Le discriminazioni e i crimini legati all’odio razziale stanno assumendo una dimensione drammatica negli Stati Uniti. Se le violenze della polizia contro gli afroamericani non accennano a diminuire, gli attacchi alle comunità di origine asiatica sono in fortissima ascesa. Il report nazionale dell’organizzazione STOP AAPI Hate ha riportato 3795 episodi di violenza contro americani di origine asiatica o delle isole del Pacifico in poco meno di un anno, dal 19 marzo 2020 al 28 febbraio 2021[1]. Dal report emerge anche che a essere colpite sono prevalentemente le donne (2,3 volte più degli uomini) e gli individui di origine cinese. Quest’ultimo dato non può certo stupire: il motivo degli attacchi a soggetti e comunità asiatiche va ricercato proprio nella crescente ostilità verso la Cina e i cinesi, mentre gli appartenenti ad altri gruppi etnici asiatici sono spesso presi di mira solo perché scambiati per cinesi.
Su tutto il territorio nazionale si vive un clima di paura e si moltiplicano le testimonianze di chi afferma di non voler uscire di casa per timore di essere vittima di un agguato. La sparatoria di Atlanta del marzo scorso, che ha portato all’uccisione di 8 persone, di cui 6 di origine asiatica, è solo la punta di un iceberg la cui base è costituita da una serie senza fine di discriminazioni che vanno dal sentirsi rifiutare di essere serviti in un locale, fino ad episodi di aggressioni fisiche e verbali o di veri e proprio agguati. Non stupisce che, in molti quartieri etnici delle metropoli americane, le comunità abbiano messo in piedi un proprio servizio privato di sorveglianza, nella paura di non essere sufficientemente tutelati dalle forza dell’ordine.
L’origine di questo odio anticinese, che sta avendo effetti tragicamente concreti negli Stati Uniti ma che è sempre più presente in tutto il mondo occidentale, è spesso ricondotta dai grandi mezzi di informazione all’emergenza sanitaria legata al Covid-19. Per molti opinionisti, le violenze contro le comunità asiatiche sarebbero dovute in primo luogo al fatto che molti americani percepiscono i cinesi come colpevoli della diffusione della pandemia. Molte testate giornalistiche si lamentano giustamente del cieco razzismo che porta a questi comportamenti violenti ma evitano di rilevare il ruolo che hanno avuto gli stessi media nel plasmare una visione distorta del ruolo della Cina nella pandemia e, più in generale, si dimenticano sistematicamente di mettere in risalto la presenza di una narrazione mediatica tossica che, ben prima che il nuovo Coronavirus venisse originariamente scoperto a Wuhan, ha avuto come bersaglio la Cina.
Ci sono stati, è vero, alcuni media, soprattutto progressisti, che hanno legato l’emergere di questa ondata d’odio anche ad aspetti politici e di racconto mediatico, ma quasi sempre si sono accontentati di mettere sul banco degli imputati il solo Trump o qualcuno del suo entourage. Certamente l’ex Presidente ha fatto di tutto per alimentare l’odio nei confronti dei cinesi identificando il SARS-CoV-2 come “virus cinese” e insistendo nel demonizzare la Cina con una lunga sequenza di fake news e stereotipi raccapriccianti. Ma ricondurre alle sole esternazioni di Trump il diffondersi di un problema sociale così complesso appare una ricostruzione quantomeno parziale. I mezzi di informazione liberal, attenti alle tematiche della discriminazione e del razzismo, si sono preoccupati della crescita di episodi di violenza legati all’odio razziale ma si sono dimenticati di come loro stessi hanno orientato la loro narrazione mediatica nei confronti della Cina, utilizzando uno stile più raffinato e diplomatico ma ricalcando fedelmente nel contenuto l’approccio fazioso e ottuso dei conservatori. Si piangono così lacrime di coccodrillo per la crescente intolleranza e per gli episodi di razzismo, rifugiandosi in una patetica autoassoluzione quando invece è ormai impossibile nascondere la verità della violenta offensiva mediatica, sia da destra che da sinistra, contro la Cina, la cui ascesa è fonte di preoccupazione per i paladini del sistema capitalistico occidentale. Il razzismo che porta alle aggressioni contro gli asiatici non nasce del nulla, ma è alimentato e orientato dalla narrazione mediatica anticinese.
