Le emissioni di CO2 sono la principale causa del riscaldamento globale. E si nascondono anche dove non ci si aspetterebbe. Il dibattito intorno al futuro del nostro pianeta è tornato alla ribalta grazie a Greta Thunberg e allo sciopero per il clima. La sedicenne svedese, divenuta la moderna Giovanna d’Arco della lotta al cambiamento climatico, sta sensibilizzando e dividendo l’opinione pubblica mondiale, agendo più sull’emotività che non su meri dati scientifici.
Eppure basta aprire un sito per il calcolo dell’impronta ecologica1 o della carbon footprint per capire quanto ogni individuo sia letteralmente un peso per il futuro della Terra. Ogni aspetto della nostra vita, dai trasporti al lavoro, dal tempo libero all’arredamento della casa, incide fortemente sulle emissioni di anidride carbonica e contribuisce massicciamente al riscaldamento globale.
Macroscopicamente si può iniziare a comprendere il problema partendo dalle infografiche di Global Carbon Atlas2 sull’andamento temporale e sulla distribuzione territoriale delle emissioni di CO2 negli ultimi decenni. Senza entrare nel dettaglio si nota come le emissioni siano aumentate mediamente del 2.2% dal 1990 ad oggi, con una classifica dei paesi più inquinanti che è cambiata soprattutto a causa dell’impennata delle emissioni di Cina e Inda, rispettivamente oggi prima e terza in questa graduatoria. Se lo studio geopolitico e la distribuzione delle emissioni è un importante elemento di analisi, le conseguenze a valle del riscaldamento sono planetarie e non conoscono confini o barriere. Per questo motivo è importante sottolineare la natura intrinsecamente globale del problema e della sfida.
Le principali cause di emissione di CO2 sono, in ordine, l’utilizzo di combustibili fossili per la produzione energetica o per i trasporti, i cambiamenti nell’utilizzo dei terreni (deforestazione, allevamenti intensivi, industrializzazione selvaggia) e i processi naturali di formazione della CO2 come la respirazione degli esseri viventi, la decomposizione del suolo e l’attività vulcanica e sismica. Poi c’è Internet.
La più grande infrastruttura condivisa della storia dell’uomo, la rete globale che ha cambiato il modo di vivere e di comunicare, l’invenzione che ci permette di essere sempre connessi, di leggere notizie, commentarle, di avere voce in capitolo su ogni argomento è, e sarà sempre più, una delle maggiori cause di emissioni di anidride carbonica. Nonostante l’idea stessa di digitalizzazione sia sinonimo di dematerializzazione, la rete si poggia su strutture fisiche, come i server, che hanno un costo energetico di gestione e di manutenzione. Ogni nostra azione digitale innesca una serie di meccanismi con una loro quota di emissioni.
In un lavoro pubblicato nel 2018, due ricercatori della McMaster University3 hanno rilevato l’impatto dell’intero settore ICT sulle emissioni di CO2, arrivando alla conclusione che un incremento di queste dal circa 4% attuale al 14% rispetto al totale per il 2040 sia uno scenario molto più che possibile. Un livello che sarebbe più alto rispetto a quelle dovute al settore agricolo (9%) e corrispondente a circa la metà rispetto all’intero settore industriale (29%).
L’analisi delle emissioni nel settore ICT prosegue nella scomposizione delle stesse nei contributi relativi di ogni categoria tra il 2010 e il 2020. In questa analisi si può notare come, nel decennio che si sta per chiudere, il grande aumento sarà dovuto alla crescita delle emissioni dovute ai data center (dal 33% al 45%) e, in seconda battuta, agli smartphones (dal 4% all’11%).
Questi dati, fuori dalla statistica, dicono che le tecnologie digitali e, in particolar modo quelle legate a internet, non sono ecologicamente neutre, ma hanno un enorme impatto sulle emissioni di CO2 e sul riscaldamento globale. Ogni azione svolta sulla rete ha un costo in termini di emissioni e incide sulla nostra carbon footprint. Per dare un’idea delle dimensioni, l’invio di posta elettronica può essere paragonabile al consumo di lampadine domestiche, mentre il guardare un video su YouTube o il postare una foto su Instagram ai consumi di piccoli elettrodomestici.
Tornando ai dati4 nel 2018 a livello mondiale più del 50% della popolazione era connessa online, il 68% possedeva un telefono cellullare con queste percentuali in continua crescita. Google resta il sito più cercato seguito da Facebook e YouTube. Il traffico complessivo di dati sull’intera rete internet si assesta intorno ai 1600 exabytes (1600 miliardi di gigabytes), considerando che ogni gigabyte trasmesso necessità di un’energia che produce circa 7 Kg di CO2 si può facilmente capire quante tonnellate cubiche di anidride carbonica vengono emesse “a causa di Internet” e quanto questo dato sia destinato a crescere.
La nostra percezione di epoca digitale è quindi distorta dall’idea che la rete immateriale non abbia conseguenza ambientali, ma che anzi sia un viatico verso un approccio più ecologico e più vicino alle tematiche del cambiamento climatico. Questi dati, questo lavoro e la semplice congiunzione di fatti ci porta, al contrario, alla conclusione di un mondo digitale che necessiterà sempre più di una sensibilità ambientale molto spiccata.
P.S. La scrittura di questo articolo, comprese le ricerche e le letture, ha prodotto l’emissione di 3.500.000 Kg di CO2. (Fonte JanaVirgin.com)
- http://www.improntawwf.it/main.php ↑
- http://www.globalcarbonatlas.org/en/CO2-emissions ↑
- https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S095965261733233X?via%3Dihub ↑
- https://www.slideshare.net/wearesocial/digital-in-2018-global-overview-86860338 ↑
Immagine da pxhere.com
Sono nato nel 1984 vicino Firenze e ci sono cresciuto fino alla laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche nel 2009. Dopo il dottorato in Chimica, tra Ferrara e Montpellier, ho iniziato a lavorare al CNR di Firenze come assegnista di ricerca (logicamente precario). Oltre che di chimica e scienza, mi occupo di politica (sono consigliere comunale a Rignano sull’Arno), di musica e di sport. E si, amo Bertrand Russell!