Cosa insegna la Brexit sull’educazione privata: il cambio di rotta del Labour e la globalizazione del businnes dell’istruzione
Mentre nel nostro paese il dibattito su privato e pubblico nell’educazione langue, ancora impantanato sul ruolo delle scuole private cattoliche nel sistema scolastico nazionale, è dall’Inghilterra che viene un grande salto in avanti sulla riflessione sul ruolo dei privati nell’educazione, e la valutazione è totalmente negativa.
Tra le mozioni approvate all’ultima conferenza del Labour ce n’è una che vincola il partito, nel caso in cui vada al governo, a mettere al bando il sistema privato dell’educazione, recuperando i beni degli istituti privati e redistribuendoli al sistema pubblico.
Se è poco credibile che si possano espropriare i beni di aziende private, per quanto abbondantemente sostenute dal denaro pubblico, non è impossibile un intervento sulle agevolazioni fiscali di cui godono le charity school e sui finanziamenti pubblici di cui beneficiano. Comunque un bel cambio di posizione sul tema, da parte del Labour: ai tempi di Blair fu il suo governo ad affossare ogni tentativo di riforma del sistema educativo a danno del privato e a favore del pubblico.
In qualche modo, è immaginabile che anche questo sia un effetto, seppur indiretto, della Brexit: la maggior parte dei primi ministri inglesi sono stati educati in scuole e università private, inclusi i disastrosi Johnson e Cameron, entrambi educati prima a Eton e poi a Oxford. Si è diffusa in una parte dell’elettorato la convinzione che essere educati in una scuola d’élite non serva a ricevere una educazione migliore (visti i casi umani), ma solo a beneficiare di migliori contatti, e quindi ad imboccare giovanissimi una corsia preferenziale che porterà ad incarichi pubblici e lavori di prestigio indipendentemente dalla proprie effettive capacità.
Le public school inglesi, nonostante lo status di charity, accolgono quasi unicamente studenti paganti, selezionando i figli di famiglie ricche attraverso rette altissime (Eton, Harrow e Winchester costano circa 40.000 sterline per anno scolastico). Nonostante le rette astronomiche, le scuole private inglesi beneficiano di trasferimenti di denaro pubblico, sconti sulle tasse e esenzione dall’IVA. Dalle charity schools si accede con più facilità ai college più prestigiosi e di conseguenza a carriere di rilevo: mentre meno del 10% della popolazione inglese riceve un’educazione privata, oltre il 40% dei giornalisti, oltre il 50% dei lords e oltre il 60% dei giudici hanno ricevuto educazione privata. Resta la domanda se questi risultati siano merito dell’educazione ricevuta o dell’essere stati inseriti fin da giovanissimi nel giro di quelli che contano.
Sulla condizione delle scuole private inglesi si era espresso nel 2017 anche Michael Gove, Segretario di Stato all’istruzione del primo governo Cameron, definendole “drogate di welfare” e caldeggiando la rimozione degli importanti benefit fiscali di cui godono. In queso senso la situazione inglese – in cui leader sindacali e politici di primo piano di entrambi i maggiori partiti si esprimono apertamente contro gli istituti privati – risulta interessante anche per il nostro paese, perché quel modello che in Inghilterra raccoglie critiche si sta rapidamente espandendo all’estero nei paesi di tradizione educativa non anglosassone.
Il mercato dell’istruzione ha una dimensiole potenziale seconda solo a quello della sanità: il valore del mercato dell’istruzione era valutato, a livello globale, circa 5 mila miliardi di dollari, con una proiezione per il 2020 pari a 6,3 mila miliardi di dollari. Di conseguenza sono molti i paesi – incluso il nostro, seppur con un certo ritardo causato dal controllo monopolistico della Chiesa Cattolica sull’educazione non statale – in cui cresce il numero di scuole che hanno come modello educativo quello anglosassone e come target commerciale le famiglie dell’alta borghesia, sia grazie all’espansione di multinazionali dell’educazione, sia per intervento dell’imprenditoria locale, puntando a costituire percorsi scolastici privilegiati per la futura classe dirigente del nostro paese. Questo mentre interi sistemi educativi dei paesi “economicamente meno sviluppati” vengono appaltati a multinazionali dell’educazione, che realizzano una nuova forma di colonialismo basato sulla cultura anziché sulle armi.
Immagine da pxhere.com
Delegato sindacale CGIL dal primo contratto di lavoro, rimasto tale anche durante i periodi di precariato a vario titolo, alla faccia di chi dice che il sindacato non è per giovani e per precari. Ora funzionario sindacale per la FLC CGIL. Sono stato in minoranza di qualsiasi cosa durante tutta la mia storia politica.