La crisi del governo Draghi è in corso, la nostra rubrica a più mani commenta l’evento alla vigilia di una scadenza annunciata per mercoledì.
La vicenda sta mobilitando tutte le parti politiche, con dialettiche interne alle diverse forze organizzate che coinvolgono anche le figure di governo degli enti locali (a partire dall’appello dei sindaci e delle sindache).
Il tema attraversa in modo significativo anche organizzazioni sindacali e i mondi dell’associazionismo, con tentativi di riempire le piazze per fare pressione “dal basso”, mentre pandemia e invasione russa in Ucraina continuano a comporre la cornice del contesto di questo mese di luglio.
Leonardo Croatto
“La situazione politica italiana è grave ma non è seria” diceva Ennio Flaiano.
La politica italiana ha consegnato alla storia, dal secondo dopoguerra ad oggi, un vasto catalogo di commedie. Anche quando si è tentato di mettere in scena un dramma, raramente questo non ha finito per risultare una farsa.
Nell’ampio catalogo teatrale disponibile, tuttavia, le dimissioni di un Presidente del Consiglio per il mancato supporto dell’intero parlamento sono, a memoria di chi scrive, una novità.
Pur essendo abituati oramai a governi che dispongono di enormi autonomie rispetto a Camera e Senato (o, più correttamente, a cui Camera e Senato concedono enormi autonomie) e ai partiti (che oramai giocano un ruolo nella politica italiana solo nei periodi precedenti le elezioni), un Presidente del Consiglio che ricatti, con le proprie dimissioni, parlamento e partiti, al fine di conservare una maggioranza di dimensioni paragonabili a quelle degli autocrati di paesi molto poco democratici, è un evento che dovrebbe destare, in una democrazia avanzata, più di una preoccupazione.
Immaginando che la crisi rientri, che il fine reale di questa operazione, che ha avuto il suo primo atto nella scissione primorepubblicana guidata dal neodemocristiano Ministro degli Esteri, fosse quella di ammazzare il Movimento 5 Stelle, resta in evidenza come la cifra del postmodernismo in democrazia sia l’iperpersonalizzazione della politica e la conseguente marginalizzazione dei soggetti collettivi che agiscono in parlamento, con l’accettazione implicita che l'”autocrazia costituzionale” sia l’unica forma di governo capace di assicurare il funzionamento di un paese – funzionamento misurato ovviamente con i soli paramentri della performance economica.
Le folle che piangono l’abbandono del proconsole Draghi, se non facessero pena, dovrebbero fare molta paura.
Piergiorgio Desantis
Le dimissioni del governo Draghi “congelate” da Mattarella lasciano intendere una profondissima crisi politica italiana. È la crisi che investe il modello tecnocratico, impersonato prima da Monti poi dall’ex Presidente della BCE, sembra fallire anche a questo tornante. Una maggioranza vastissima, eterogenea spinge verso il puro galleggiamento, rinviando le principali questioni e viaggiando a colpi di bonus. Nonostante comunque l’emergere di una maggioranza trasversale che invoca la prosecuzione del governo Draghi secondo direttive politiche che sono accomunate da linee liberiste (privatizzazione dei servizi pubblici) e la necessità di un mortifero patto sociale, non è escluso l’anticipo di qualche mese delle necessarie votazioni.
Francesca Giambi
Siamo alle solite… Un’altra torrida estate con un governo dimissionario.
Se non fosse una situazione molto grave, che si innesta al covid, alla guerra, al clima, all’inflazione, ci sarebbe veramente da ridere… considerando il grado (bassissimo) che ha raggiunto la politica italiana.
Il premier del cosiddetto “governo dei migliori” (definizione data dalla stampa italiana) è non solo arrogante, e questo fino dall’inizio del suo mandato lo sapevamo già: solo a difesa dei ricchi, direi anche degli evasori, in un paese che ha problemi di ogni tipo, dalla sanità al potere d’acquisto alla precarietà ai diritti, ma il nostro “quasi re” è anche molto permaloso… non accetta critiche, ma già, come ha detto lui stesso, i banchieri non hanno cuore, e vuole solo un popolo che lo osanni e un parlamento, che non conta nulla, che sia soprattutto al suo servizio.
