individuale il Black Friday. Ha purtroppo lo stesso valore della persona che a lavoro si lamentava dei figli che “praticano” Halloween, chiedendosi come fosse possibile essersi ritrovati imbevuti di cultura statunitense così tanto.
Capire è importane e necessita di un certo distacco, ma per contrastare un sistema occorre altro. Certo senza un adeguato impianto critico è impossibile andare lontano. Il problema non è però l’importante visibilità conquistata dai lavoratori e dalle lavoratrici di Amazon lo scorso venerdì. Interessante è un articolo del Sole 24 Ore di sabato 25 novembre (il giorno dopo del Black Friday quindi). L’autore, Andrea Biondi, insiste molto sull’importanza del dialogo, aprendo su Andrea, un impiegato combattuto sul da farsi e tra i pochi a fermarsi cercando un confronto con gli scioperanti, all’ingresso del magazzino di Castel San Giovanni.
Sul quotidiano di Confindustria, di fatto, si applaude alla capacità dei confederali di dare visibilità al tema senza le violenze dei sindacati di base. Il conflitto finalizzato all’estetica della violenza non serve a niente, chiaramente, ma la narrazione di questa giornata appare molto edulcorata rispetto alle potenzialità di nuove frontiere delle contraddizioni interne al capitale. Mentre i tesserini verdi si distinguono da quelli blu (i precari), con qualche articolo attento agli incentivi di uscita di Amazon per i suoi dipendenti (che velocemente apre le porte per mandare via chi non regge più i ritmi), ritorna la retorica dello sviluppo sostenibile e del consumo critico.
Il funzionamento di base non regge. Le comodità del consumatore sono a carico del lavoratore, mai della ditta, che anzi, come nel caso di Deliveroo in Belgio, si impegna a rifiutare ogni idea di subordinazione. Ognuno sia imprenditore di se stesso…
Il Black Friday è un’usanza legata al Giorno del Ringraziamento. Non vi sentite un po’ tacchini?
Negli ultimi dieci anni il fatturato di Amazon è aumentato di oltre l’800%, con un tasso annuo di crescita composto che è inferiore di poco al 30%. Tra i cinque colossi del settore tech soltanto Facebook offre un indice più alto.
Due anni fa Amazon fu al centro di un’inchiesta del New York Times circa le durissime condizioni di lavoro che essa imporrebbe, tanto ai lavoratori manuali quanto agli impiegati. Il fondatore e amministratore delegato, Jeff Bezos, si affrettò a dire che non avrebbe mai lavorato in un’azienda quale quella descritta dal NYT. Sebbene si possa sospettare un interesse del NYT nello screditare Bezos, proprietario dello Washington Post, già l’anno precedente questi si era guadagnato il biasimo ufficiale della Confederazione sindacale internazionale per la sua «inumanità» come datore di lavoro.
Non so se Amazon sia davvero un’azienda peggiore o migliore di altre del suo settore. Certo è che essa costituisce per molti aspetti la punta di diamante di un nuovo modello produttivo che appare fondato sull’estremizzazione, e quindi la distorsione, dei principii della produzione snella. In questa distorsione, tutti i principii volti a un miglioramento del processo lavorativo vengono piegati a un miglioramento determinato a priori, a cui il processo di lavoro deve conformarsi. In questo modo la crescita nasce da quello che un ex dirigente HR interno definì «darwinismo consapevole». Il costo, per Amazon, è quello che gli anglosassoni chiamano “attrition”, logoramento: un continuo e incessante ricambio nel proprio personale. Sì, perché la prima delle 14 regole di Amazon è la «ossessione del cliente»: in un’ulteriore estremizzazione della produzione snella, l’ottica di pulling (che sostituisce il vecchio pushing fordista, in cui la produzione determinava il consumo) si spinge al punto da considerare il cliente l’unica origine della ricchezza.
Per questo, in cambio della crescente produttività, Amazon pare non prevedere una particolare remunerazione, monetaria o meno. E il “Black Friday”, termine sinistro che evoca fatali crolli borsistici, altro non è che un episodio di sfruttamento intensivo della risorsa-cliente.
Ma per tutti coloro che temono “l’automazione” e l’industria 4.0 (rectius: 3.1) come la condanna fatale di un Moloch, rifugiandosi magari nella riedizione del luddismo che già prima della Rivoluzione francese colpiva i telai automatici, un utile esempio viene dalle agitazioni in Italia e in Germania (dove Amazon in passato ha impiegato guardie giurate naziste per sorvegliare i dipendenti). Ad esse hanno partecipato non soltanto i dipendenti, ma anche gli interinali: a dimostrazione del fatto che un sistema contraddittorio produce sempre, nonostante ogni sforzo contrario, la propria negazione.
