Il viaggio del Papa in un’America del Sud che sta cambiando
Sono molti, nel bene e nel male, i punti di contatto tra la storia moderna e contemporanea dell’America Latina e la storia della Chiesa Cattolica. Sono innumerevoli i modi in cui la situazione storico-sociale contemporanea del cono latinoamericano ha interrogato la Chiesa romana: nella forma di dottrine rivoluzionarie, come la teologia della liberazione; o di personaggi esemplari, come il prelato salvadoregno Oscar Romero, recentemente beatificato da un Papa che proprio nel contesto sudamericano affonda le proprie radici; oppure, al contrario, nella forma oscura della collusione con le caste reazionarie locali e nella complicità nella barbarie delle dittature militari che per decenni hanno insanguinato il continente.
Questo il retroterra difficile del viaggio che Jorge Bergoglio si appresta a compiere, trent’anni dopo Giovanni Paolo II. L’America del Sud nel frattempo è cambiata, passando dall’inverno delle dittature alla democratizzazione, dalle delusioni dei populismi ad una nuova fase di coinvolgimento delle classi popolari alla reazione delle classi dominanti. Ne ragioniamo, a dieci mani, questa settimana.
Mentre, a giudicare dalle notizie riportate dai media nostrani, in Venezuela vi sarebbero ormai folle di affamati dedite a predare le cascine abbattendo a sassate le vacche e le prostitute sarebbero accessibili con la semplice offerta di cibo, assistiamo sgomenti alle immagini provenienti dagli Stati Uniti dove i pazienti vengono dimessi alla fermata dei mezzi pubblici con in dono una vestaglia per ripararsi dal freddo. Insomma, la carestia è un affare da paesi socialisti, quelli capitalisti invece si dedicano all’opulenza e al dono verso la cittadinanza.
Papa Francesco, ormai divenuto internazionalista a tutti gli effetti, non può certo tollerare un’ingiustizia di questo genere ai danni dei venezuelani. Così, con a cuore il destino dei sudamericani, dopo l’omelia natalizia in sostegno ai novelli Giuseppe e Maria col bambin Gesù di Nazareth di tutto il mondo, il nostro si dedica all’emancipazione degli ultimi Paesi al mondo rimasti sovrani e liberi di autodeterminarsi. Dopo le tremende ondate reazionarie di Macri in Argentina e del Colpo di Stato di Temer in Brasile, perché non rispettare la tradizione inaugurata da Wojtyła e andare a complimentarsi con questi, intessendo le adeguate relazioni per infliggere il colpo di grazia al governo Maduro e ai suoi sempre più sparuti alleati? Quelle che potrebbero sembrare niente di più che illazioni di qui a poco saranno conferme se ci si scorda delle relazioni storiche tra cattolicesimo e reazione in America Latina.
La visita programmata in Cile e in Perù (dove è stato appena graziato Fujimori) a sostegno delle popolazioni indigene sarà senz’altro occasione per sferrare attacchi micidiali alla corruzione negli ultimi governi socialisti sopravvissuti. Il debito estero verrà senz’altro preso di mira come causa della distruzione dell’Amazzonia e del popolo Mapuche, ma possiamo starne certi che tali attacchi saranno sterili, non ricordando mai quali creditori dediti allo strozzinaggio vi siano dietro. Insomma, l’America Latina è in una complicata crisi di identità, sotto l’attacco continuo dell’imperialismo statunitense che in seguito alla morte di Chavez si è impadronito del suo giardino di casa. La Chiesa che da sempre si muove in quel territorio sa bene che non è il momento di abbandonarsi all’immobilismo, dunque cercherà di sfruttare l’inerzia del momento pro domo sua, andando incontro a quei continenti in cui il radicamento cattolico risulta più efficace per evitare ogni deviazione pericolosa (vedi l’ultimo rapporto sui cambiamenti epocali che attraversano il radicamento sociale del cristianesimo).
Papa Francesco non è un rivoluzionario. Potremmo considerarlo un riformista, capace di interloquire con la società in cui agisce (concretamente e materialmente) la Chiesa cattolica romana. Si può mutare le cose anche in senso conservatore, magari accompagnando le azioni con una forma adatta alla contemporaneità (in fondo le destre non hanno vinto presentandosi come moderne, tra le macerie del Muro di Berlino?).
Il pontefice non guida un movimento spirituale o una confederazione di associazioni di promozione sociale. Il Vaticano si ramifica nel globo attraverso interlocuzioni reali con il potere politico, economico, militare. Non dovrebbero sorprendere le posizioni di Bergoglio rispetto a un continente da lui ben conosciuto e attraversato da contraddizioni reali, su cui gli avversar di classe (in linguaggio classico il capitale e l’imperialismo) agiscono per smorzare e cancellare il “giro a la izquierda” del XXI secolo.
La prima tappa è il Cile. Papa Wojtyla ebbe già importanti parole per i Mapuche, la cui battaglia attraversa ancora quella nazione (e che saranno incontrati dall’attuale “erede di Pietro”). Erano i tempi della foto con Augusto Pinochet… Semplificare l’istituzione ecclesiastica, soprattutto in paesi in cui la religione ha un impatto ben diverso rispetto a quello italiano, non aiuta a comprendere le dinamiche, magari cercando di agire sulle contraddizioni delle dottrine eterogenee a cui necessariamente si appigliano anche i movimenti progressisti e e di liberazione.
