«Ho dimostrato la mia teoria. Ho provato che non c’è nessuna differenza tra me e gli altri! Basta una brutta giornata per ridurre alla follia l’uomo più assennato del pianeta. Ecco tutta la distanza che c’è tra me e il mondo. Una brutta giornata» (da “The killing joke”)
Sento particolarmente questa recensione. Joker per me è il personaggio dei fumetti che da ragazzo ha cambiato il mio modo di pensare. Mi ha fatto vedere certe cose, mi ha fatto capire temi complicati (tra i tanti l’identità, la solitudine, l’inadeguatezza, i doppi lati della persona, il capitalismo, la sanità mentale, ecc…). Batman ha appena compiuto 80 anni (auguroni!). Oggi sono grato alla follia di Bob Kane e a coloro che me lo hanno consigliato. In chiave cinematografica ho amato le interpretazioni precedenti di Jack Nicholson (Batman di Tim Burton – 1989) e di Heath Ledger (Il cavaliere oscuro di Nolan – 2008), ma il chiodo fisso nel mio cervello è sempre stato: perché nessuno racconta le origini del personaggio? Perché non viene contestualizzato nel contemporaneo? Chi è Joker oggi?
Voglio chiarire subito una cosa. Trarre un film da un fumetto non vuol dire che è un’opera da bambini, anzi. Non a caso l’uscita del film negli Stati Uniti è visto come un problema di ordine pubblico: nel 2012 all’anteprima del “Cavaliere Oscuro il Ritorno” ci fu la ormai famosa strage ad Aurora nel Colorado. Secondo quanto riportato da alcuni siti, il comando dell’Esercito USA ha inviato un dispaccio ad uso interno per avvertire il personale in servizio di “restare in allerta”in prossimità e dentro le sale cinematografiche, di “individuare le uscite di sicurezza” e in caso di sparatoria di “fuggire, nascondersi, combattere”. La nota precisamente dice di “fuggire se puoi”, di “nasconderti se sei bloccato” e di “combattere con qualunque mezzo a disposizione” se vieni trovato dall’aggressore (vedi qui). Se tutto ciò vi sembra esagerato (d’altronde sono americani), sappiate però che è quello che sta accadendo. Ciò dovrebbe far capire la portata di questa storia. Quando sono uscito dal cinema ho capito il perché e Trump fa bene a temere il film (notare il finale). Todd Philips, il regista, ha risposto alle polemiche da gran signore mostrando di essere sorpreso dagli atteggiamenti di censura: “Il film prende una posizione sulla mancanza di amore, sui traumi infantili e sull’assenza di compassione del mondo. Sono sorpreso. Non è salutare avere delle discussioni su un dato argomento? Non va bene discutere dei film e della violenza? Perché dovrebbe essere valutato negativamente un film che suscita un certo discorso”.
Sono felice che Todd Phillips abbia esaudito il mio sogno: non è un film per la “massa” come Avengers Endgame (realizzato con un budget quasi 6 volte superiore), non ha toni da cinecomic, ci sono pochi effetti speciali, è soprattutto un viaggio nella psiche umana con messaggi di grande attualità. Usate il proprio cervello con le dovute precauzioni e soprattutto non seguite il gregge. Eppure suona strano che questo regista, noto per la trilogia del demenziale “Una notte per leoni”, potesse essere in grado di vincere una sfida di tale portata. Invece questo regista spiazza continuando a mostrare l’errato uso della mascolinità: se ne “Una notte da leoni” c’è una velata critica a questi eterni Peter Pan, qui è tutto condensato nella prima folgorante scena della metro dove Arthur assiste a un gruppo di maschi che infastidisce una donna. Eppure ha dichiarato di non essersi ispirato fedelmente al fumetto Dc, anche se tra i riferimenti c’è soprattutto la splendida graphic novel “The Killing Joke” di Alan Moore (con disegni di Brian Bolland) del 1988. Guarda caso lo stesso autore di V per Vendetta. Il perché di questo incontro fortuito lo spiegherò più avanti. Dopo aver scritto la sceneggiatura con Scott Silver (autore di “The fighter”), Phillips ha impiegato circa un anno per convincere la Warner Bros a realizzare il progetto. Finalmente ha vinto la sfida.
