L’aumento dei costi delle materie prime si sta traducendo in un significativo rincaro nelle bollette di luce e gas ma anche in un più generale carovita che riguarda molti beni di prima necessità, a cominciare da quelli alimentari. Il governo Draghi ha già stanziato diversi miliardi contro l’aumento delle bollette ma queste misure non sembrano essere sufficienti ad evitare un ulteriore fardello economico che rischia di pesare soprattutto sui più vulnerabili. Al di là degli interventi emergenziali, sembrano dunque essere necessarie risposte strutturali a un welfare che da molti anni è sottofinanziato, mentre i salari degli italiani sono al palo da un decennio e fra i più bassi dell’area Ocse. La pandemia e uno scenario internazionale mutato obbligano a dare risposte concrete su questi aspetti. Come si sta muovendo il governo da questo punto di vista? E quali scenari possiamo immaginare o auspicare?
Leonardo Croatto
Tutti i commentatori danno per oramai in ripresa l’economia, dopo un forte e duraturo raffreddamento dei consumi dovuti alle clausure imposte per fronteggiare la pandemia.
Legata a questa ripresa dei consumi l’ISTAT registra anche, da mesi, una consistente crescita dell’inflazione. Questo ottobre l’indice dei prezzi al consumo ha registrato un aumento dell 0,6% su base mensile e del 2,9% su base annua. Come nei mesi precedenti, la crescita dell’inflazione è legata prevalentemente alla crescita dei costi dell’energia: +20,2% a settembre, +22,9% a ottobre. Aumentano anche altri beni di prima necessità: alimentari lavorati +1,4%, trasporti +2,4%. Come conseguenza, sull’intero anno il prezzo dei bei aumenta del 4% e dei servizi di oltre l’1%.
A questi dati è interessante affiancare quelli sulla poverta. Come conseguenza della pandmia, si registrano in povertà assoluta oltre due milioni di famiglie, oltre 5,6 milioni di individui, oltre 1,3 milioni di minori. questi dati, relativi al 2020, sono i più alti dal 2005, inizio delle serie storiche a disposizione dell’ISTAT. E’ del tutto evidente che un aumento diffuso dei prezzi dei beni di prima necessità rischia di aggravare le statistiche sulla povertà, mentre su queste dinamiche incombe pure la fine del blocco dei licenziamenti previsto a fine anno.
Nel nostro paese è stata fatta, tra la fine degli ’80 e l’inizio dei ’90, la scelta di sganciare i salari da dinamiche regolate per legge. Della morte della scala mobile, come per altre brillanti riforme del lavoro, si devono ringraziare socialisti e socialdemocratici (e non solo in Italia: anche nel resto dell’Europa i partiti di area socialista si sono messi a disposizione del capitale nella guerra contro il lavoro).
Aver affidato la dinamica salariale al solo conflitto sindacale, eliminando le tutele di origine normativa, non ha prodotti i risultati positivi per i lavoratori (e, di conseguenza, ne ha prodotti eccome per i padroni): gli stipendi nel nostro paese crescono poco rispetto all’aumento dei prezzi, i contratti nazionali si rinnovano con ritardo e spesso non producono un recupero reale del potere d’acquisto.
A questo punto, sarà curioso capire come interverrà un governo esplicitamente, marcatamente di destra. Ad oggi i segnali sono negativissimi, e i lavoratori, specialmente quelli a basso reddito, rischiano di finire in un tritacarne. Una situazione del genere dovrebbe aprire praterie per un partito di sinistra che voglia riprendersi con forza la rappresentanza del lavoro. Peccato che, all’orizzonte, non se ne avvisti neanche uno.
Jacopo Vannucchi
Alessandro Zabban
Draghi si sta dimostrando il primo ministro che era normale aspettarsi. Un liberista sufficientemente flessibile dall’essere consapevole dell’utilità che ha avuto il reddito di cittadinanza, ma anche sufficientemente ortodosso dal lasciare sostanzialmente inalterata la struttura economica e sociale del Paese, che deve avere nell’esportazione la sua vocazione, anche a costo di una forte compressione salariale e dei consumi interni.
Al massimo la strategia per ridare potere d’acquisto agli italiani è quella di passare per una riduzione delle imposte, non nell’obbligare le imprese a pagare salari più alti. In questo modo il gettito fiscale però diminuisce e con esso, tendenzialmente, anche i servizi da cui soprattutto i cittadini meno abbienti dipendono.
L’emergenza sociale nel Paese è evidente e dilagante. I problemi sono molteplici: non solo la disoccupazione ma anche i salari e le pensioni da fame che rendono difficile a molti arrivare alla fine del mese. I salari italiani sono quelli cresciuti meno nell’ultimo decennio in Europa. Se non vogliamo regredire allo stato di paese in via di sviluppo a manodopera sottopagata, occorre che le imprese facciano la loro parte. Andrebbero tassati i grandi capitali e occorrerebbe introdurre il salario minimo, come strumento per rivedere al rialzo tutti i contratti collettivi del lavoro, molti dei quali presentano retribuzioni vergognose.
Il fatto che però non si parli di patrimoniale, non si parli di salario minimo ma che si siano fatte polemiche infinite sul reddito di cittadinanza rende bene l’idea di cosa sia il governo Draghi, a maggioranza politica di centrosinistra ma con una maggioranza ideologica di destra. Aspettarsi grandi conquiste da questo governo è una pia illusione. Dobbiamo solo sperare che riesca ad arginare la quarta ondata pandemica e che le congiunture internazionali non mettano a dura prova le nostre deboli difese.
Immagine da commons.wikimedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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