Probabilmente quest’articolo su Franco Battiato è uno dei più difficili che mi sia capitato di scrivere. Il timore di scadere nella retorica, nel già detto, nel banale o viceversa nell’eccesso dell’elogio ostentato e stucchevole è dietro l’angolo. Certamente la complessità del mondo, non solo musicale, ma anche intellettuale, culturale e umano del cantautore siciliano è talmente profonda e per certi versi insondabile che non credo possa essere indagata a fondo in questa sede.
Allora forse, in quest’articolo, chi scrive proverà a raccontare cos’ha rappresentato Battiato nel proprio percorso esistenziale, tentando nello stesso tempo di far luce sulla dimensione non solo privata, ma anche culturale, e perfino “universale” che le canzoni dell’autore di Catania portano con sé.
Mi è difficile, forse impossibile pensare alla mia adolescenza senza le canzoni de La voce del padrone, album “pop” di Battiato, uscito nel 1981, considerato, «più semplice dei precedenti, nonché ballabile»[1], disco di transizione, una cerniera «tra passato e futuro, tra sperimentalismo prog e pop intellettuale influenzato dalla New Wave» [2]. Senza all’epoca conoscere i molteplici livelli e piani semantici anche di quest’album apparentemente più fruibile, avvertivo però che mi sentivo avvolgere da canzoni magnetiche e dal sapore esotico, che riuscivano a trascinarmi in altre dimensioni senza perdere le caratteristiche di orecchiabilità e quotidianità. Bandiera bianca, ascoltata a ripetizione, come in un loop infinito, ci ha lasciato versi che ormai sono delle vere e proprie citazioni che fanno parte del linguaggio quotidiano: “c’è chi si mette gli occhiali da sole per avere più carisma e sintomatico mistero”, utilizzata come dichiarazione auto-parodistica, raffigura perfettamente un gesto e un meccanismo ripetuto infinite volte nato dal bisogno dell’uomo contemporaneo di “darsi un tono” per cercare di aumentare il proprio fascino e ascendente all’interno della società. La musicalità della canzone e l’agilità apparente del testo non devono però trarci in inganno, facendoci dimenticare quanto dietro ogni verso si alluda, seppur con disinvolta maestria, a riferimenti coltissimi, talvolta per criticarli (“a Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata”, è, ad esempio, un biasimo verso un’idealizzazione eccessiva che a parere di Battiato è stata fatta verso i due compositori), talvolta per elogiarli (come viene fatto per Bob Dylan, richiamato dalla metonimia “Mister Tamburino, o per i Doors, evocati dal verso “This is the end, my only friend”, o per Adorno, con l’espressione “Minima Immoralia, che filosoficamente rimanda ai “Minima Moralia”), senza dimenticare le allusioni all’attualità, con la critica al talk-show politici e alla condanna del terrorismo (“ci mancavano gli idioti del terrore).
Così come “Bandiera bianca”, lo stesso mix di citazioni colte e atmosfera popolare si ritrova in Cuccurucucù Paloma, uno dei brani di maggior successo dell’autore catanese, anche qui capace di spaziare da echi musicali e letterari (da Mina a Nicola di Bari, fino alla mimesi musicata del proemio dell’Iliade) a una leggerezza sonora che trascina e permette a chi ascolta di dimenticare, se ne ha voglia, la densità culturale che sottende la canzone, lasciandosi guidare solo dalla fruibilità delle note. In generale tutti i brani dell’album amalgano un’atmosfera surreale e “giocosa” a tematiche spirituali profonde e sapienti: basti ricordare “Centro di gravità permanente”, forse uno dei brani più noti, giocato, in apparenza, su immagini casuali, conduce invece l’ascoltatore alla ricerca della parte più intima del sé, meta ideale e tensione, anch’essa, permanente; o gli “Uccelli”, canzone estremamente poetica, fino a “Summer on a Solitary Beach”, inserita in un’atmosfera irreale e nostalgica, e “Sentimento Nuevo”, lode all’amore fisico.
Altro album, per chi scrive imprescindibile è “L’era del cinghiale bianco”: è l’album che «segna l’accostamento del musicista siciliano alla new wave dopo il “periodo sperimentale” iniziato nel 1970»[3]. Soprattutto la canzone omonima, onirica e surreale, ha suscitato sensazioni enigmatiche e magnetiche in chi scrive, e in generale, dato il successo riscosso nella popolazione generale, ha rappresentato una delle canzoni più seguite di Battiato. Anch’essa in realtà coltissima, nel suo testo si intravedono le reminiscenze di letture che intrecciano la mitologia dei celti, secondo cui il cinghiale era il simbolo di autorità spirituale, alla tradizione indù, secondo cui il cinghiale (varāha), oltre a essere il terzo dei dieci avatar di Vishnu, rappresenta la Shwêta-varâha-Kalpa ovvero era (o ciclo cosmico) del cinghiale bianco. L’idea del cammino, del passaggio, ripercorre molte delle canzoni dell’autore siciliano: come un pellegrino in costante ricerca di un Assoluto che, lungi da essere interpretato in senso cristiano, o univocamente inteso dalla cultura tradizionale, Battiato con le sue canzoni si avvicina alla filosofia sufi e indù per tentare di arrivare a un senso profondo dell’esistenza , provare a risolverne le contraddizioni, “cercando l’Uno al di sopra del bene e del Male”, fare “come l’eremita, che rinuncia a sé”. Brani come La Cura, o E ti vengo a cercare, da cui sono tratti i precedenti versi citati, rappresentano alcuni delle più potenti e magnetiche canzoni d’amore, indirizzate però a una forma di amore spirituale, di trascendenza che anela a sconfinare la terrestrità per raggiungere una meta più alta, indefinibile forse al cantautore stesso, ma che si conferma come moto, come viaggio e desiderio di altrove.