Ma di cosa andrebbe osannato? Qual è la sua ricetta per gli interventi per il clima, per l’energia? I nove punti che Conte aveva sottoposto non solo non sono stati nemmeno considerati, ma si è ritenuto offeso e, dopo aver ottenuto la fiducia del parlamento, ha dato le dimissioni. Queste sono sceneggiate che offendono tutti noi e, lungi da me dal vedere Conte come un Robespierre, mi sento profondamente sconcertata e delusa.
Il PD, servo, sta a guardare non avendo alcuna idea di paese… e tutto precipita. La sanità pubblica è allo sfascio, la scuola è stata abbandonata, i lavoratori sono precarizzati, la cultura non ne parliamo, e si deve dire grazie per quell’elemosina di 200€, non per tutti ovviamente, e per altri bonus che sono solo delle pecette, dei cerottini nemmeno medicati? Ma i veri problemi, soprattutto sui diritti? La casa? La lotta all’evasione? La riforma del catasto? Le energie rinnovabili? Un piano per i giovani e per la generazione dei quarantenni senza diritti? E soprattutto la riforma del fisco?
Che brutta fine, povera Italia, in mano a furbetti di ogni tipo, ad una stampa asservita, a politici da avanspettacolo sempre più staccati dal paese reale. E si chiedono le elezioni! Con questa legge elettorale? O si aspetta di fare una legge elettorale proporzionale o gran parte dei cittadini staranno a casa… E basta anche con il refrain abusato del voto utile! L’Europa, invece di chiedere a Draghi di rimanere, non può commissariarci?
Dmitrij Palagi
Il Parlamento ha impedito a Draghi di diventare Presidente della Repubblica. Chi siede in Parlamento sa di quali difficoltà incontrerà per rientrarci, vista la diminuzione del numero di persone eleggibili per rappresentare il Paese.
Questi due elementi fanno parte di dialettiche aperte e ormai sviluppatesi in un sovrapporsi di piani diversi. Il Partito Democratico sembra essere l’unica realtà pronta a immolarsi in nome della stabilità, essendo ormai parte più del sistema istituzionale che della dialettica politica nel Paese. Non è un caso che sia da questo centrosinistra che nasce l’appello dei Sindaci e delle Sindache, al centro di alcune fasi dei primi mesi di emergenza Covid-19, che forse avevano sperato nello sblocco di un terzo possibile mandato.
La richiesta di stabilità attraversa anche le destre, ma sembra essere prerogativa di un mondo ancora orfano dell’Ulivo, illuso di poter coltivare qualche istanza progressista sotto l’autorevolezza internazionale attribuita a Draghi.
Quando mancano i processi reali, le suggestioni e le narrazioni prevalgono nella discussione pubblica, contribuendo a formare la realtà: a mancare sembra essere la politica per come era stata pensata fino a qualche decennio fa. Ormai sembra essere un involucro vuoto, o meglio una liturgia necessaria, ma di cui si farebbe volentieri a meno.
Jacopo Vannucchi
Il M5S è diventato l’epicentro di un’altra sorta di guerra per procura. Dopo la scissione atlantista capeggiata dal Ministro degli Esteri, il trumpista Conte intende consumare lo strappo dal Governo Draghi, lasciandolo appeso a un altro leader storicamente filo-putiniano – Salvini.
Quando Draghi si presentò al Parlamento a febbraio 2021 disse che il suo governo – che secondo Mattarella non doveva «identificarsi con alcuna formula politica» – era «semplicemente il governo del Paese». Non che mancassero prese di posizione nette, tra cui quella di collocarsi stabilmente «nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori».
