Al di là di come sarà composto il quadro delle forze che sosterranno Draghi, la scelta del Presidente della Repubblica di optare per una personalità di “altissimo profilo”, esterna ai partiti, ha riacceso il dibattito sulla questione del governo tecnico. Sicuramente la crisi di governo in un momento di emergenza ha messo in luce l’ennesimo fallimento della nostra classe politica e le analogie con Monti non sono mancate, nonostante la situazione socio-economica sia molto diversa. In questo contesto, può essere utile interrogarsi sulla natura del nuovo esecutivo e se la distinzione fra governo tecnico e politico abbia un fondamento o no.
Leonardo Croatto
Ci sono tre elementi che caratterizzano la natura reazionaria – e quindi assolutamente politica – di questo governo: l’invocata superiorità dei tecnici rispetto ai politici, l’insediamento Draghi al posto di Conte raccontato secondo la chiave positiva della restaurazione aristocratica, il mito dell’uomo solo al comando che salva il paese dalla rovina.
Il primo dei tre punti ha una storia vecchia come la repubblica: nel ’44 Guglielmo Giannini fonda L’Uomo Qualunque, giornale, che poi si trasformerà nel Fronte dell’Uomo Qualunque, partito. Giannini sostiene che lo Stato debba essere soggetto puramente tecnico, luogo di gestione di una macchina amministrativa il più possibile leggera condotta da bravi ragionieri. Come sempre, chi si definisce “apolitico”, “né di destra né di sinistra”, alla prova dei fatti dimostra di essere praticamente sempre di destra: Giannini era un fervente anticomunista e il suo partito finì per allearsi, alle elezioni del ’46, con i monarchici. Al referendum dette indicazioni di voto per la monarchia.
Del ben poco edificante esempio di Giannini, che teorizza uno stato senza politica guidato da tecnici e all’atto pratico finisce per tifare per la restaurazione della monarchia, troviamo la riproposizione nella stucchevole narrativa apologetica che da giorni soffoca tutti i canali dell’informazione formale ed informale.
In superficie: una smisurata e pervasiva produzione letteraria volta a realizzare la mitopoiesi del Mario Draghi uomo della provvidenza e salvatore della patria, la cui sapienza, maturata coi migliori studi e le migliori frequentazioni che gli hanno consentito le sue origini non proletarie, egli viene a dispensare – ecumenicamente, svincolato da qualsiasi legame di appartenenza – per redimerci dalla nostra inadeguatezza economico-politica. Sullo sfondo: un sentimento di disprezzo per quelli che sono percepiti e descritti come parvenu della politica che sgorga dalle viscere della classe dirigente, dagli intellettuali, dalla borghesia e che si manifesta con la per niente celata soddisfazione per essersi liberati del governo dei pezzenti. L’aristocrazia che finalmente è riuscita a cacciare il terzo stato dalla Reggia di Versailles, illegittimamente occupata, rimettendo al suo posto un membro della famiglia reale e quindi ristabilendo l’ordine sociale voluto da Dio.
Eccolo, il progetto politico che si nasconde dietro alla retorica del governo dei tecnici: è la profezia di Michael Young in The Rise of Meritocracy che si realizza: se è perfettamente naturale immaginare che solo chi ha certe competenze possa assumere certi ruoli, l’appropriazione del sapere come beneficio di classe e l’esclusione di ampie fette della popolazione da questo diritto è un dispositivo che serve a ricostruire una moderno sistema di privilegi costruito sul possesso delle conoscenze e sull’esclusione di quelli a cui le conoscenze sono precluse.