Il problema è che troppo spesso si pensa che a rifiutare la complessità siano gli anticlericali, mentre l’opinione pubblica si allinea diligentemente e obbediente a salutare il Comandante Papa Francesco… In attesa di scoprire, magari, un giorno, che il Vaticano non ospita la Quinta Internazionale sotto mentite (bianche) spoglie.
Con il proprio viaggio in Cile e in Perù il papa tocca due Paesi che negli ultimi anni sono tornati a governi di destra: in Cile a marzo Piñera si insedierà alla Moneda per la seconda volta, mentre in Perù Kuczynski ha graziato Fujimori nel tentativo di sopravvivere allo scandalo Odebrecht. In generale il riflusso delle sinistre in Sudamerica interroga i limiti del socialismo del XXI secolo nell’incapacità di neutralizzare radicalmente il monopolio nelle sue ramificazioni extra-economiche.
Il viaggio del papa dovrebbe concentrarsi sui temi ecclesiali locali e sulle dispute internazionali nelle quali negli ultimi anni la Santa Sede non ha perso occasione per offrirsi quale mediatrice. In particolare, visto anche il recente incontro con Morales, dovrebbe essere discusso il contenzioso internazionale aperto dalla Bolivia per ottenere dal Cile un collegamento al mare con caratteristiche di extraterritorialità.
La visita in Cile, in particolare, si preannuncia dura: la Chiesa cattolica appare coinvolta nella sfiducia diffusa verso le istituzioni e per giunta in una società tra le più secolari dell’America Latina, oggi attraversata da una crescente diseguaglianza sociale che alle elezioni ha causato l’inaspettato 20% per la candidata podemista del “Frente Amplio”. Gli attentati contro le chiese registrati nei giorni scorsi si inseriscono nelle manifestazioni del popolo mapuche, ai quali Bergoglio riaffermerà il sostegno della Chiesa cattolica, così come farà in Perù rivolgendosi ai popoli dell’Amazzonia.
«La guerriglia a Dio non va»: così mezzo secolo fa una canzone di protesta riassumeva il messaggio di Paolo VI ai contadini del Sudamerica. La condanna della violenza è uno dei punti centrali del pontificato di Bergoglio, che ha più volte additato nei trafficanti di armi il maggiore peccato del pianeta e che richiama a più riprese contro il rischio di escalation nucleare.
È lecito però chiedersi quali sviluppi attenderebbero il Sudamerica nel caso in cui il socialismo del XXI secolo giungesse effettivamente a esaurimento e le diseguaglianze tornassero a inasprirsi in modo brutale: evidente sarebbe la possibilità di un ritorno alla violenza aperta e ai regimi autoritari e militari.
Con quasi due decenni di ritardo, l’America Latina sta definitivamente entrando nel XXI Secolo, epoca nella quale si produce uno scarto sempre più netto fra convinzioni politiche e religiose e lotta nella società per realizzarle. Il “giro a la izquierda” che aveva garantito fino a pochi anni fa una serie di governi socialisti o quantomeno progressisti su buona parte della regione, si sta rapidamente esaurendo: in riferimento alla sola America del Sud, governi reazionari sono tornati al potere in Argentina, Brasile e Perù. Il Cile sta andando a destra mentre in Ecuador la Revolución Ciudadana sembra essere a un bivio dopo l’elezione dell’ambiguo Lenin Moreno. Maduro si ritrova a fronteggiare pressioni e ingerenze interne fortissime che sta riuscendo con acume ad arginare ma non a sconfiggere, mentre la Bolivia di Morales è decisamente troppo debole e vulnerabile per poter da sola mettere un freno alla deriva.
Questa situazione sta mettendo a nudo tutte le debolezze del populismo di sinistra che sembrava poter rimpiazzare il marxismo come ideologia in grado di farsi carico di portare a compimento il progetto di erigere un alternativa strutturale al neoliberismo imperante. Il continente dei movimenti di massa, della guerriglia, dell’attivismo permanente, delle mobilitazioni oceaniche, delle sollevazioni dei campesinos, sconta una trasformazione radicale nell’agire politico. A conti fatti, l’onda di indignazione populista dura troppo spesso il tempo di una stagione per poi svanire o snaturarsi mentre alla lunga il conflitto politico si risolve in tornate elettorali che vedono sempre avvantaggiata la fazione che ha dalla sua più finanziamenti, nonché l’appoggio dei media e delle potenze estere. Con la trasformazione dello scenario politico latinoamericano in una arena edulcorata a immagine e somiglianza del grande spettacolo mediatico-farsesco delle elezioni statunitensi, sembra oggi esserci davvero poco spazio per un cattolicesimo radicale che in parziale sintonia con le forze di sinistra, possa lottare per un’America Latina progressista e alternativa al modello neoliberista transnazionale.
L’epoca della lotta armata appare quasi definitivamente conclusa e con essa l’alleanza che in certe situazioni aveva permesso di mettere dalla stessa parte della barricata preti, marxisti e contadini indigeni. Mentre nel silenzio più assordante si consuma in questi giorni l’ennesima nefandezza in Honduras, il Papa “progressista” Bergoglio non ha esitato a condannare Maduro e la sua Costituente che ha pacificato il paese e scongiurato una guerra civile fomentata dagli Stati Uniti. Così, mentre l’attivazione di una mobilitazione dal basso resta molto spesso estemporanea e legata a leader carismatici, chi sperava che il cambiamento potesse venire dall’alto, si trova ugualmente e puntualmente smentito.
Immagine liberamente tratta da www.fanpage.it
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.