Questa macchina propagandistica agisce in diversi modi. Generalmente però preferisce evitare gli attacchi diretti e frontali per indirizzarsi verso l’utilizzo di uno stile falsamente oggettivo e il più possibile surrettizio. Nel concreto, nella maggioranza di casi si fa ricorso a due strategie.
Una prima strategia è quella di presentare le notizie in maniera selettiva (“cherry picking”), ponendo in risalto solo gli aspetti che mettono o possono mettere in cattiva luce la Cina e il suo governo e trascurando invece gli altri elementi. Questo avviene ad esempio quando in relazione al clima la Cina viene descritta come il Paese che inquina di più al mondo (vero peraltro solo in numeri assoluti ma non in relazione alla popolazione), ma non viene quasi mai presentata come quello che investe di più nelle rinnovabili.
Anche in Italia, dove la narrazione distorta sulla Cina non pare dissimile da quella degli Stati Uniti, questa strategia è sempre più comune. Solo prendendo in esame gli ultimi giorni, un esempio eclatante è quello della notizia resa nota dall’Ansa e riportata da quasi tutti i principali quotidiani, pressoché ovunque con lo stesso titolo: “la Cina ammette la bassa efficacia dei suoi vaccini”. Questa notizia getta in pasto all’opinione pubblica un dato parziale che andrebbe contestualizzato e che invece di informare ha solo l’obiettivo di rimarcare la presunta superiorità tecnologica dell’Occidente. Non stupisce che altri comunicati che riportano dati più completi su questi vaccini (distinguendo ad esempio fra efficacia su casi lievi e gravi) siano stati completamente ignorati dai media perché non funzionali alla loro narrazione. Da notare, inoltre, che i dati riportati da Pechino vengono definiti “una rara ammissione”, come a voler significare che la Cina non può essere trasparente e quando lo è bisogna rimarcare che in generale comunque non lo è.
Questo esempio ci porta a un’altra strategia mediatica con la quale si vuole mettere in cattiva luce la Cina, che è quella del classico sistema dei “due pesi, due misure” o della doppia morale. Come detto prima, secondo i media, se la Cina snocciola dei dati, in ogni caso non è trasparente, mentre a quanto pare la trasparenza dei Paesi occidentali che hanno secretato i contratti per i vaccini con le case farmaceutiche non è in discussione. La doppia morale occidentale è ancora più evidente nella narrazione delle presunte violazioni dei diritti umani nello Xinjiang, regione prevalentemente popolata dagli Uiguri, di fede musulmana. Ma davvero la possibile ma tutt’altro che accertata presenza di campi di lavoro in quella regione rappresenta una cosa immensamente più terribile della gestione del flussi migratori in Europa, fra le migliaia di morti in mare e i campi profughi fatiscenti dove si muore di freddo dati in appalto a Erdogan? Se l’analisi si ampliasse alle criminali guerre che l’Occidente ha appoggiato in Afghanistan e Iraq e ai suoi affari con Egitto, Turchia o Arabia Saudita, evidentemente i dubbi sulla buona fede del nostro sistema mediatico non potrebbero far altro che aumentare a dismisura.
Occorre chiarire che la critica nei confronti di tutti i governi, compreso quello cinese, va incoraggiata a tutti i livelli e rappresenta l’essenza del miglior giornalismo. La Cina, che è un Paese pieno di contraddizioni, può e deve essere contestata in tutti i frangenti nei quali si ritiene giusto farlo. Ma se le critiche vengono mosse ricorrendo a strumenti che violano l’etica giornalistica e con il solo scopo di demonizzare a prescindere ciò che dal nostro ristretto punto di vista rappresenta “un’alterità”, siamo all’interno di una macchinazione propagandistica da Guerra Fredda, una vera e propria fabbrica di fake news sinofobe non legata alla critica del potere, ma al contrario, alla difesa reazionaria del potere egemonico del capitalismo occidentale.
Dovrebbe essere compito della sinistra quello di denunciare qualsiasi tentativo di semplificare la complessità dei fenomeni sociali: se aumentano i crimini e le violenze contro gli asiatici, non si può trascurare il ruolo che il sistema mediatico e della narrazione politica hanno nel plasmare una sinofobia che negli Stati Uniti è già dilagante e che rischia di sfuggire di mano anche da noi.
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Qua il report completo: https://stopaapihate.org/wp-content/uploads/2021/04/Stop-AAPI-Hate-National-Report-210316.pdf ↑
Immagine di GoToVan (dettaglio) da flickr.com
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.