Domenica 25 aprile al Dolby Theatre di Los Angeles si è tenuta la 93a edizione degli Oscar. Due mesi dopo la consueta finestra, solitamente prevista tra febbraio e marzo. La cerimonia poteva essere annullata, poi è stato deciso il rinvio (come d’altronde succederà per il Festival di Cannes, slittato da maggio a luglio). È la quarta volta della storia dei premi cinematografici più importanti al mondo.
La pandemia ha modificato tutto, il settore dello spettacolo è in una crisi mostruosa. A causa del Covid 19, i criteri di ammissibilità dei film sono stati modificati e sono stati ammessi anche quelli usciti solo sulle piattaforme. È la seconda volta (dopo l’edizione del 1934) in cui sono stati candidate opere di due diversi anni solari (2020 e 2021).
La regia della notte degli Oscar è stata curata da Steven Soderbergh. La capienza del pubblico è stata limitata a 170 persone. Sono stati istituiti luoghi aggiuntivi per la cerimonia (Londra e Parigi, oltre a Los Angeles) per ridurre i viaggi tra i candidati. Il New York Times ha riferito che sono state 20 le location in collegamento, rigorosamente in diretta mondiale. I partecipanti hanno dovuto fare un controllo della temperatura all’ingresso della sede e sostenere almeno tre tamponi nei giorni precedenti lo spettacolo.
Tra le star abbiamo visto sul palco Brad Pitt, Halle Berry, Reese Witherspoon, Renée Zellweger, Joaquin Phoenix, Laura Dern e Harrison Ford. Divi e registi non hanno indossato la mascherina. La cosa migliore l’ha letta proprio Ford. Introducendo la categoria miglior montaggio, ha letto con amarezza gli appunti che vennero fatti all’epoca su “Blade Runner” di Ridley Scott: “Inizio troppo instabile. Voce fuori campo monotona”, “questo film peggiore ad ogni proiezione”, “perché questa voce fuori campo è così terribile? Sembra drogato. Erano tutti drogati quando l’hanno fatto?”, “questo film diventa sempre più noioso ogni volta che lo vediamo”. Francamente vedere il peso di ogni cosa a seconda della reazione sui social è diventato raccapricciante. Ecco come si sviluppa e si propaga l’odio. Al punto che c’è gente che non hai mai visto “Blade Runner” che lo confronta come farebbe con una mela e un pacchetto di gomme da masticare. Tutto ciò è al limite dell’insopportabile.
Il red carpet è stato ridotto all’osso, tutto è stato “virtuale” senza troppe feste con champagne, pailettes e lustrini. È stato come un classico film hollywoodiano dove gli sfondi vengono ricreati in computer grafica.
Da un punto di vista prettamente spettacolare francamente se ne poteva fare a meno. L’audience ci conferma una flessione del 58% rispetto all’ultima edizione. A complicare le cose ci ha pensato la fruizione delle opere cinematografiche nel biennio 2020-21: vedere un film in streaming non è la stessa cosa che vederlo in sala. Detto questo, credo che l’edizione sia stata fatta prevalentemente per aiutare i settori dello spettacolo e della moda. Senza il richiamo dei premi, molti di questi film non sarebbero nemmeno passati nei cinema alla riapertura.
Per i comuni mortali però l’edizione 93 non sarà certo ricordata per i fuochi d’artificio o per film epocali, ma soprattutto per l’inevitabile ritorno all’inclusione. Personalmente ritengo che questa edizione sia stata abbastanza sorprendente, a livello di messaggio.
Da tempo gli Oscar venivano vinti dai film mainstream, con grandi produzioni alle spalle. Negli ultimi 10 anni si premiano i film piccoli, rischiosi, girati con pochi soldi e tante idee.