La Warner, proprietaria dei diritti cinematografici dei personaggi DC, non poteva sbagliare. Il rischio era che Disney prendesse ancora più quota dopo l’acquisizione della Fox. I cinecomics Dc non hanno mai funzionato (Suicide Squad, Batman Vs Superman) al cinema. Solo Nolan era riuscito a fare una trilogia importante. Aveva puntato tutto sulle origini di Batman e aveva fatto centro. Phillips non solo ha capito l’errore, ma ha trovato la soluzione. Warner strizzava l’occhio alla Marvel / Disney (per Batman vs Superman aveva addirittura ingaggiato Joss Wheddon, regista del primo Avengers, per rifare parte delle riprese), ma non era in grado di copiare. Il regista ha capito che dovevano fare qualcosa che Marvel / Disney non avrebbe mai fatto. La Warner però voleva puntare su soldi facili, sui supereroi per tutta la famiglia. Alla fine la major ha ceduto. Phillips, come Tarantino in “C’era una volta a Hollywood”, ha ricercato l’essenza dell’“altra Hollywood”. Ovvero quella che accoglieva le proteste della controcultura giovanile degli anni 60.
I toni sono diventati adulti, dark. Bisognava fare un film folle, senza regole. Evitando di fatto di andare a strizzare l’occhio a ogni tipo di pubblico. La scelta di Joaquin Phoenix è stata sicuramente importante. Accettare la sfida di superare la performance di Heath Ledger era quasi impossibile, ma lui c’è riuscito. Anche Christian Bale, ovvero il Batman nella trilogia di Nolan, ha applaudito il coraggio del collega. Come dice il critico Federico Pontiggia sul “Cinematografo”, la sua è una “prova totale e totalizzante: balla, ride, s’intorcina, dà e prende, aria, emozioni, precipizio e fatalità”. Una full immersion recitativa sulla scia di Jim Carrey nel memorabile “Man on the moon” (1999) di Milos Forman in cui l’attore canadese interpretava quel genio chiamato Andy Kaufman. In una scena Phoenix addirittura è pettinato come Carrey/Kaufman nel film sopra citato.
Phillips cerca di scomparire, di lasciare nelle mani dell’attore il potere quasi totalitario della performance. Una scelta condivisibile. La regia si nota eccome. La macchina da presa segue il protagonista e soprattutto fa “vedere” la città.
Tuttavia non ci sarebbe Joker senza Phoenix. La prima sfida vera dell’attore è stata il dimagrimento repentino, stile Christian Bale de “L’uomo senza sonno”, per far capire che il personaggio è affetto da dipendenza agli psicofarmaci (anche se Phoenix aveva proposto al regista l’approccio apposto. Leggete qui).
Ed eccoci qui a commentare un unico episodio (anche se ci credo poco…) sulle origini del più grande criminale di casa Dc Comics. Quel clown che il buon Batman non riesce mai a battere. Un motivo che dovrebbe far scaturire più di una riflessione: dopo la morte dei genitori, la sete di giustizia di Bruce Wayne è tale che ha fatto nascere un “doppio” malato che non dà fiato ai criminali. Joker non è altro che il riflesso di questa malattia. E’ nei fumetti, ma anche Burton e Nolan nei loro film erano riusciti benissimo a farlo capire. La zampata di Phillips però stavolta è un’altra: via Batman (anche se Bruce Wayne bambino appare in alcuni frammenti) e dentro il cinema di Scorsese, opportunamente miscelato con la follia di “Tempi moderni” di Charlie Chaplin e le maschere tragiche di “Luci della ribalta” (Charlie Chaplin e Buster Keaton per la prima volta insieme), oltre al già citato fumetto “The killing joke”. Ma non solo perché sotto la superficie si possono notare diverse influenze del cinema anni 70: da “L’esorcista” e “Il braccio violento della legge” di Friedkin (epico l’inseguimento in metropolitana) al “Il giustiziere della notte” con Charles Bronson, passando per “Quinto potere” di Sidney Lumet. “Se avrò un passato, preferisco che sia una scelta multipla!” – diceva Joker nella graphic novel. In effetti tale indicazione c’è. Perché Joker prende ispirazione da capolavori degli anni 70 come Re per una notte e Taxi Driver. In entrambi il protagonista era Robert De Niro che interpretava individui ribelli con grossi limiti. Phillips ha voluto De Niro per omaggiare “Re per una notte” assegnandogli il ruolo che nel film di Scorsese era di Jerry Lewis. Ma veniamo al film.
