30 anni fa in America usciva il libro più importante di James Ellroy: “L.A.Confidential”. Il grande scrittore americano è tornato lo scorso 16 giugno a pubblicare il romanzo “Questa tempesta”. Un libro sull’odio razziale negli anni 40. L’autore vuole farci capire che quello che sta succedendo oggi parte sempre dal passato. Questo scrittore è fra i più grandi al mondo perchè seppe trasmettere ai lettori cos’era il genere hard boiled. Ellroy riprese dalla scuola di maestri come Chandler e Hammet. Un secolo fa il termine, che letteralmente significa duro bollito, fu coniato traendo origine da un’espressione colloquiale su un uovo. Ha quindi il significato di sodo, compatto. Questo genere si differenziava dal giallo tradizionale perché è violento, duro, freddo, senza paura.
“Pulp Fiction” di Tarantino, per esempio, deriva proprio da questa tradizione culturale. Le riviste “pulp” derivano proprio dall’hard boiled.
La bravura di James Ellroy fu quello di ribaltare uno dei canoni del genere: invece che un investigatore unico che si atteggia da duro, in “L.A. Confidential” tutto è triplicato. I detective sono tutti diversi, non ci sono buoni o cattivi, ma in ogni persona sono insiti più aspetti nella personalità. Sta al lettore/spettatore entrare nella psicologia e carpirne i valori, gli ideali in relazione alle azioni. Fare questo non è facile, soprattutto se poi lo devi traslare sul grande schermo.
Abbiamo oggi numerosi casi di film che hanno fallito miseramente per le troppe ambizioni. Lo stesso Ellroy, quando Warner comprò i diritti del libro, ebbe paura che questo film fosse all’altezza a causa della trama particolarmente intricata che comprendeva un centinaio di personaggi importanti, una decina di storyline che si intersecano e una durata temporale dilatata (otto anni). Fortunatamente andò bene, anche se non aggiunse nulla di nuovo ai canoni del genere noir: prostitute, poliziotti corrotti, città stracolma di scandali.
Sette anni dopo l’uscita del libro, Curtis Hanson (The river wild, 8 mile) si prese la briga di girare un adattamento cinematografico con appena 35 milioni di dollari. Pochissimi vista la cura dei dettagli e il cast stellare a disposizione. Il film vinse due Oscar (sceneggiatura e attrice non protagonista – Kim Basinger) e fu presentato al 50° Festival di Cannes. Ci vollero ben 7 stesure del copione per riuscire a convincere Ellroy.
Tuttavia va detto: il film, seppur ben fatto, è un’altra cosa. Non solo la sceneggiatura ha ridotto all’osso la storia, ma ha perfino cambiato i rapporti tra molti personaggi finendo per oscurarne diversi. Probabilmente se fosse uscito nel 2020, avrebbero fatto una serie di almeno 3 stagioni per poter raccontare i fatti del romanzo.
Oltre a semplificare la storia (per rientrare nella durata di poco più di 2 ore e un quarto), venne cambiato totalmente il finale e il colpevole. Il tempo della narrazione viene ridotto da sette anni a qualche mese, molti personaggi sono appena accennati (vedere alla voce Lana Turner e Johnny Stompanato che ebbero realmente una relazione) o stravolti, come nel caso di Jack Vincennes. La storia spicca anche per un intreccio tra fiction e realtà: nel romanzo appaiono o vengono citati il magnate Howard Hughes (incarnato da Di Caprio nel film “The aviator” di Scorsese), l’allora capo della polizia di Los Angeles William H. Parker, l’editore Robert Harrison, il musicista Spade Cooley, il mafioso Jack Dragna, il già citato gangster Mickey Cohen. Nel film non vi è traccia di tutto ciò o è tutto compresso, accennato.