Il giallo della busta di “La la land” nel 2017 fu una decisione ineccepibile: era l’emblema che qualcosa stava cambiando. La vittoria dell’ultimo secondo di “Moonlight” a scapito di “La la land” fu uno smacco enorme per l’America bianca. Nel 2018 trionfò il messicano Guillermo Del Toro con “La forma dell’acqua”: protagonisti erano una muta, un uomo anfibio, un pittore gay ovvero tutte persone discriminate nell’America di Trump. Nel 2019 ci furono altri segnali con la vittoria di Green Book. La rottura totale divenne tale nel febbraio 2020 quando venne (giustamente) premiato Parasite. Quando mai gli americani hanno premiato un film sudcoreano con il massimo riconoscimento mondiale? Non era mai successo in poco meno di un secolo di storia.
Donald Trump si arrabbiò contro la scelta: “E il vincitore è… un film della Corea del Sud! Ma di che diavolo parlava? Abbiamo già abbastanza problemi con la Corea del Sud, per via del commercio. E come se non bastasse, danno loro il premio per il miglior film dell’anno. Era un buon film? Non ne ho idea. Ridateci Via col vento, per favore! Il viale del tramonto… così tanti film straordinari”. Dell’edizione 2021 si è limitato a dire che è stata un’edizione “politicamente corretta e noiosa” (in parte si può essere d’accordo con lui).
Negli ultimi 10 anni hanno vinto film piccoli e incantevoli come Birdman, The Artist, Parasite, The hurt locker, La forma dell’acqua, Green Book, Il discorso del re.
Quest’anno ha vinto la cinese Chloe Zaho, regista di “Nomadland”. Lo scorso febbraio vidi giusto (potete leggere la recensione di “Nomadland” qui, ipotizzando che questo film sarebbe stato protagonista.
Non solo è una donna, ma è anche appartenente a una minoranza etnica. Dopo la vittoria di “Parasite” (2019), un altro sonoro schiaffo per gli americani. In 93 anni di Oscar, solo Kathryn Bigelow è riuscita a scardinare il dominio maschile con “The Hurt Locker” (2012). Ma non vince solo una donna, vince un’immigrata cinese. “Nomadland” centra il triplete con gli Oscar più importanti: film, regia e attrice protagonista (l’immensa Frances McDormand alla sua terza vittoria dopo Fargo e Tre manifesti a Ebbing, Missouri). Il 30 aprile “Nomadland” è uscito sia al cinema sia in streaming in Italia (sulla piattaforma Star di proprietà Disney). Una doppia vittoria anche per noi italiani, visto che il libro da cui è tratto è edito da una piccola casa editrice fiorentina (Edizioni Clichy) e visto che è stato premiato con il Leone d’Oro a Venezia.
Già il Lido porta bene. Ormai è una legge. Negli ultimi anni, l’Oscar al miglior film è andato ad altri film presentati in prima mondiale alla Mostra di Venezia: Birdman (2014) di Alejandro G. Iñarritu e Il caso Spotlight (2015) di Tom McCarthy. Sempre negli ultimi anni, l’Oscar alla miglior regia è andato, tra gli altri, a Gravity (2013) di Alfonso Cuarón, Birdman (2014) di Alejandro G. Iñarritu, La La Land (2016) di Damien Chazelle, La forma dell’acqua – The Shape of Water (2017) di Guillermo del Toro, Roma di Alfonso Cuarón. Senza dimenticare “Joker” che fruttò, dopo il Leone d’Oro, la miglior interpretazione maschile a Joaquin Phoenix nell’edizione 2020.