Siamo nei primi anni ’80. La città è un personaggio. Batman è l’unico fumetto dove il posto in cui vivi ti corrode e ti consuma. Il fetore della spazzatura ti divora. La fotografia in tal senso è meravigliosa e immerge fin da subito lo spettatore in una Gotham City travestita da fogna decadente invasa da rifiuti e topi. Spaccio, mafia, corruzione e spazzatura ad ogni angolo. Il crimine ha quasi libertà totale. Tutto è molto realistico. Sembra la New York anni 70 di “Taxi Driver” o dei “Guerrieri della notte”. Nei ceti popolari c’è malessere e voglia di rivalsa verso l’odiata borghesia (rappresentata dal miliardario candidato sindaco Thomas Wayne, ovvero il padre di Bruce “Batman”, che ricorda molto Donald Trump). In metropolitana puoi trovare di tutto di più. La città è una polveriera multietnica. Gli manca solo il detonatore per esplodere. E poi c’è lui, non si chiama Joker, ma Arthur Fleck (Joaquin Phoenix, doppiato da Adriano Giannini che torna a dare la voce all’iconico personaggio dopo aver “italianizzato” Heath Ledger nel Cavaliere Oscuro). Se per Travis di “Taxi Driver” il suo mezzo era “una bara su due ruote” (definizione dello sceneggiatore Paul Schrader), per Arthur la gabbia è Gotham. Già questo è il primo tassello che va al suo posto. Il regista dice di essersi ispirato a “Stairway to heaven” dei Led Zeppelin per imprimere il ritmo del film: inizia lentamente bruciando a fuoco lento mentre costruisce la sua tesi per poi scatenarsi nella seconda parte. Quando inizia il film, si capisce che Fleck è malato, disadattato, schizzato, ma non ha ancora manifestato tutto il suo potenziale. Arthur ride per non piangere, in maniera isterica. Non è un modo di dire, è uno stile di vita conclamato. Lo si capisce dalla risata incontrollata, tipica di un malato di mente (notare la prima bellissima scena nella metro). Phoenix è riuscito nell’impresa ascoltando dei file audio di persone realmente affette da malattie di questo tipo. Vive a casa con la mamma mentalmente instabile, da bambino ha subito violenze. Lavora come pagliaccio per un’agenzia per “portare risate e gioia nel mondo”, ma non ne ha interesse. Non ha amici, tutti lo prendono in giro e sono piuttosto apatici e crudeli con lui. “Ho sempre pensato alla mia vita come una tragedia, adesso vedo che è una commedia”. Già qui viene fuori lo sdoppiamento di Arthur. Un giorno viene licenziato perché aveva con sé una pistola (omaggio nemmeno tanto velato a “Taxi Driver”). Sogna di diventare “Re per una notte” (come il Rupert Pupkin, guardo caso, di De Niro) o meglio un comico da cabaret. Il suo idolo è Murray Franklyn (Robert De Niro, grandissimo anche come “spalla”), conduttore televisivo che alimenta in lui il concetto di “Show must go on”. Queen permettendo. Rupert Pupkin di “Re per una notte” diceva “guardo tutta la mia vita e vedo cose terribili e allora la trasformo in qualcosa di divertente”. La stessa cosa capiterà anche ad Arthur. La società gli fa fare il “salto”: bullismo ed emarginazione creano mostri. “Pensavo che la mia vita fosse una tragedia, ma adesso capisco che è una commedia” – dirà Arthur. Intrappolato in una vita senza grandi vie di uscita e ignorato dagli altri, Arthur prenderà una decisione sbagliata che avrà forti ripercussioni sul resto della società.
