Dopo lo straordinario exploit della sua opera prima “L’odio” (1995), l’attore Mathieu Kassovitz decise di continuare ad esplorare il cinema dietro la macchina da presa. Lo affascinò questo progetto, ispirato dal libro “I fiumi di porpora” di Grangé (edito da Garzanti in Italia). Così lo scrittore e il regista collaborarono insieme a scriverne un soggetto per il grande schermo.
Nel 2004 Olivier Dahan ha portato sullo schermo il sequel “I Fiumi di porpora 2 – Gli angeli dell’Apocalisse”. Nel cast c’era sempre Jean Reno protagonista. Accanto a lui Benoit Magimel e Christopher Lee. Tuttavia la mancanza di Kassovitz si faceva sentire e non legava nemmeno le scarpe al primo capitolo. Prendendo spunto da film americani come Seven, Il silenzio degli innocenti e, in parte, da Shining, si nota ancora una volta il gusto di Kassovitz per l’orripilazione, per la mutilazione dei corpi.
Va detto che il romanzo di Grangé è un’altra cosa. Vi spiegherò più avanti la principale differenza.
La cosa che appare meno interessante e più superflua allo spettatore è quello che accade all’inizio. Per Kassovitz è invece l’essenza dell’intero impianto. C’è la macchina da presa che letteralmente avvolge un cadavere di un giovane, ricoperto da ghiaccio, larve, blatte e ditteri. Il corpo è rannicchiato come un feto ed è privato di mani e occhi. Il motivo lo dice nel corso del film l’oftalmologo (interpretato da Jean Pierre Cassel, padre dell’attore Vincent): sono le parti univoche che differenziano ogni individuo. È il nostro marchio genetico.
Poi la macchina da presa, si sposta su un aereo come nel prologo di Shining, seguendo una macchina nera che sta arrivando a Guernon, piccolo paesino immaginario incastonato nelle Alpi francesi (il film è stato girato tra Grenoble e l’Alta Savoia). È la vettura dell’esperto commissario di polizia Pierre Niemans (Jean Reno) che da Parigi è stato mandato a risolvere un caso difficilissimo. La descrizione dei luoghi, degli ambienti è maestosa. Kassovitz dirige da veterano, piazzando il primo indizio: la telecamera si sofferma su un cartello indicante il sito dell’Università. Ci tornerà utile più avanti. Il commissario Niemans è un duro, parla poco ed è incorruttibile. Solo Jean Reno poteva interpretarlo.
Il cadavere ritrovato in alta montagna è quello di un giovane che lavorava come bibliotecario per l’Università: Remy Caillois. Come detto, però le mutilazioni non promettevano niente di buono. Soprattutto c’è da capire il perché di questa brutale uccisione. Niemans trova solo un possibile indizio: la tesi di laurea scritta da Remy che recita “Noi siamo i padroni e noi siamo gli schiavi. Noi siamo ovunque e non siamo da nessuna parte. Regniamo sui fiumi di porpora”. Da qui si capisce che la scienza ha un ruolo fondamentale nel dipanare la matassa.
Contemporaneamente a Sarzac, a diversi chilometri di distanza, il giovane ispettore Max Kerkerian (Vincent Cassel) indaga su una tomba profanata da gruppi neonazisti. A indicarlo ci sono delle croci uncinate e svastiche, disegnate con lo spray. Il caso è strano: la tomba è di una bambina di 10 anni. La madre, divenuta poi suora (Dominique Sanda), sostiene che sia stato il demonio ad uccidere la piccola in uno strano incidente stradale. Anche questa famiglia proveniva da Guernon e stava scappando da un male oscuro.
Pierre Niemans scopre altri corpi, grazie al contributo di un’esperta alpinista della zona, Fanny Ferreira (Nadia Fares). Anche lei lavora per l’università. Max riesce ad individuare la macchina di un uomo visto al cimitero. Facendo un controllo incrociato sul numero di targa, scopre che il sospettato vive a Guernon. I due casi combaciano. Ma perché? Max e Pierre, caratterialmente opposti come Brad Pitt e Morgan Freeman in “Seven”, dovranno coordinarsi nelle indagini per arrivare alla verità. Rispetto al libro c’è una differenza fondamentale: Max nel romanzo di Grangè si chiama Karim Abdouf ed è un giovane poliziotto di origini magrebine. Una cosa non da poco visto che Vincent Cassel è un uomo di razza bianca caucasica (come direbbe l’on. Nullazzo del trio Aldo, Giovanni e Giacomo nei bei tempi con la Gialappa’s band).
