La beatificazione di Marchionne
Raramente l’economia occupa le cronache quotidiane della discussione diffusa nel Paese. La morte di Sergio Marchionne ha colpito anche perché inattesa, data la giovane età e la riservatezza mantenuta sulle sue condizioni di salute. FCA occupava gli spazi dei giornali per lo sviluppo del suo progetto industriale, nettamente sbilanciato su marchi quale Jeep e lusso, a sfavore del nucleo storico di FIAT. Il cambio di vertice pare essere stato inatteso per la stessa azienda.
Per non far mancare nulla alla nostra Penisola sui social e nel sistema di informazione si è accesa la polemica su come si dovrebbe reagire di fronte al lutto di un protagonista del sistema occidentale.
Tra politicamente corretto, frustrazioni diffuse e consueta irrazionalità nei confronti, le nostre Dieci Mani tentato di fare il punto su uno dei principali temi di questi giorni.
Piergiorgio Desantis
La morte di Marchionne porta a riflettere sulla Fiat e sul capitalismo italiano.
La Fiat (ora FCA) non è, di fatto, più un’azienda italiana, anche se continua a essere controllata dalla famiglia Agnelli tramite Exxor, perché non ha sede legale né fiscale né la maggior parte degli operai lavora più nel nostro paese. È un’azienda finanziariamente (apparentemente) sana con i conti in ordine e un valore azionario molto più solido rispetto al giorno del debutto in Borsa.
Tuttavia, si stagliano sullo sfondo ombre preoccupanti: innanzitutto si capisce che, dal punto di vista occupazionale, l’Italia sarà un paese sempre più destinato alla produzione di un mercato di extra lusso e, quindi, sempre meno rilevante in termini di sviluppo e di lavoro. Ciò significa che la grande polemica e referendum del 2010 che ha portato la Fiat a disapplicare il contratto collettivo nazionale era veramente una grande finzione costruita ad arte (oltretutto il lavoro incide assai limitatamente sui costi di produzione) per avere una situazione favorevole per l’azienda e non per chi ci lavora.
FCA, semplicemente, non è presente nelle sfide delle altre grandi aziende dell’automotive mondiale ovvero auto elettrica e auto con pilota automatico. In Italia, ci siamo accontentati di una dichiarazione di Marchionne che non vedeva sviluppo in questi due importanti progetti. Non c’è stato alcun governo che, neanche ora con la fine di un’era, abbia convocato il management FCA per capire il futuro delle scelte aziendali e le prospettive occupazionali italiane. Dal Governo (quelli precedenti e quello attuale) e della politica tutta (tranne rare eccezioni) un coro unanime di consenso e di esaltazione senza senso (con alcuni esponenti che si sono contraddistinti per la superficialità delle analisi).
Il capitalismo italiano (ciò che rimane) si conferma ancora più residuale e periferico in Occidente e destinato, probabilmente, a regredire e a essere ancora più gregario e subalterno alle scelte altrui senza alcun progetto, visione e sviluppo nel futuro.
Il nuovo esercizio del borghese benpensante consiste nel divieto di critica del morituro. Come se fosse inevitabile, arrivati alla fine, di trarre un bilancio dell’esistenza e del passaggio in Terra di una persona in un determinato tempo storico. Per i personaggi pubblici è la normalità, d’altra parte hanno scelto loro di esporsi. Che poi l’umana pietas debba coglierci collettivamente frenando i nostri giudizi è quantomeno una falsità storica. Posso limitarmi a riportare come vennero ricordati due personaggi politici di opposti schieramenti come Slobodan Pralijak e Fidel Castro: uno giudicato senza appello come “boia” nonostante sia giunto ad ammazzarsi in critica a tale sentenza, il secondo ha impersonificato il Male per l’Occidente durante il Novecento e in morte è inevitabilmente arrivato dai suoi delatori quel “la Storia non lo assolverà”. E non parliamo poi delle tonnellate di insulti scaricate su un criminale comune come Charles Manson, per giunta affetto da problemi psichici pare per via della durissima infanzia: la vera personificazione del Male in Terra.
