Recita di Natale, bambino autistico: sono gli ingredienti dell’ennesimo “scandalo” che ha per protagonisti la disabilità e la (non) integrazione scolastica. Il casus belli, raccontatoci dai giornali, ha come epicentro la mancata partecipazione, per decisione della maestra, di un bimbo autistico alla recita di Natale. Motivazione? l’allievo non parla e non riesce a stare in fila con i compagni.
Andando oltre l’ingiustizia del fatto in sé è necessario analizzare i fatti cercando di essere oggettivi e, soprattutto, allargando il campo al tema generale dell’integrazione scolastica.
La scuola è considerata la
palestra della società, uno spazio più o meno protetto in cui
ci si prepara ad affrontare la vita adulta, con tutto ciò che
comporta: gioie, dolori, soddisfazioni, delusioni e, ahimé, anche
ingiustizie. Questo vale per tutti, ma soprattutto per coloro che
partono da una posizione diversa e, sia detto senza ipocrisia, più
difficile rispetto agli altri.
A scuola si sperimenta il
rapporto con persone che non fanno parte del nucleo familiare.
Aggiungiamoci, come nella classe napoletana balzata agli onori della
cronaca in queste battute finali di 2019, la presenza di un bambino
autisico: se è già difficile per le maestre, che in ogni caso sono
persone adulte ed abituate ad avere a che fare con bambini (ma magari
non con bambini affetti con disabilità), immaginiamoci cosa possa
significare per un bimbo di 5 anni trovarsi testa a testa con un
compagno che si comporta in maniera incomprensibile.
Per questo motivo l’integrazione non
può essere demandata solamente ai buoni sentimenti, ma necessita di
preparazione e conoscenza della problematica da integrare.
Nel caso di specie non servirebbe a nulla, è brutto da dire ma
è così, mettere il bambino in scena senza dare, a lui ed alla
classe, gli strumenti per andare oltre l’integrazione “con lo
scotch”: come possiamo pretendere che un bimbo di 5 anni con
autismo possa partecipare ad una recita? nella migliore delle ipotesi
si limiterà a starsene in un angolo…
Dobbiamo essere
consapevoli che l’integrazione di un disabile nella società non è
in nessun caso improvvisabile, ma anzi per realizzarla al meglio
serve impegno e consapevolezza: non è sufficiente desiderare
qualcosa per renderla possibile, ed anche una semplice recita di
bambini dell’asilo può essere una dura prova da affrontare per le
maestre di un ragazzino con problematiche particolari.
È necessario studiare molto bene
gli accorgimenti, anche ma soprattutto (secondo me!) tecnici per
rendere la recita un momento degno di essere ricordato: se il
compagno ha difficoltà di parola è inutile impuntarsi perché canti
in coro con gli altri… forse è più opportuno lasciar dare sfogo
alla sua vivacità creando un’occasione di ballo libero. In questo
modo sarà anche lui parte della recita, aggiungendo qualcosa al
quadro disegnato dall’intera classe.
In questo processo è
ovviamente fondamentale il ruolo delle maestre, che devono essere
brave a far capire ai genitori la non volontà punitiva degli
accorgimenti messi in essere, ma anzi si devono adoperare per far
vedere loro il lato positivo: il bambino non sarà condannato ad
essere un elemento di disturbo, ma anzi avrà un ruolo da solista
disegnato su di lui!
Non si sta dicendo che si tratti di una
soluzione facile da realizzare: anzi, per rendere possibile ciò che
sembra quasi impossibile tutti gli attori della vicenda devono essere
messi in condizioni di recitare al meglio la loro parte, e di
prestare ascolto agli altri.
L’integrazione scolastica (ma anche,
e forse più, nella società) non può durare un mese, ma è un
processo che deve pervadere tutte le fasi della vita: nessuno deve
essere lasciato indietro, in nessun caso ci si può limitare a
mettere un bimbo o un adulto in vetrina ed usarlo come manifesto di
un’integrazione di facciata.
Ovviamente si deve cercare di
spingere anche il bimbo protagonista della vicenda oltre il suo
limite, ma ciò deve essere fatto con intelligenza, sensibilità e
conoscenza del problema e di quello che ci si può ragionevolmente
aspettare nel caso di specie. D’altronde lo diceva Einstein “se
si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi
lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”: non possiamo
pretendere che qualcuno divenga totalmente altro da sé e faccia cose
che materialmente non può fare, pena farlo sentire totalmente
inadeguato!
La vicenda della scuola di Napoli è
esemplificativa di quello che ruota intorno all’integrazione
scolastica di un bambino disabile: trovandosi di fronte ad una
situazione difficile sembra che la si voglia affrontare con ricette a
base di buoni sentimenti, ma non condite da spirito pratico!
Non
possiamo sperare che lo spirito del Natale faccia il miracolo, né
che la slitta di Babbo Natale porti via la disabilità del bimbo:
dobbiamo prendere il toro per le corna, guardare in faccia la realtà
e analizzare la situazione in maniera quasi chirurgica. Data una
difficoltà da risolvere l’unica strada percorribile è raccogliere
tutti i dati in nostro possesso e di conseguenza mettere giù una
strategia di risoluzione della criticità quanto più pratica, si
torna lì, e dettagliata possibile.
Infatti il fine ultimo di
tutti i soggetti che giocano in squadra con la persona in difficoltà
non deve essere vincere semplicemente la partita, ma il campionato:
non è importante inserire l’allievo nella recita scolastica a tutti
i costi, ma lavorare perché piano piano gli si possa trovare un
posto nella società, perché la sua statuina possa essere sistemata
in un presepe destinato a non essere smontato dopo il 6 gennaio.
Ma
soprattutto dobbiamo avere chiara la tempistica: l’integrazione non
si realizza da Natale a Capodanno, ma da Capodanno a Natale!
Immagine Friends’ Central School (dettaglio) da flickr.com
Nata a Firenze il 17 novembre 1983 ha quasi sempre vissuto a Lastra a Signa (dopo una breve parentesi sandonninese). Ha studiato Lingue e Letterature Straniere presso l’Università di Firenze. Attualmente, da circa 5 anni, lavora presso il comitato regionale dell’Arci.