È quindi ben difficile che Draghi, il quale ha intessuto tutto il proprio mandato e massime ovviamente la crisi ucraina nell’unitario binomio di atlantismo ed europeismo, non abbia calcolato i possibili costi internazionali di una sua uscita di scena, con il probabile formarsi, per giunta nel mezzo di una enorme tempesta sociale, di un nuovo governo di destra in cui le posizioni filo-Mosca sarebbero ben più presenti.
Conte è quindi caduto nella trappola che gli è stata preparata?
Dal punto di vista della prosecuzione della legislatura è forse ancora presto per dirlo. Ad agosto 2019 la legislatura e Conte furono salvati dall’intervento pubblico del Presidente Trump. Oggi un intervento altrettanto deciso da parte dell’amministrazione Biden potrebbe sortire lo stesso effetto per Draghi.
Dal punto di vista dello scenario politico italiano, invece, qualsivoglia risoluzione della crisi politica non potrà prescindere dal dato di fatto della disgregazione del Movimento 5 Stelle.
È questa una buona notizia per l’Italia?
Sì. Sì perché il M5S è una formazione sanfedista e social-demagogica, estranea al campo della sinistra contemporanea ed esprime, al massimo, soltanto istanze luddiste. Tuttavia i dati elettorali dell’ultimo decennio testimoniano che le classi popolari non lo hanno riconosciuto come un avversario, mentre tale riconoscimento è sopravvissuto in parte per la Lega e quasi interamente (salvo alcune specifiche zone d’Italia) per Fratelli d’Italia.
Bisogna quindi evitare che quei gruppi sociali finiscano per cambiare soltanto padrone, indirizzandosi ad esempio sul Paragone di turno. Come è (o sarebbe stata) necessaria un’attenzione al centro per evitare la confluenza nella Lega delle scorie berlusconiane, così l’azione sulla questione sociale è fondamentale per evitare la crescita dell’estrema destra. Il segretario nazionale della CGIL ha speso parole chiare sul tema; neppure Draghi dovrebbe sottrarsi a una simile responsabilità.
Alessandro Zabban
Stiamo assistendo abbastanza sbigottiti a una crisi di governo a dir poco peculiare. Draghi continua a godere di una solida maggioranza, ha superato un voto di fiducia e quasi tutta l’élite politica ed economica italiana ed europea gli chiede di rimanere. Non c’è nessun motivo perché il governo debba cadere. Abbiamo assistito a governi molto più deboli, frammentati, divisi di questo che hanno tirato a campare senza preoccuparsi troppo delle loro contraddizioni.
Il 5 Stelle non si è neppure sfilato, ma ha tardivamente (come sempre) opposto un minimo di resistenza al Decreto Aiuti (dove è stata ingiustificatamente inserita una norma che conferisce al Sindaco di Roma i poteri per la realizzazione di un inceneritore da 700 milioni).
Di fronte a un normale scontro fra forze politiche di coalizione, le dimissioni di Draghi appiano una reazione del tutto sproporzionata alla gravità della situazione. Appare abbastanza chiaro che il premier voglia sfilarsi dalle sue responsabilità, in vista di uno scenario economico pessimo, che fa apparire all’orizzonte lo spettro di manovre “lacrime e sangue”, anche senza mettere in mezzo i rischi pandemici e di rifornimento energetici.
Insomma può indignare che una forza politica voglia uscire dal governo per un calcolo elettorale (in questo momento, stando al governo, si perdono voti e non ci sono prospettive di miglioramento, anzi). Ma che lo voglia fare chi è stato messo lì teoricamente per gestire la fase emergenziale e farsi da garante dell’affidabilità italiana, appare quantomeno sconcertante. Se a questo aggiungiamo che Draghi ha delle responsabilità oggettive sulla situazione attuale, in particolare per la posizione “di pancia” sulla guerra in Ucraina che compromette i rifornimenti energetici a basso costo dalla Russia, essenziali per la nostra economia, emerge il profilo di un leader tutt’altro che responsabile.
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.