Piergiorgio Desantis
Non c’è bisogno di scomodare personaggi del passato come Togliatti (o altri) che hanno affermato l’impossibilità di governi tecnici. Anche quest’ultimi, come gli altri, sono governi che esprimono scelte politiche. È desolante la rincorsa al governo Draghi che abbraccerà probabilmente Lega, il Pd, passando per LeU e Fi. Ma al di là della politique politicienne, a marzo ci sono nodi molti importanti da sciogliere: lo sblocco dei licenziamenti, la campagna vaccinale di massa e l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund. Per il momento appare come un governo del Presidente della Repubblica Mattarella, poiché è lo stesso Presidente che ha indicato Mario Draghi quale Presidente del Consiglio incaricato. Ciò ci conduce lungo uno scivolo o precipizio verso una repubblica presidenziale surrogata, mentre il Parlamento viene pian piano svuotato delle sue funzioni. E anche questo non è un bel segnale.
Dmitrij Palagi
Sul quotidiano Domani Marco Tarchi evidenzia l’anomalia della destra italiana “a trazione populista”. Fratelli d’Italia è l’unica forza politica a essersi collocata fuori dalla disponibilità di un nuovo assetto di governo, collocandosi al di fuori del sistema, ma senza mettere in discussione l’alleanza strategica con Lega e Forza Italia. Il centrodestra italiano continua a unire istanze che in altre realtà europee sono tra loro distanti.
Sul Sole 24 Ore D’Alimonte teorizza l’affermazione di un bipolarismo da lui sempre sognato, con un nuovo protagonismo di quella Lega Nord che nel tessuto imprenditoriale dell’Italia settentrionale ha un forte desiderio di farsi investire dalle risorse del cosiddetto Recovery Plan.
Su il manifesto Stefano Fassina invoca l’importanza di avere anche le destre dentro un governo di unità nazionale, per evitare di vedere l’alleanza M5S-PD-LEU finire ingabbiata in una riproposizione locale della cosiddetta “maggioranza Ursula”.
All’interno della sinistra parlamentare non mancano le tensioni, anche all’interno della riscoperta LEU, tra Sinistra Italiana e Articolo 1. Per quanto sia assente dal dibattito pubblico, questa realtà politica ha comunque espresso il Ministro della Salute in una fase straordinaria di pandemia Covid-19. Data l’assenza nella società di un progetto credibile collocato a sinistra del Partito Democratico, sarebbe davvero ingenuo non comprendere il dilemma che attraversa chi sopravvive nelle istituzioni.Fuori si sono visti dei presidi, organizzati principalmente da Potere al Popolo e da Rifondazione Comunista, che hanno riproposto una reazione simile a quella messa in campo dall’allora Federazione della Sinistra in risposta alla nascita del governo “tecnico” di Monti.
Chi scrive ricopre un incarico all’interno di una di queste organizzazioni e quindi sarebbe surreale esprimere giudizi precisi su questo quadro. C’è però un’ultima considerazione, per completare una visione complessiva – di parte – della situazione. Il Presidente della Repubblica ha chiesto un governo con piene funzioni estraneo a ogni formula politica. Un’espressione che contraddice il senso stesso del quadro previsto dalla Costituzione italiana.Il sistema politico si ritira dalla volontà di aprire una discussione sulla gestione pubblica delle risorse economiche che dovrebbero arrivare in relazione al contesto SARS-CoV-2. Non ha potere da esercitare, o meglio vuole non esercitarlo. La funzione di gestione dell’esistente e di commento di quel che c’è, per coltivare il proprio ambito di consenso, è sufficiente. Invece di coinvolgere le persone sul loro futuro, si chiede l’intervento di un “pilota automatico”.
Tutto ciò che è contro il sistema, nel panorama attuale, serve solo a ottenere qualcosa di ben più moderato e di breve respiro, nel quadro del panorama istituzionale. Ogni forma di partecipazione è invece bandita.L’anomalia in Italia non riguarda solo la destra. In Europa si trovano facilmente anche due sinistre. Nel nostro Paese si teorizzano invece le “maggioranze Ursula”, contrapponendo a questa ipotesi un allargamento alle destre. Fuori dal Parlamento prosegue la disarticolazione dell’esistente, sfidando il limite del visibile.