Insomma, per prima cosa ci venga almeno risparmiato il discorso da benpensanti per cui non si può inveire contro un personaggio politico morto o in procinto di morire, siccome lo hanno fatto persino quelli iscritti a un Ordine. Ricordo inoltre che per Castro, come per Thatcher d’altra parte, vi furono addirittura dei festeggiamenti collettivi e pubblici per la loro morte. È inevitabile in un mondo in cui tutto è politica che anche la morte di un personaggio politico generi reazioni politiche.
E Marchionne per l’Italia non è stato un personaggio politico qualsiasi, ma oserei dire il personaggio politico più influente e rilevante del nuovo millennio. La sua mission come Amministratore delegato di Fiat fu l’internazionalizzazione dell’azienda si dice, in realtà Marchionne si occupò soprattutto di accorpare Fiat ad altre imprese, implementando ulteriormente la centralizzazione dei capitali e cannibalizzando ciò che rimaneva dell’automotive americano dopo la crisi del 2008. Dopo aver sfruttato lo Stato italiano a dovere gli Agnelli si dedicavano così al drenaggio di risorse pubbliche pure laddove non erano mai riusciti ad entrare, cioè negli Stati Uniti d’America. L’impresa manageriale ovviamente ha spostato la centralità dell’Italia, semplicemente perché la Fiat ha cessato di essere la principale impresa della famiglia Agnelli, che siccome non è nota per la produzione in regime di beneficenza, concentra il suo operato laddove può massimizzare i profitti, cioè sul brand Jeep e Chrysler.
L’operato di Marchionne non si è quindi caratterizzato unicamente per essere stato il primo Amministratore delegato di Fiat a portare la produzione, il lavoro vivo, al di fuori dell’Italia delocalizzando semplicemente i siti produttivi Fiat. Si è trattato invece di uno stratega, lautamente pagato (si ricordi l’enorme sproporzione nella retribuzione tra di lui e l’addetto alla catena di montaggio), che ha ripianato i debiti della Fiat inglobando altri attori globali indeboliti dalla crisi, facile risolvere le crisi di bilancio impadronendosi dei bilanci degli altri verrebbe da dire… Un pescecane che aveva poco da recriminare al più spregiudicato dei broker, si veda in merito la rivendicazione di aver incrementato in termini stratosferici i guadagni per gli azionisti del gruppo.
Ovviamente in una politica simile, rivolta all’incremento spregiudicato dei profitti, a costo di tagliare la produzione, per ripianare i debiti anche le politiche sindacali e la stessa contrattazione collettiva nazionale risultarono un mero intralcio. Marchionne fu essenzialmente questo: un leader d’azienda estremamente spregiudicato nella gestione che riuscì nell’impresa di ripianare i debiti (con questo non è assolutamente detto sia riuscito a stabilizzare l’azienda). Le sue politiche furono un mix di finanziarizzazione, ricentralizzazione e antidemocraticità. Il fatto che l’era postmoderna viva di questi idoli che assomigliano più a delle macchiette se tirati giù dal loro trono è sintomo della pochezza dei tempi che abbiamo la sfortuna di attraversare. Invece, che gli Stati accettino di alimentare la mitologia di queste figure è semplicemente un errore politico. Il parlamento italiano potrà dedicare il suo minuto di silenzio a un capitalista senza timore di cadere in contraddizione solo quel giorno in cui questo avrà contribuito alla collettività nazionale, anziché a spremere i figli della Patria per ripianare dei bilanci privati.
