Come ogni anno, il 27 gennaio si è celebrata la giornata della memoria, ricorrenza internazionale per rendere omaggio alle vittime dell’Olocausto. Si è stabilito di celebrare il Giorno della Memoria ogni 27 gennaio perché in quel giorno del 1945 le truppe dell’Armata Rossa, impegnate nella offensiva Vistola-Oder in direzione della Germania, liberarono il campo di concentramento di Auschwitz.
La storia ci ha insegnato che questa giornata non è, e non deve essere, solo una ricorrenza istituita per ricordare e non dimenticare i 15 milioni di persone rimaste vittime dell’Olocausto, ma che, piuttosto, deve essere monito e motivazione, insegnamento e ispirazione per non ripetere ciò che è già accaduto.
Senza voler entrare, specificatamente, in questo articolo nell’orrore della tragedia dell’Olocausto, è dovere ribadire che la memoria ha dunque una funzione di baluardo imprescindibile, rappresenta un monito potente affinché gli orientamenti e le azioni di chi conosce la storia siano consapevolmente indirizzati a un presente e un futuro declinati in funzione di un avvenire migliore. Memoria quindi come paideia, come dovere civile e morale, come valore essenziale per l’essere umano. Per questo è necessario insegnare la storia ai bambini fin dalle scuole elementari, affinché possa in loro plasmarsi e strutturarsi, anche se in divenire, e contestualmente all’età, una visione delle cose fatta di consapevolezza e senso di giustizia, di spirito critico e spessore umano che li possano accompagnare nelle loro scelte future, aiutandoli a diventare cittadini consapevoli e a non commettere gli stessi errori del passato.
La memoria, però, non dovrebbe essere recepita solo come una “imposizione al ricordo”, un compito che si svolge controvoglia perché ci è stato insegnato che è “giusto” farlo, senza che poi il ricordo non si traduca in reale impatto nella propria coscienza, un sentimento (nel senso più etimologico di sentire, provare dentro) che permea nel più profondo i pensieri e gli atti di tutto l’essere: la memoria, affinché sia efficace, deve quasi essere qualcosa di carnale, una spinta che provochi un dibattito interiore e conseguentemente un moto che spinga chi lo avverte a combattere affinché ciò che ha avvertito di terribile non si compia più, o viceversa a emulare un gesto o portare avanti un’idea considerati come positivi e propositivi.
In questo senso, non si possono non fare nostre le parole di Hannah Arendt, che scriveva: “Non si può ricordare qualcosa a cui non si è pensato e di cui non si è parlato con noi stessi (…); la lontananza dalla realtà e quella mancanza di idee, possono essere molto più pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell’uomo (…); il male non possiede una profondità, è una sfida al pensiero, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla”[1].
Si comprende bene allora, che se è vero, come l’interessarsi alle cose, fare di esse il contenuto di un dialogo che si ha incessantemente dentro di sé rappresenti lo sprone per rendere la memoria qualcosa di vivo e di trascinante e non, come dicevamo, un mero meccanismo liturgico, è altresì vero che il rispetto, la passione e la tensione alla memoria vanno insegnati e costantemente stimolati. In questo senso, come ricorda Umberto Eco[2], la memoria deve essere un allenamento, una coltura continua, che permette, oltre al ricordo e all’approfondimento di sé e del mondo, la possibilità di vivere altre vite, di essere atre storie, di popolare la propria testa di personaggi storie di ogni tipo, un esercizio a volte faticoso, ma gratificante e imprescindibile. Senza memoria storica e collettiva nessuno sarebbe capace di orientarsi nel mondo attuale, o saperne prospettare uno migliore, così come, senza memoria letteraria, nessuno riuscirebbe ad immaginare scenari diversi da quello che passivamente ci si ritrova a vivere. Consapevolezza del passato e immaginazione del futuro, come due facce della stessa medaglia dunque, e non c’è bisogno di scomodare Dalì, e il suo programmatico slogan “l’immaginazione al potere” (e i successivi movimenti sessantottini che a questo slogan si sono ispirati), per comprendere fino a che punto il ricordo di ciò che è stato e l’invenzione di ciò che potrebbe essere vanno di pari passo. Memoria, quindi, come fatto assolutamente sostanziale.