Eppure mai lo spessore delle canzoni si traduce in pesantezza, in seriosità priva da ironia, autoironia o gioco parodico. Il piacere del riarrangiamento ha segnato moltissimi dei suoi brani, basti pensare alle tre raccolte di Fleurs, trilogia che racchiude cover di autori prevalentemente italiani e francesi, oltre tre inediti. Un disco di cover, appunto, legate tra loro dal sottile filo spiegato nel sottotitolo, «e forse soprattutto da un’affinità nel mood, a metà strada tra il malinconico e il nostalgico»[4]. Si passa, solo per citare alcuni testi, dall’omaggio ai Rolling Stones (Ruby Tuesday), a quello per Endrigo, che sentiva a lui stesso molto vicino (Te lo leggo negli occhi), a De André (La canzone dell’amore perduto), passando per il ricordo di Charles Aznavour (E io tra di voi), fino al brano pop cantato insieme a Carmen Consoli in Fleurs 2: brani diversi, rivisitati però dallo stile inconfondibile del Maestro, uniti da dolcezza malinconica e passione vitale. La vita artistica di Battiato, tutt’altro che lineare, attraversa anche una fase di abolizione delle reminiscenze pop: l’album “Come un cammello, in una grondaia”, pubblicato nel 1991, ad esempio, si allontana dal genere di sperimentalismo pop che aveva caratterizzato gli altri album, preferendo uno stile classico, fondato sulla reinterpretazione, attualizzata e spogliata della solennità dei modelli, di quattro lieder ottocenteschi di Wagner, Martin, Brahms e Beethoven, a cui si aggiungono quattro inediti. Anche questo album è denso di citazioni culturali, provenienti soprattutto dalla cultura orientale: il titolo, ad esempio, è infatti una citazione di Al-Biruni, scienziato persiano vissuto nel XII secolo, che era solito pronunciare tale frase per indicare l’inadeguatezza della propria lingua nel descrivere argomenti di carattere scientifico. All’interno spicca Povera Patria che si aggiudicò nel 1992 la Targa Tenco come miglior brano dell’anno: canzone amara e disincantata, incarna la visione volutamente distaccata di Battiato per gli eventi della contemporaneità: segnato da una critica amara e disillusa per la società e, probabilmente, la classe politica del proprio tempo, il tono dell’invettiva che percorre il testo lascia però il posto della speranza nel ritornello: “non cambierà, forse cambierà”.
L’orizzonte dell’impegno civile che, seppur relegato ai margini di un’esistenza volta a cercare il cambiamento all’interno della sfera spirituale piuttosto che nell’agone civile, non ha mai abbandonato del tutto la vita dell’artista: nel 2012 Battiato fu infatti, anche se solo per quattro mesi, assessore al turismo della Regione Sicilia, ruolo presto abbandonato per incompatibilità col mondo politico siciliano con cui difficilmente riusciva a scendere a compromessi. Eppure “le meccaniche celesti” non sono mai state per Battiato una via di fuga, ma un moto costante di indagine etica e conoscitiva, proprio di un artista e di uomo spinto dall’anelito esistenziale di un altrove morale, spirituale e umano. Artista poliedrico e completo, Battiato ha spaziato nella sua carriera, oltre il genere musicale, anche il genere letterario, cinematografico e pittorico, lasciando la sua impronta in tutto ciò in cui si cimentava. Onnivoro nella sua ansia di cultura e sperimentazione, «a un certo punto l’autocompiacimento e il vezzo di cantare stranezze pseudo-colte sono divenuti così palesi da diventare una cifra, inimitata»[5]. E sono proprio la sua unicità, leggerezza, delicatezza, profondità e originalità ad averne fatto oggi una delle figure più influenti del panorama musicale italiano e non solo, un’icona pop capace di unire alto e basso, divertissement e riflessioni elevatissime.
Battiato ci ha condotto negli abissi della miseria umana, degli “abusi di potere”, ma ci ha sospinti anche nelle altezze più elevate, nel suo “oceano di silenzio”, sospeso fuori dalle voci e i rumori frenetici del mondo; ci ha innalzati in un universo poetico, emotivo e umano in cui le connessioni, le sottili connessioni invisibili e impercettibili, si legano con la grazia di chi sa guardare oltre, di chi sa intuire l’immenso, di chi sa sorvolare sopra la mera materia, per afferrare l’orizzonte al di là delle cose, per chi sa cercare e intravedere “l’alba dentro l’imbrunire”. Di chi riesce a prendere il volo verso l’alto, come gli uccelli, omonimo titolo di una delle sue canzoni più belle. E allora buon ultimo volo nelle trascendenze celesti, che toccano le punte dell’infinito, della bellezza, caro Franco, sopra tutto ciò che ormai è solo terrestre, sopra tutto ciò che è tremendamente e miseramente, ma anche meravigliosamente, umano, troppo umano.
Grazie Maestro. Che il tuo lascito prezioso non resti intrappolato in quel vuoto che hai saputo raccontarci, ma che con le tue canzoni, e la tua umanità spirituale, hai saputo riempire.
Immagine da commons.wikimedia.org
Nata a Firenze nel 1988, sono una studentessa iscritta alla magistrale del corso di studi in scienze filosofiche. Mi sono sempre interessata ai temi della politica, ma inizialmente da semplice “spettatrice” (se escludiamo manifestazioni o partecipazioni a social forum), ma da quest’anno ho deciso, entrando a far parte dei GC, di dare un apporto più concreto a idee e battaglie che ritengo urgenti e importanti.