Fin dall’inizio Kassovitz dissemina domande, ma c’è subito un particolare importante: la macchina ferma sul cartello che conduce all’Università di Guernon.
Un vero e proprio tempio dell’orrore secondo il regista. Non interessa la trama, i personaggi o l’identità del serial killer. E’ il ruolo di questo luogo che viene meno. All’entrata dell’università c’è la scritta “Scientia sumus”, ma non c’è etica. Il serial killer ha fatto strage di persone appartenenti a quella comunità. Tutto conduce lì. Ogni cadavere conduce all’indizio successivo. I due detective dovranno per forza adeguarsi al gioco di uno squilibrato.
La descrizione di Kassovitz è intelligente: ci mostra un luogo apparentemente tranquillo, dove tutti sono ordinati e addomesticati. Ma alla distanza emerge la verità.
L’Università rappresenta un sistema chiuso, una setta impenetrabile, un unico organismo che lotta per la sua sopravvivenza. Tutti hanno il loro posto nella “società” e non possono modificarlo. Il rettore avvisa subito Niemans al loro primo incontro: “accusare uno di noi è come accusare tutti”.
A peggiorare le cose poi c’è un reparto maternità, all’ interno dell’università, che serve a preservare lo scopo di questa comunità: far sposare tra loro i figli fisicamente sani dei montanari locali con i figli degli intellettuali. Mens sana in corpore sano. I fiumi di porpora non sono altro che il sangue degli uomini perfetti. Un covo di nazisti che vogliono creare la razza perfetta. Erano proprio i seguaci di Hitler a seguire la pratica dell’eugenetica in tempi di guerra. Il Fuhrer attribuiva, infatti, lo stato di debolezza della nazione all’esistenza di “elementi degenerati”, che avevano compromesso la purezza della popolazione. Era di sua opinione quindi che gli “elementi degenerati” dovevano essere eliminati il prima possibile. La riproduzione dei forti e dei razzialmente puri doveva essere incoraggiata, mentre i deboli ed i razzialmente impuri avrebbero dovuto essere neutralizzati.
L’Università di Guernon è ispirata a casi come la clinica di Hadamar in Germania. Questo sito fu usato dai nazisti come sede principale degli esperimenti del programma Aktion T4.
Nel complesso “I fiumi di porpora” è un film costruito con intelligenza e perizia, dove l’apparenza di rettitudine si eleva sul marcio che in realtà impera. Anche se la sceneggiatura si contorce un po’ troppo fino ad un colpo di scena finale più banale di quello che ci si poteva aspettare. È un film zeppo di corpi, pieni di vermi asserviti a un uso improprio della scienza. L’ideale non esiste, l’orrore fa il resto. Basta non farsi domande.
In Francia sanno fare i thriller psicologici. Quando la qualità del film tende a calare, ci pensano l’azione e il carisma di Jean Reno e Vincent Cassel a coinvolgere gli spettatori. Alla fine “I fiumi di porpora” resta un valido film, che fa pensare.
FONTI: Cinematographe, verocinema.com, Glispietati, comingsoon, ilmondochecipiace.it
Regia **** Interpretazioni **** Fotografia **** Sceneggiatura ***1/2
I FIUMI DI PORPORA ***1/2
(Francia 2000)
Genere: Thriller
Regia: Mathieu Kassovitz
Sceneggiatura: Mathieu Kassovitz e Jean Christophe Ggrangé
Cast: Jean Reno, Vincent Cassel, Nadia Fares, Dominique Sanda, Jean Pierre Cassel, Laurent Lafitte
Durata: 1h e 46 minuti
Fotografia: Thierry Arbogast
Produzione: Gaumont
Distribuzione: Filmauro
Tratto dal romanzo omonimo di Jean Christophe Grangé edito da Garzanti
Trailer Italiano qui
La frase: Accusare uno di noi è come accusare tutti.
Immagine da www.wikipedia.org
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.