P.S. Solidarietà ai lavoratori di Amazon è arrivata da diversi parlamentari Pd. Non pervenuto Bersani, dopo aver appoggiato la legge Treu, chiesto l’art. 17 ½ (sic…) e le “protezioni” trumpiste.
Nella giungla del capitalismo globale i lavoratori che hanno la concreta possibilità di far valere i propri diritti senza bisogno di una forte organizzazione e lotta sindacale sono quelli altamente qualificati, poiché meno ricattabili e più difficilmente sostituibili, come la vicenda dei piloti Ryanair ha recentemente dimostrato. Per tutti gli altri i margini sono molto stretti perché a profili professionali più bassi corrispondono anche molte meno garanzie e pesa la spada di Damocle della concorrenza internazionale e della disoccupazione strutturale che finisce per mettere uno contro l’altro lavoratori di ogni provenienza e settore.
La lotta nei fast food americani, le proteste dei riders dei servizi di food delivery e ora lo sciopero dei lavoratori dell’hub piacentino di Amazon per il Black Friday, mostrano che lo sciopero è ancora un’arma fondamentale ma che siamo ai primi passi di una riorganizzazione generale della lotta sindacale, completamente spiazzata dall’accelerazione mondialista del neoliberismo dopo l’89. Spesso si accusa, non del tutto a torto, la Cina di aver sviluppato un sistema industriale fondato sullo sfruttamento feroce, ma dal punto di vista delle lotte sindacali e della loro efficacia, siamo sicuramente noi occidentali che siamo ai livelli dell’accumulazione originaria della prima rivoluzione industriale e non loro.
Mentre il neoliberismo ha profondamente plasmato un nuovo immaginario collettivo, fabbricato nuove soggettività e fatto interiorizzare nuovi modelli di condotta individuali fondati sulla concorrenza, l’autoimprenditorialità e l’appagamento consumistico di desideri fittizi, il potere simbolico delle élite si espande a dismisura. Il braccio di ferro fra capitale e lavoro non può essere vinto da quest’ultimo se l’opinione pubblica vede nello sciopero solo una fonte di disagio per il consumatore e non uno strumento per migliorare la vita delle persone. Amazon ha seguito proprio questa strada nel demonizzare lo sciopero come strumento di violenza nei confronti del consumatore costretto ad aspettare di più per poter appagare i sui futili desideri che, si sa, non possono aspettare. Fra le righe dei loro comunicati apparentemente asettici è facile leggere una narrativa quasi hollywoodiana: l’eroismo dell’impresa che nonostante le avversità di qualche malvagio egoista che vuole il male della collettività riuscirà comunque lo stesso a portare a termine la sua gloriosa missione di rendere felici tutti. Il modello del cittadino consumatore come centro della realtà (non solo economica ma sociale tout court) è così accettato che ormai anche i servizi sanitari o educativi rappresentano solo delle merci che il consumatore-cliente può comprare o meno. Tutto è in funzione di questa nuova e strana categoria metafisico-antropologica che la sinistra ha contribuito a plasmare. Reciso nettamente il suo legame con la tradizione marxista infatti, buona parte della sinistra post-guerra fredda non ha fatto che avallare la centralità del consumatore, elevando le sue capacità di comprare e scegliere prodotti in maniera “responsabile” come fulcro utopistico di una nuova era in cui tutti si vogliono bene e si rispettano. Si è così offerto un assist inaspettato al capitale, anch’esso impegnato ad anteporre i diritti del consumatore su quello del lavoratore.
Oggi, strumenti di lotta consumistici e individualistici come il boicottaggio nei confronti delle cattive multinazionali quali la Nestlé o la Nike risulta ingenuo. Non esiste un capitalismo buono che rispetta i diritti del lavoratori rispetto a uno uno cattivo che non li rispetta, dato che le imprese sempre e in ogni luogo dove non incontrano resistenza estraggono plusvalore più che possono (e c’è poco da scandalizzarsi o fare appello ai buoni sentimenti: si può solo reagire) magari lanciando la loro linea “bio” o equo e solidale rivendendo così al consumatore la sua stessa critica sotto forma di merce. Occorre ritornare a Marx e alla sua lezione che gli esseri umani possono opporsi al capitalismo solo in quanto lavoratori e non consumatori. I mezzi per la lotta sono i mezzi della lotta dei lavoratori come gli scioperi non le scelte consumistiche.
Immagine liberamente tratta da www.lastampa.it
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