Quest’anno in nomination per la miglior regia c’erano addirittura due donne: la Zaho e la Fennell (“Una donna promettente”). La differenza di qualità però è evidente. Tuttavia questi due film sono importanti per i tempi che viviamo: a livello giovanile “Nomadland” è considerato un film noioso e “serio” perché mostra la realtà di persone invisibili e le falle provocate dal capitalismo, mentre “Una donna promettente” sarà sicuramente un successo perché è considerato “ganzo, fico” dalle più giovani. Quest’ultimo film, che uscirà grazie a Universal il 13 maggio in Italia, è una commedia nera dove una trentenne (Carey Mulligan di “Drive”) molto promettente finisce per assistere allo stupro di un’amica. Di notte vive una doppia vita segreta per provare a vendicare quel torto. Un film coraggioso e iper attuale, ma che purtroppo insegue tutti i possibili clichè ai tempi del “Me Too”. Apparentemente maturo, in realtà cerca proprio di rimanere sul superficiale invece di approfondire temi seri e delicati. Ed è un peccato perché avrebbe dovuto aspirare a qualcosa di più, ma purtroppo siamo schiavi del politicamente corretto e di ciò che la gente vuole vedere e vuole sentirsi dire. In ogni caso il film della Fennell ha trionfato per la miglior sceneggiatura originale (premio direi abbastanza forzato).
Chloe Zaho in “Nomadland” incarna la reale anima del femminismo oggi. Ecco perché ritengo sia stato premiato. Naturalmente non poteva non esser premiata Frances McDormand (2 oscar in un solo colpo come attrice e produttrice) che rappresenta l’alter ego della regista all’interno della storia.
A partire da questa edizione i due premi dedicati al suono sono riuniti in un’unica categoria, l’Oscar al miglior sonoro. Ha vinto “Soul”, ennesimo successo della Pixar, che chiaramente è stato premiato anche come miglior film d’animazione.
La sorpresa più grande è stata la vittoria di Anthony Hopkins, di nuovo miglior attore protagonista, dopo “Il silenzio degli innocenti”, per “The Father” (che uscirà in Italia distribuito da Bim). L’attore gallese era assente alla cerimonia. Quando ha ricevuto la chiamata dell’Academy, stava dormendo beatamente a casa sua, nel suo Galles. Il film ha vinto anche il premio per la sceneggiatura non originale. Alla vigilia pareva scontata la vittoria postuma di Chadwick Boseman (Black Panther) per “Ma Rainey’s Black Bottom”.
Un altro vincitore degli Oscar è sicuramente il film della Warner, “Judas and the black messiah”. 2 premi per la miglior canzone e Daniel Kaluuya (già visto in Sicario, Black Panther, Scappa Get Out) come miglior attore non protagonista. Dal 9 aprile il film, che narra la storia di Fred Hampton (leader delle “Pantere Nere”) tra gli anni 60 e 70, è uscito in streaming anche in Italia.
Un altro sonoro schiaffo per il cinema americano è stata la vittoria tra le attrici non protagoniste: in molti prevedevano la vittoria di Glenn Close (ottava volta in nomination e non vince mai) o di Amanda Syefried. E invece ha vinto la nord coreana Youn Yuh-Jung per “Minari”, film che il distributore Academy Two ha mandato subito nelle sale alla riapertura del 26 aprile.
Sul versante europeo finalmente viene premiato il cinema danese, rappresentato da “Un altro giro” di Thomas Vinterberg (in sala a maggio distribuito dal duo Medusa – Movies Inspired) e dal montatore Mikkel Nielsen (“Sound of metal”). Il primo ha dedicato al premio alla figlia morta in un incidente stradale durante la lavorazione del film. Nel 2014 fu Paolo Sorrentino con “La grande bellezza” a soffiare a Vinterberg un Oscar sacrosanto nella categoria miglior film straniero. Era l’anno de “Il sospetto” che è sicuramente il capolavoro di uno dei registi di punta del “Dogma 95”.