Il concentramento in poche grandi aziende globali, almeno nel settore della produzione di automobili (ma non solo), è dato per scontato. Nonostante la retorica sul libero mercato, il “nuovo mondo” del XXI secolo pare non avere spazio per piccole e medie imprese, se non in termini di circuiti locali (almeno per ora). Marchionne ha avuto il merito, secondo larga parte della stampa, di tenere un piede sull’uscio, prima di vedere chiusa la porta dell’autonomia produttiva di FIAT. In attesa di nuovi assembramenti, la piccola realtà italiana si sente oggi tra i protagonisti di tutto il pianeta! Non importa se poi fondamentalmente l’anima statunitense di FCA è prevalente, o se a guidare i nuovi orizzonti commerciali saranno Jeep e marchi del lusso.
La sua immagine patinata lo rendeva estraneo alla cronaca quotidiana politica, nonostante gli scontri indecenti con i corpi intermedi (sia Confindustria che FIOM). Impressionante è la beatificazione del santo ancora morente, con Il CorSera arrivato a elogiare persino il “vezzo della forfora” (leggi qui).
Il moderato «il manifesto» si è ritrovato persino proiettato indietro di decenni, accusato di voler male ai “padroni”, per un titolo assolutamente in linea con la sua tradizione. Non c’è poi neanche uno solo dei populisti al governo che si sia sfilato dal coro di elogi. In fondo però non c’è da stupirsi. Anche Bertinotti c’era cascato molti anni fa.
Quando non si fa politica, si può solo commentare quello che accade, spesso facendolo secondo lo stile difeso da René Ferretti. Politiche industriali per l’Italia e l’Europa continuano invece a mancare dalle agende strategiche e dai dibattiti tra le forze politiche. Basta ricordarsi ogni tanto che in fondo siamo tutti essere umani (???).
La definizione di Marchionne con cui +Europa lo ha commemorato sui social – “un grande italiano globale” – richiama, per i due ultimi termini, un breve ma dettagliato ritratto rilasciato al Fatto Quotidiano da Giorgio Airaudo, sindacalista Fiom che fu segretario della federazione di Torino, del comitato del Piemonte e responsabile nazionale auto per la Cgil. Secondo Airaudo sono esistiti due Marchionne, separati cronologicamente dalla crisi economica mondiale: il primo, l’italiano, che ha perseguito il rilancio degli investimenti industriali nel nostro Paese; il secondo, l’americano, che ritenendo l’Italia un attore troppo debole per resistere allo sconvolgimento globale ha cercato di aggregare la Fiat ad altre aziende e spostarne il baricentro.
Ciò che, al di là della vicinanza lessicale, separa i due commenti è che per +Europa l’Italia stessa può realizzarsi solo nel mercato globale, mentre secondo Airaudo non esiste globalità ma soltanto interessi nazionali specifici e normalmente in reciproco contrasto.
Dal punto di vista gestionale è impossibile non registrare come Marchionne abbia fatto «l’interesse dei suoi azionisti» (nelle parole di Renzi), procurandosi peraltro riconoscimenti di affidabilità anche dalle sue controparti. Ma nella conversione da “italiano” ad “americano” il solco più profondo è stato scavato con l’uscita da Confindustria e la stipula, nel 2010, di un proprio contratto di lavoro che avrebbe garantito l’agibilità sindacale delle sole sigle firmatarie.
È necessario però chiedersi se l’americanizzazione del modello di relazioni industriali sia soltanto un inganno architettato da Marchionne arcidiavolo oppure non sia stato piuttosto un passaggio per la sopravvivenza stessa del gruppo Fiat, obbligato dalle condizioni del sistema capitalista – ed è questo, e non l’uno o l’altro amministratore delegato, a dover essere ritenuto responsabile.