Accanto al regista, la sceneggiatura fu scritta dalla sapiente penna di Brian Helgeland (Mystic River, Bourne Supremacy, Legend). La fotografia di questo film era di un italiano: il friulano Dante Spinotti. Una leggenda vivente che ha firmato all’estero le immagini di film indimenticabili come Nemico Pubblico, Heat la sfida, Insider e L’ultimo dei mohicani di Michael Mann, ha lavorato in Italia con Wertmuller, Salvatores, Benigni e Olmi. Le luci contribuiscono a rendere questo film affascinante.
Il cast di attori era impressionante: i semisconosciuti (all’epoca) attori australiani Russell Crowe e Guy Pearce, altri esperti come DeVito, Strathairn e Cromwell, oltre a Kevin Spacey che era reduce dal successo di Seven e dall’Oscar de I soliti sospetti. Accanto a loro la “pupa” Kim Basinger (Batman di Tim Burton e 9 settimane e mezzo). Tuttavia, rispetto al libro, ci sono diverse omissioni volute.
Mancano le donne. Tranne la già citata Basinger, le altre sono macchiette. Nel libro di Ellroy sono figure forti, autoritarie e, a differenza degli uomini, compiono le loro azioni alla luce del sole senza vergognarsene. L’utilizzo “dell’involucro estetico” come crisma per attrarre e poi colpire. Lo stesso personaggio di Kim Basinger nel libro è completamente un’altra cosa.
E poi nel film di Hanson non c’è traccia della pedofilia nel mondo del cinema. Ellroy spesso nel libro cita personaggi con alcuni pseudonimi: tra questi c’è un certo Raymond Dieterling. L’autore di Moochie Mouse il topo, Scooter Squirrel lo scoiattolo e Danny Duck il papero. Chi sarà mai questo misterioso personaggio?
Ma certo è proprio lo zio Walt: quel simpatico antisemita e fascista, padrino di ogni bambino, di Mr Disney. E poi c’è Preston Exley che nel film viene ricordato dal figlio (il tenente Ed) come agente morto in circostanze misteriose, mentre nel libro è il proprietario di una importante azienda di costruzioni legata alla politica e alla malavita.
La cosa più complicata del libro è riuscire a “filtrare” le tante informazioni, mantenendo la storia fluida. Ci sono tantissimi personaggi, tante situazioni, tanta ironia e un’ambiguità che sostanzialmente regna sovrana. Il film è sicuramente compresso, per cui il rischio aumentava esponenzialmente. Specie poi se hai un budget non elevatissimo e una major, la Warner, che ti morde le caviglie come un pitbull pur di risparmiare.
Il libro apre tante parentesi, è una selva. Non ti basta a volte Virgilio per uscirne vivo. Ellroy trasporta emotivamente lo spettatore, sballottandolo, per fargli capire che in questa storia la morale serve solo per incartarci il pesce fresco. Sempre che vi piaccia.
iamo nella pericolosa Los Angeles degli anni 50. Come dice il capitano della polizia, Dudley Smith (James Cromwell), “tornatene nel tuo paese, questa è la città degli angeli, e tu non hai ancora le ali piccolo”. Questo era il biglietto da visita, che assomiglia molto ad alcuni cardini della destra italiana di oggi.
Il film parte subito forte con la voce narrante di Danny De Vito che ci dà un’infarinatura della situazione. L’arresto del boss Mickey Cohen ha provocato un vuoto di potere e i gangster della città si azzuffano per prenderne il controllo (vedi qui). L’inizio è magistrale, con la sua fotografia vintage, patinata e glamour. Siamo sui livelli di dettaglio di “Chinatown” di Roman Polanski o di “Heat” di Michael Mann (non a caso è stato scelto lo stesso direttore della fotografia). Sembra esser uscita da cartoline dell’epoca. Ma il sogno americano è un pugno nello stomaco.
Los Angeles è la metropoli dove abitano i divi di Hollywood, i poliziotti corrotti, i gangster e selvaggi traffici di droga e prostituzione. Chi li controlla, ha una buona fetta di città dalla sua parte.