Adesso passerò alle delusioni. L’Italia è rimasta a bocca asciutta come sempre più spesso accade. Personalmente ritengo che premiare Laura Pausini sarebbe stata la fine della credibilità della nostra industria musicale. In ogni caso agli americani piace il rap e naturalmente l’ennesima rapper afroamericana è stata premiata (H.E.R. con il brano Fight For You da Judas and the Black Messiah). Mentre sul versante “Pinocchio” sia i costumi del fiorentino Massimo Cantini Parrini sia il make up di Mark Coulier, Dalia Colli e Francesco Pegoretti avrebbero meritato qualcosa di più. Tra le delusioni spiccano anche “Tenet” di Christopher Nolan e il remake in live action di “Mulan”, candidati a 2 Oscar tecnici ciascuno. Il film di Nolan ha vinto un premio di consolazione negli effetti speciali. Ma non possiamo dimenticare che il vero favorito era “Mank” di David Fincher. 10 nomination e solo 2 Oscar (fotografia e scenografia). Questo film non è stato apprezzato secondo me dagli americani perché ha raccontato una storia ormai rimossa dai più: quella dello sceneggiatore Herman Jacob Mankiewicz che scrisse la sceneggiatura di “Quarto Potere” in mezzo ai mille litigi con i dirigenti della Paramount e della MGM. Soprattutto per le sue simpatie politiche verso la sinistra. E proprio in queste vicende trasse ispirazione per descrivere il personaggio del magnate Hearst. Oggi “Quarto potere” è diventato uno dei film più importanti della storia del cinema mondiale. Personalmente ritengo che il film di Fincher avesse buone carte in diverse categorie. La fotografia però era sicuramente la cosa migliore, insieme al protagonista Gary Oldman.
Nel complesso sul versante produttivo la fa da padrone il colosso dello streaming Netflix che, su 35 nomination, vince 7 statuette, davanti alle 5 di Disney (che ricordo ingloba anche Pixar e Fox), alle 3 di Warner Bros e alle 2 di Amazon e Sony.
Questa edizione degli Oscar magari non verrà ricordata per lo spettacolo, ma ne traiamo un grande insegnamento: porre limitazioni ai cambiamenti è del tutto vano. Nel cinema come nella vita.
Oscar 2021: riepilogo dei vincitori
- Miglior film: “Nomadland“
- Miglior attore protagonista: Anthony Hopkins (“The Father“)
- Miglior attrice protagonista: Frances McDormand (“Nomadland“)
- Miglior regia: Chloé Zhao per “Nomadland“
- Miglior attore non protagonista: Daniel Kaluuya (“Judas and the Black Messiah“)
- Miglior attrice non protagonista: Youn Yuh-jung (“Minari“)
- Miglior sceneggiatura originale: Emerald Fennell per “Una donna promettente“
- Miglior sceneggiatura non originale: Christopher Hampton e Florian Zeller per “The father“
- Miglior film straniero: “Un altro giro” di Thomas Vinterberg (Danimarca)
- Miglior trucco: Sergio Lopez-River, Mia Neal e Jamika Wilson per “Ma Rainey’s Black Bottom”
- Migliori costumi: Ann Roth per “Ma Rainey’s Black Bottom”
- Miglior sonoro: Nicolas Becker, Jaime Baksht, Michelle Couttolenc, Carlos Cortés and Phillip Bladh per “Sound of metal”
- Miglior film d’animazione: “Soul” di Pete Docter e Kemp Powers
- Miglior documentario: “Il mio amico in fondo al mare” di James Reed e Pippa Ehrlich
- Migliori effetti speciali: Andrew Jackson, David Lee, Andrew Lockley, Scott Fisher per “Tenet“
- Miglior scenografia: Donald Graham Burt e Jan Pascale per “Mank“
- Miglior fotografia: Erik Messerschmidt per “Mank“
- Miglior montaggio: Mikkel E. G. Nielsen per “Sound of metal“
- Miglior colonna sonora: Trent Reznor e Atticus Ross con Jon Batiste per “Soul”
- Miglior canzone: “Fight for you” per “Judas and the Black Messiah“
- Miglior cortometraggio: “Two distant strangers”
- Miglior corto documentario: “Colette”
- Miglior corto d’animazione: “Se succede qualcosa, vi voglio bene”
Fonti: BadTaste, Comingsoon, Cinematografo, Movieplayer, MyMovies
Immagine da www.adnkronos.com
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.