Esiste però il rischio di un “eccesso di memoria”? Nel racconto di Borges Funes. O della memoria[3], il protagonista è imprigionato nella spirale di una memoria prodigiosa, che gli permette di cogliere ogni dettaglio di ciò che lo circonda, ma che, nel suo infinito accumularsi di dati e ricordi sovrapposti e continui, lo condanna all’incomunicabilità e all’isolamento. Alla fine del racconto, Funes morirà fisicamente di polmonite, ma simbolicamente soffocato dal peso dei suoi ricordi. Dante stesso, alla fine del Purgatorio, immagina che le anime dei defunti, dirette al Paradiso, si bagnino nell’acqua del fiume Lete per dimenticare i loro peccati e poter così ascendere al cielo. Ciò che gli esempi citati possono insegnare, se contestualizzati, è che la memoria o è selettiva o non è: ricordare tutto porta all’obnubilamento della mente, come invece la rimozione di alcuni aspetti del passato può essere sinonimo di crescita.
L’importante è allora l’educazione a un buon uso della memoria. La capacità, appunto, di selezionare, di fare un compromesso tra momenti, personali o collettivi, da conservare e quelli da dimenticare, può servire alla protezione di ricordi che si reputano davvero essenziali. Scrive, in tal senso, Paolo Mieli che, proprio per preservare e restituire il peso alle cose, “una terapia, quella a base di oblio, è necessaria, per non incorrere in un aggrovigliamento tra passato e presente (…), affinché le nostre menti non siano sempre più alluvionate dalla quantità di cose che ci sentiamo in obbligo di ricordare”[4].
Come precedentemente detto, infatti, la memoria non deve essere vissuta come peso, ma come desiderio, non come accumulo, ma come selezione e capacità di discernimento, anche perché non possiamo non tenere in conto che ciò che ricordiamo della storia sia in buona parte la versione data dai vincitori: gli esempi in questo sarebbero infiniti: dalle gesta degli imperatori dell’impero romano fino a quelle dei conquistadores europei, dal fascismo allo stalinismo, e, in generale, qualunque forma di potere che si instaura su un assetto politico precedente costruisce un’interpretazione dei fatti parziale e funzionale al proprio mantenimento ed esaltazione.
È possibile allora suggerire una chiave di lettura che interpreti la memoria, come in passato è stato già fatto per la letteratura dal gruppo dell’Oulipo (gruppo di letterati composti tra gli altri da Queneau e Calvino, i quali intendevano la letteratura come gioco combinatorio di varianti), come una scatola cinese, in cui ogni parte riporta ad un’altra, in un gioco continuo di richiami, ma che rinvii al contempo alla profondità e alla chiusura della scatola, che costituisce un argine al dilagare indisturbato di ricordi: argine che deve costituire un baluardo rispetto al bombardamento acritico di informazioni, all’assorbimento passivo di fonti e racconti, ma configuri, appunto, la memoria come capacità di selezione, e dunque come scelta necessaria e partigiana tra varie opzioni di lettura del passato e di visioni del futuro, tra ricordi indispensabili, che devono restare saldi nel bagaglio culturale e umano di ogni uomo, e reminiscenze evanescenti, da consegnare al vento.
Per concludere col rimando al giorno della memoria delle vittime dell’Olocausto citato all’inizio, la scelta non può che essere che chiudere l’articolo con questa celeberrima frase attribuita a uno dei protagonisti di quella triste stagione, Primo Levi: “L’Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria”.
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Hannah Arendt, La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, Milano, Feltrinelli, 1964. ↑
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Umberto Eco, Caro nipote, studia a memoria, L’Espresso, 3 gennaio 2014. ↑
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J. L. Borges, Finzioni, Torino, Einaudi, 1956. ↑
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Paolo Mieli, La terapia dell’oblio-contro gli eccessi della memoria, Milano, Rizzoli, 2020. ↑
Immagine: Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa, Berlino, foto di Chiaravi da Pixabay
Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.