Sia il libro sia la pellicola si incentrano su tre personaggi principali. Tre poliziotti diversissimi: il diligente Ed Exley (Guy Pearce), il picchiatore Bud White (Russell Crowe) e il cinico Jack “Hollywood” Vincennes (Kevin Spacey) che indagano su casi apparentemente slegati. Ognuno ha qualche pregio e qualche difetto (alcuni ne hanno più di uno). In parole povere il buono, il violento e il corrotto. Attenzione però perché tutti e tre hanno i loro lati oscuri. Il migliore dei tre attori è sicuramente Kevin Spacey, reduce dall’Oscar de I soliti sospetti e da Seven di Fincher. Non sembra nemmeno recitare, è completamente a suo agio. Tant’è che allo scoppio del caso “Me Too”, la sua carriera è stata fortemente compromessa dai suoi atteggiamenti. E’ stato più volte accusato di molestie sessuali. A tal proposito c’è un’intervista di Guy Pearce sui fatti ai tempi delle riprese di questo film. L’attore australiano ha rivelato che Spacey “allungava spesso le mani” (vedi qui).
Exley, nel film, è il figlio di un noto detective del dipartimento ucciso in servizio da un criminale impunito. Nel libro invece il padre si chiama Preston Exley e lavora nel distretto di polizia. E’ proprietario di una grossa azienda di costruzioni legata alla politica e alla malavita. Ma torniamo al film. Ed rispetta le regole, è diligente e vuole superare la fama del padre. È decisamente un leccaculo e farebbe qualsiasi cosa pur di far carriera. White, che a dodici anni ha assistito alla morte della madre per mano del padre, è un picchiatore sostanzialmente, ma ha un grande pregio: odia profondamente gli uomini che picchiano le donne. Spesso aiuta queste e molto spesso piace al gentil sesso. Vincennes è un investigatore della squadra antidroga che gli piace arrotondare come consulente tecnico per la serie televisiva poliziesca “Lampi di Gloria”. Riceve spesso mazzette da Sid Hudgens (Danny DeVito, come al solito perfetto), direttore del giornale scandalistico “Zitti-Zitti” (in originale Hush-Hush) per fare scoop. Hudgens sembra una sorta di Alfonso Signorini. Nel film la figura di Vincennes è stata ampiamente rivista ed è decisamente più “politically correct”. Nel libro infatti oltre a essere corrotto, è perfino tossicodipendente.
Contemporaneamente a loro c’è un ricco signore, Pierce Patchett (David Strathairn), legato alla malavita, che gestisce un ricco traffico di prostitute travestite da dive del cinema. Qui c’è un vasto campionario con “qualsiasi cosa desideriate”. Tra queste c’è Lynn Bracken (Kim Basinger), una donna che riesce ad attrarre gli uomini solo quando entra in gioco il suo doppio: ovvero quando è la sosia dell’attrice Veronica Lake. A differenza di tutte le altre colleghe, lei è naturale (tranne il colore dei capelli). Ma solo Bud White riesce ad intravedere le sue qualità di donna. Quando i due si incontrano, lei non ha più bisogno di essere Veronica Lake. Come lei anche Jack Vincennes è una “puttana” che fa onore al corpo di polizia quando è sul set di “Lampi di gloria”. Mentre Ed Exley e Bud White in realtà sono le due facce della stessa persona e ciò si riflette sul volto di Lynn Bracken (in tal proposito nel film c’è una scena che non ammette dubbi in tal senso, mentre nel libro la vicenda è parecchio più complessa).
Tuttavia i reali protagonisti della pellicola sono l’incertezza e l’ambiguità. Tutti hanno un prezzo. Sembra di rivedere “I tre giorni del Condor” di Sidney Pollack. Non vi fidate di niente e di nessuno.
Ellroy attinge anche da un fatto reale: nel 1951 ci fu il cosiddetto “Natale di sangue” (Bloody Christmas). Una scena volutamente forte, dalla violenza brutale. Nel dipartimento di polizia di Los Angeles, 2 bianchi e 5 latinoamericani vennero pestati a sangue dai poliziotti locali. Nel film tale avvenimento è quello che scatena l’azione (la scena in lingua originale la potete vedere qui). I latinoamericani però nella pellicola sono messicani. Trump ne sarebbe fiero (se poi ci fosse stato il Muro al confine…).