Jacopo Vannucchi
Il nome di Draghi ha immediatamente richiamato lo spauracchio del “governo tecnico” di Monti nel 2011, ma non quello di Dini nel 1995 e questo già è significativo. Il governo Monti nacque in una fase di conclamata emergenza con l’intento di evitare tanto l’insolvenza del debito pubblico italiano quanto la sua ristrutturazione forzosa sotto i diktat della cosiddetta trojka. Suoi interventi principali furono l’introduzione dell’IMU, ossia una forma di imposta patrimoniale; la modifica dell’art. 18 con introduzione dell’ASPI, che sia pur con ogni limite andava nella direzione della creazione di un welfare funzionale al nostro mercato del lavoro e non a quello del 1970; il blocco dell’indicizzazione delle pensioni, i cui compensi furono però restituiti (del tutto o in parte, secondo l’importo dell’assegno) dal Governo Renzi nel 2015.Il governo Dini invece è ricordato per la riforma pensionistica che ha scaricato esageratamente i costi del precedente sistema, compresi tutti i suoi sprechi, sulle generazioni entrate al lavoro dal 1996 in poi.
È significativo perché, appunto, la sinistra conferma di non aver fatto i conti con i mutamenti della sua base sociale di riferimento; art. 18 e blocco delle pensioni retributive sono ricordati come misfatti politici, mentre la riforma delle pensioni, i cui effetti sociali sono ben più strazianti, è passabile perché dopotutto riguarda i nati a partire dal 1975-1980.
Venendo alla natura tecnica del nascituro governo Draghi, anzitutto è da respingere la tesi che essa manifesti il fallimento della politica, visto che proprio alcuni settori politici – più apertamente di tutti Italia Viva – spingevano da mesi per questa soluzione, i cui avversari, del resto, la contestano proprio mettendo in luce la natura comunque politica di qualsiasi governo.Quale sarà dunque la linea politica di questo governo? Per capirlo bisogna guardare anzitutto alle sue potenzialità: un lungimirante e articolato progetto di investimenti per una ripresa economica duratura e quindi socialmente sostenibile, fondata cioè su una condizione del lavoro che consenta esistenze dignitose e non precarie e che quindi possa invertire anche la crisi demografica. Tutto ciò necessariamente all’interno di una maggiore integrazione europea e di un rinnovato protagonismo dell’Italia in Europa e non solo (ricordiamo il G20 di Roma il prossimo ottobre).
Questo programma può ricordare alcuni precedenti nella storia italiana, quali i governi Nitti nel 1919-20, gli intenti newdealisti di Ugo La Malfa, o l’estremo invito di Giorgio Amendola a una appropriata gestione della macchina pubblica. Ma non è difficile vederne la compatibilità non solo con la democrazia progressiva togliattiana, ma anche con l’eurocomunismo berlingueriano. A patto, s’intende, che la sinistra colga questa occasione, invece di spaccarsi tra opposizione preconcetta da un lato e, dall’altro, l’appalto della propria linea politica a terzi, tra l’altro indipendentemente dai nomi di questi terzi (Napolitano, Monti, Conte, Mattarella…).
Alessandro Zabban
In generale, la distinzione fra governo tecnico e politico è molto labile. I ministri del governo Monti hanno operato scelte politiche, nonostante la loro natura di “tecnici”: la riforma Fornero è il frutto di una scelta politica ed ideologica, non un atto amministrativo. Il problema semmai è il misconoscimento della natura politica di ogni operazione che si definisce tecnica, neutrale, né di destra né di sinistra, e così via. I vari processi di “razionalizzazione”, “spending review” che hanno operato dei tagli alla pubblica amministrazione e alla sanità non sono stati tecnicismi guidati dal solo criterio dell’efficienza ma più che altro scelte politiche guidate da idee ed interessi che riflettono una certa visione del mondo. Bisogna dunque essere sospettosi di chi vuol far passare per procedure tecniche delle scelte politiche, perché l’intento è spesso quello di normalizzare un’idea politica, farla apparire come ineludibile e naturale per cercare di neutralizzarne ogni critica o alternativa.
Immagine da commons.wikimedia.org
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