Pubblicato per la prima volta il 10 dicembre 2014
“Perché il governo sta portando avanti una campagna di rastrellamento nelle zone in cui siamo più radicati […]? Rastrellamento significa distruggere tutto. Chiunque può essere ucciso, arrestato, abbandonato o violentato e la proprietà, le case, il raccolto e tutto può essere distrutto. Tutto questo non è altro che un regime fascista”
Con queste parole il Segretario Generale del movimento maoista rivoluzionario (CPI), conosciuto con lo pseudonimo di Ganapathi, ha messo in luce ciò che si nasconde dietro la massiccia offensiva condotta a tutto campo dalle forze governative contro le milizie rosse presenti nella zona centrale e orientale dell’India. Coniata dai media con l’etichetta di “Green Hunt”, l’operazione riflette in pieno quella che è la preoccupazione delle élite liberali rispetto all’intensificazione della lotta armata condotta dalla guerriglia cosiddetta “naxalita” nel corso di tutto lo scorso decennio.
Il governo di Delhi, infatti, già verso la fine del 2009, per far fronte alla crescente minaccia costituita dall’estremismo di sinistra, ha approvato un enorme di piano di contrattacco, un programma repressivo che lo ha portato a schierare oltre centomila truppe paramilitari, affiancate da elicotteri e droni dell’aviazione dell’esercito e da forze di polizia d’élite (come i “greyhounds”: levrieri), messi in campo per dare una caccia spietata e senza precedenti ai “terroristi” nelle loro roccaforti (nella zona del “corridoio rosso”). Se paragonate alle appena 8,000 unità armate con armi leggere della guerriglia maoista, si comprende quale sia lo squilibrio di forze in questa aspra contesa territoriale.
Supportati dalle poverissime popolazioni tribali (dette “Adivasi”) che lo squilibrato sviluppo indiano ha lasciato indietro, i naxaliti usano i villaggi e le campagne come centri operativi per portare poi a termine le loro azioni di guerriglia sul territorio (nelle foreste in primo luogo). Il supporto delle popolazioni indigene, che versano in uno stato di totale miseria, alla guerriglia maoista, ha spinto Delhi a introdurre un programma ambizioso di politiche sociali per migliorare le condizioni di vita nelle zone rurali e tribali, ma dall’altra parte l’asprezza dell’operazione Green Hunt ha di fatto portato guerra e distruzione in prossimità di quelle aree. Il risultato è – anche se ciò è ovviamente negato dalle fonti governative – una serie di attacchi feroci e senza precedenti, che comportano anche l’uso di spietati metodi di rappresaglia nei confronti di tutti coloro che sono sospettati di aiutare i naxaliti nella loro lotta di liberazione nazionale. Stando a fonti maoiste, niente si salva dalla devastazione portata dalle truppe paramilitari di Delhi che starebbe tentando di sradicare il maoismo con operazioni di rastrellamento arbitrarie e sommarie.
Nel primo anno di piena attuazione dell’operazione Green Hunt, il 2010, si assiste a una drammatica crescita del numero di vittime (v. tabella sotto), segno della violenta offensiva condotta dalla truppe governative che ha obbligato i maoisti a ritirarsi da alcune delle zone che erano sotto il loro – de facto – controllo. Tuttavia, le forze paramilitari impiegate nell’operazione subiscono anche delle dure lezioni: celebri restano in particolare due imboscate. In una avvenuta in febbraio nello Stato de Bengala dell’Ovest, 24 truppe paramilitari vengono uccise da un commando maoista che –sembra- essere stato composto da sole donne. Due mesi dopo, un altro gruppo di guerriglieri attacca un convoglio paramilitare costretto a lasciare sul campo ben 75 uomini.
È solo a partire dal 2011 che l’operazione Green Hunt ottiene i primi importanti successi, da quando cioè gli analisti hanno notato una diminuzione delle azioni e del controllo territoriale dei naxaliti. In quell’anno, vi è in effetti un inversione nel numero delle vittime nel conflitto: per la prima volta, il numero di naxaliti uccisi è superiore a quello delle forze di sicurezza (v. tabella sotto); inoltre, è anche l’anno in cui molti quadri dirigenti del CPI vengono uccisi o arrestati, fra questi soprattutto Kishanji (all’anagrafe Mallojula Koteswara Rao) la principale guida militare comandante in capo della guerriglia maoista.
La notevole diminuzione di attacchi messi a segno dai maoisti dal 2012 in poi è un chiaro segno del duro colpo subito dai maoisti e probabilmente indica una fase di riorganizzazione complessiva del movimento, costretta ora a su una posizione difensiva. Fonti governative mostrano anche una progressiva diminuzione del numero degli incidenti che coinvolgono l’estremismo di estrema sinistra in tutto il Paese. Occorre sottolineare però che ciò potrebbe essere anche il risultato di una diminuzione in intensità dell’operazione Green Hunt che ormai potrebbe aver perso la spinta propulsiva originale.
In ogni caso, come mostrano le cartine in basso, l’offensiva di Delhi ha permesso al personale di sicurezza indiano di eliminare la presenza maoista da diversi distretti. In particolare, confrontando la cartina del 2014 con quella in basso a destra che si riferisce al 2009, prima dell’entrata in vigore di Green Hunt, possiamo notare come i Maoisti abbiano perso il controllo di alcune zone che prima tenevano saldamente: alcuni distretti del sud est come l’Andhra Pradesh sembrano ormai essere sotto lo stretto controllo governativo.
La contesa, in ogni caso, è tutt’altro che prossima alla fine. L’implemento del programma Green Hunt non ha impedito ai Maoisti nel 2013 di mettere a segno uno dei colpi più clamorosi delle loro storia: il 25 maggio un convoglio del partito di centro sinistra INC (quello di Sonia Gandhi) cade in un’imboscata presso Bastar: i naxaliti uccidono ventisette persone, fra cui alcuni funzionari e numerosi politici di spicco come l’ex Ministro dell’Industria e del Commercio Mahendra Karma, uno dei più feroci repressori dei naxaliti e tristemente celebre per aver organizzato una milizia di estrema destra, chiamata Salwa Judum, responsabile di una quantità innumerevole di atrocità e crimini di guerra ai danni dei Maoisti o anche solo di simpatizzanti o presunti tali.
Nonostante la violenza tramite la quale l’azione militare è stata portata avanti dalle forze governative, il movimento naxalita continua a costituire una forza molto radicata sul territorio. L’impressione è che Delhi non avrà la meglio sull’insorgenza maoista fino a quando quest’ultima continuerà a essere radicata sul territorio e continuerà ad godere del supporto delle popolazioni tribali. I programmi di protezioni sociale del governo nei loro confronti non sembrano essere sufficienti a far voltare le spalle ai naxaliti, cioè a coloro che li hanno sempre supportati e assistititi, portando cure e istruzione di base nelle comunità Adivasi più remote e isolate. Ad aggravare questo quadro sono gli “effetti collaterali” dell’operazione Green Hunt che nel suo tentativo di reprimere il maoismo finisce per portare violenza e metodi brutali della rappresaglia proprio in quei villaggi. In questo contesto, in cui gli Adivasi continuano a essere considerati cittadini di serie B, i maoisti hanno l’opportunità di riorganizzarsi anche se l’obiettivo di rovesciare lo status quo appare oggi più lontano.
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.