Renzi ha ricordato un breve scambio di battute con Marchionne dopo la concessione governativa di incentivi fiscali per la produzione Lamborghini nel 2015. Il manager abruzzese lamentò: «lei questo per la Fiat non lo ha mai fatto», al che il Presidente del Consiglio rispose che gli aiuti di Stato alla Fiat sarebbero stati «scomputati dal passato». L’assenza di produzioni all’avanguardia in Italia e la focalizzazione su vetture di lusso non possono essere imputate né ai dirigenti, che per salvaguardare le aziende di cui sono responsabili altro non possono fare che cavalcare i flutti del mercato, né a un destino cinico e baro che condanni l’Italia a prodotti di nicchia (nei quali peraltro eccelle, ma la cui scarsa influenza in termini di volume provoca il ristagno della produttività). È semmai un intero piano industriale, di dimensione continentale, ad essere clamorosamente assente in Europa. La frammentazione politica degli stati e staterelli del Vecchio Continente, ça va sans dire, non solo tarpa le ali alla loro ripresa ma li rende anche esposti ai fortissimi venti del mercato e all’egemonia dei giganti, magari argillosi, che hanno la stazza per resistere. Una forte e autorevole direzione politica della globalizzazione economica costituirebbe la sintesi delle parti di verità contenute tanto nel più-europeismo delle «magnifiche sorti e progressive» quanto nel rassegnato post-bismarckismo sottinteso da Airaudo.
Il caso Fiat-Chrysler resta, nell’implicita denuncia di un’assente programmazione europea, la maggiore eredità lasciataci dall’opera aziendale di Marchionne.
Il neoliberismo non è solo un’arida pratica economica ma un sistema socio-culturale con i suoi valori, simboli e credenze. Come tale, produce le sue liturgie, i suoi miti e i suoi eroi. Finita l’epopea dei “costruttori” come Rockefeller e Henry Ford, siamo ora transitati nel regno dei “gestori”, passaggio che segna l’avvento di un epoca in cui la tecnologia del potere è indissolubilmente legata a una disciplina tanto fragile (epistemologicamente) quanto potente (politicamente): il management. Non sembra ormai esserci niente che possa sfuggire alla logica manageriale: non solo la fabbrica, non solo l’impresa, ma anche la scuola, l’ospedale, lo stato, finanche l’individuo necessita di una gestione manageriale. Tutto deve essere ottimizzato in funzione della necessità del mercato. Viviamo così in una società dell’ottimizzazione manageriale che non risparmia niente (l’istruzione si misura in “competenze” acquisite, le cure mediche sono “prestazioni sanitarie” mentre l’individuo è chiamato a gestire ogni aspetto e minuto della sua esistenza con l’imperativo categorico di massimizzare se stesso (non in base a valori e obiettivi definiti in maniera autonoma ma in base alle aspettative della società di mercato).
In tutto questo, un personaggio come Marchionne non può che rappresentare l’archetipo della virtù eroica. Figura salvifica, taumaturgica di una Italia malata e in crisi, il manager è il visionario, il saggio, il rivoluzionario, il Maestro. Indica la strada da percorrere, mostra la via da seguire, offre con la sua vita l’esempio virtuoso da seguire (l’esaltazione mediatica della sua stakanovista dedizione al lavoro come modello di comportamento che tutti dovrebbero tenere). Nei bilanci finalmente in verde della FCA sembra di intravedere la Salvezza, folle miraggio di una società rievangelizzata sotto il segno e la benedizione del mercato.
Su Militant-blog.org è uscito un articolo che definisce giustamente la santificazione di Marchionne da parte della stampa e dell’opinione pubblica italiana come puro “onanismo manageriale”: un coro di lodi, sia da destra che purtroppo anche da “sinistra”, che encomiando l’uomo Marchionne, glorificano la società neoliberista e la sua logica che punta a ridurre ogni aspetto dell’esistenza a un esercizio di gestione manageriale e di affannosa e disperata ottimizzazione continua.
O la sinistra inizia a prendere sul serio il problema dell’egemonia culturale e dell’ideologia neoliberista oppure fra un paio di decenni nei pochi corsi di filosofia ancora attivi nelle Università invece di studiare Platone, Marx o Hegel si studierà il pensiero imprenditoriale dei vari Jeff Bezos e Marchionne e le pillole di saggezza propinate dai vari Steve Jobs e Bill Gates.
Immagine di copertina liberamente ripresa da www.flickr.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.