Tra i poliziotti incriminati dei fatti di sangue ci sono anche Bud White, l’amico e collega Dick Stensland e Jack Vincennes. Exley, per fare carriera, fa il politico e al processo fa il supertestimone. Naturalmente quasi tutto il distretto lo odia, White in particolar modo.
Stensland viene licenziato un anno prima della pensione, Vincennes viene ridimensionato alla “buon costume”, White perde pistola e distintivo. Tuttavia il capitano Dudley Smith (il veterano James Cromwell) presto lo richiama in servizio per menare i criminali che provengono dall’estero.
Il lettore/ spettatore non ha tempo di riprendersi che arriva subito la “strage del Night Owl”.
Una sparatoria all’interno di una nota caffetteria del centro di Los Angeles.
La descrizione della scena è magistrale. Entrando dalla porta si vede un locale vuoto: un disordine sistematico, il barman freddato a terra. In fondo al locale due macchie di sangue sul muro.
Sul pavimento delle strisciate rosse. Alcuni corpi sono stati spostati.
Nel bagno il tenente Exley, arrivato per primo sul posto, scopre una selva di corpi. Tra questi c’è Stensland, ex poliziotto corrotto. Quando Bud White vede l’amico steso, diventa una bestia ed inizia a buttarsi a capofitto nelle indagini. E poi c’è Vincennes che cerca di fare il colpo grosso per risalire nelle gerarchie del corpo di polizia.
La strage sembra un banale caso, ma piano piano emergono fatti sempre più inquietanti: White e Exley scoprono un giro di poliziotti corrotti, Vincennes scopre il giro di prostitute di Patchett. Ma servono le prove per spiegare l’unione tra questi oscuri traffici. Tutto sembra banale, ma il caso avrà risvolti impensabili. A complicare le cose ci pensa White che si innamora della sosia di Veronica Lake, la prostituta Lynn Braken (Kim Basinger che vinse l’Oscar per questo ruolo sfaccettato). A loro due toccano le battute più pepate del film:
“Lei dice cazzo tante volte” – dice lei.
“E lei conosce bene l’oggetto” – ribatte lui. Nel complesso “L.A. Confidential” è un film difficilmente eguagliabile e imitabile che ancora non è stato contagiato dalla moda moderna della diluizione in serie tv (come è capitato a “Snowpiercer” di recente). Dal 1997 a oggi solo Brian DePalma, dopo Curtis Hanson, è riuscito a “tradurre” Ellroy in un film. Era il 2006 e l’opera si chiamava Black Dahlia.
FONTI: storia dei film, mymovies, badtaste,ilcineocchio
L.A. CONFIDENTIAL ****
(USA 1997)
Genere: Noir, Hard Boiled, Poliziesco
Regia: Curtis Hanson
Sceneggiatura: Curtis Hanson e Brian Helgeland
Fotografia: Dante Spinotti
Cast: Guy Pearce, Kevin Spacey, Russel Crowe, James Cromwell, Kim Basinger, Ron Rifkin, Danny DeVito, David Strathairn
Durata: 2h e 17 minuti
Trailer Originale qui
Vincotore di due Premi Oscar: Miglior sceneggiatura non originale (Brian Helgeland e Curtis Hanson) e Miglior attrice non protagonista ()Kim Basinger
Prodotto e distribuito da Warner Bros
Budget: 35 milioni di dollari
La frase: A certi uomini tocca il mondo intero, a certi altri un’ex prostituta e un viaggio in Arizona. Tu sei tra i primi, ma, mio Dio, non ti invidio il sangue che hai sulla coscienza.
Regia **** Interpretazioni ****1/2 Sceneggiatura **1/2 Fotografia *****
Immagine da www.cinematographe.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.