Come Michael Douglas di “Un giorno di ordinaria follia”, chiunque può trasformarsi in una belva senza controllo. Infatti questa metamorfosi non eliminerà i traumi e i disturbi che puntualmente torneranno a manifestarsi. La brama di apparire, di far parte della società mediatica lo farà cambiare una volta per tutte. La metamorfosi si compie nella scena della scalinata. Phoenix esegue un balletto mentre scende gli scalini ispirandosi a Ray Bolger (The old soft shoe) con il contributo del coreografo Michael Arnold (già collaboratore di Spielberg e Scorsese) e delle ottime musiche della compositrice islandese Hildur Guðnadóttir. Poi quando entra in scena, Arthur chiama Murray Franklyn e gli chiede di annunciarlo con il nome di Joker: maschera del saccheggio urbano, il paladino degli insofferenti, degli umiliati e degli ultimi. Il cerone di Joker è ispirato al serial killer John Wayne Gacy che negli anni 70 sodomizzò e uccise 33 adolescenti. Li adescava con un costume da clown. La cosa fu ripresa da Stephen King per tratteggiare il personaggio di “IT”. Ma c’è di più. Joker è una via di mezzo tra il Travis insofferente di Taxi Driver, il Pupkin smanioso di celebrità di “Re per una notte” e la maschera no global di V per Vendetta: ecco servito il volto perfetto della vittima del capitalismo e della globalizzazione ai tempi di Trump. “Non ho mai saputo se esistevo veramente, ma esisto. E le persone cominciano a notarlo” – dirà Arthur. Vi dico solo che il finale è grandioso, mi sono commosso.
La cosa però più importante del film è la sua anima squisitamente politica. La depressione e l’insoddisfazione di Arthur lo portano a creare un mostro. Il suo dolore è capibile, ma come ha detto Joaquin Phoenix “il fine non giustifica i mezzi. Mai. Come esseri umani abbiamo degli obblighi da rispettare. Il fatto che Joker dichiari guerra al mondo perché il mondo è stato cattivo con lui è un ragionamento assurdo. La catena prima o poi va spezzata. Altrimenti il prezzo lo paghiamo tutti”. Per questo il film si appresta a entrare nell’immaginario collettivo. E’ un’opera straziante, ricca di emozioni, cupa e spettacolare. Difficile che lasci indifferenti perché fa vedere al suo meglio un “carnevale umano” con tanta disperazione e aridità, raccontato con efficacia. Tanto che alla fine viene da chiedersi chi siano i veri pagliacci della nostra società. La risposta non è affatto scontata. Un film epocale, bellissimo, ambizioso, crudo, folle e necessario. Dopo la vittoria del Leone d’Oro a Venezia 76, gli Oscar si avvicinano. E Joaquin Phoenix merita di stringerne uno.
Fonti: Comingsoon, Cinematografo, Mymovies, Best Movie, Venerdì di Repubblica, Bad Taste, Ciak, Rivista “Storie” (Duesse Editore), “The Killing Joke” di Alan Moore (Dc Comics), Film TV
Foto di copertina: cinematown.it
Regia ***** Interpretazioni ***** Colonna sonora **** Film ***** Sceneggiatura ***** Fotografia ***** Doppiaggio ***1/2
10 opere (e mezzo) consigliate prima di vedere Joker:
Tempi moderni (1936) di e con Charlie Chaplin
Luci della ribalta (1952) di e con Charlie Chaplin, con Buster Keaton
Il viaggio violento della legge (1971) di William Friedkin con Gene Hackman
Quinto potere (1976) di Sidney Lumet
Taxi driver (1976) di Martin Scorsese con Jodie Foster, Robert De Niro, Harvey Keytel
Re per una notte (1983) di Martin Scorsese con Robert De Niro, Jerry Lewis
Batman (1989) di Tim Burton con Jack Nicholson, Michael Keaton
Man on the Moon (1999) di Milos Forman con Jim Carrey, Paul Giamatti
V per vendetta (2005) di James McTeigue con Natalie Portman, Hugo Weaving
Il cavaliere oscuro (2008) di Christopher Nolan con Heath Ledger, Christian Bale
Inoltre consiglio la graphic novel
“Batman: the killing joke” (1988) di Alan Moore e Brian Bolland
JOKER *****
(USA 2019)
Genere: Thriller / Drammatico
Regia: Todd Phillips
Sceneggiatura: Todd Phillips e Scott Silver
Fotografia: Lawrence Sher
Cast: Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Bill Camp, Frances Conroy
Durata: 2 Ore circa
Produzione e Distribuzione: Warner Bros Pictures
Uscita: 3 Ottobre 2019
Leone d’Oro al 76° Festival di Venezia
Trailer
Budget: 55 milioni di dollari
La frase: Non ho mai saputo se esistevo veramente, ma esisto. E le persone cominciano a notarlo.
Immagine da www.cameralook.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.