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Si delineano così di fronte al sindacato tre soli scenari.
Il primo è quello di mettersi, ovviamente senza farne un proclama ma anche senza tante ambiguità, dalla parte dei vincitori. Abbandonare ogni grande progetto di cambiamento, restringere via via la propria rappresentanza alle fasce di lavoro stabili assicurando loro vantaggi corporativi, ottenere dalle forze politiche un esplicito riconoscimento e con esso un consolidamento, o magari un’estensione, degli spazi già acquisiti nella fornitura di servizi. Lo si può intendere come un passaggio transitorio o come una diversa collocazione strategica, ma questa strada una volta imboccata ha un solo punto d’arrivo.
Il secondo scenario è quello nel quale attualmente cerca di destreggiarsi. Testimoniare una volontà di rimanere sindacato generale e di perseguire nuove politiche economiche e sociali, difendersi al meglio dagli attacchi provenienti da più lati, farsi trovare pronto al momento della ripresa dell’economia per provare a risalire la china. In teoria potrebbe funzionare, se non fosse che così com’è il sindacato non è nelle condizioni di sviluppare una diffusa contrattazione integrativa di posto di lavoro. E questa resta la condizione preliminare per riconquistare una rappresentanza generale e la forza necessarie per essere interlocutore credibile e vincente sui grandi temi della società.
Il terzo scenario, l’unico in grado di renderlo di nuovo protagonista, è quello di avviare un profondo processo di autoriforma.
Perché questo possa accadere occorrono due condizioni preliminari. La prima è che il quadro dirigente acquisisca la consapevolezza che le altre strade o snaturano il sindacato o lo relegano ai margini consentendogli una tutela dei lavoratori via via più flebile. Ci si può predisporre a un passaggio tanto necessario quanto rischioso solo avendo il coraggio di alzare gli occhi dal groviglio in cui ci si trova e immaginare cosa sarà il mondo del lavoro di qui ai prossimi anni se non interviene una drastica rottura nelle dinamiche che ne stanno regolando l’evoluzione. In altre parole, se si mettono al primo posto e senza alcuna riserva i lavoratori, e si ragiona del sindacato come uno strumento della loro difesa e della loro emancipazione, e non come una grande istituzione da difendere come tale.
In secondo luogo, ed è il passaggio conseguente, occorre prendere atto che il sindacato con le sole proprie forze non è in grado di portare a termine alcuna autoriforma. Dal dopoguerra ad oggi, la sola che meriti un nome tanto impegnativo è stata quella dei Consigli dei delegati alla fine degli anni ‘60. Ma non a caso si è trattato di una riforma con una genesi a un tempo interna e esterna al sindacato, avviata sotto la pressione di un movimento di lotta caratterizzato da fortissimi elementi di spontaneità, con uno straordinario protagonismo delle nuove leve del lavoro operaio e nel contesto di una massificazione della condizione lavorativa che di quel movimento consentiva la più ampia diffusione. Il passaggio dalle Commissioni Interne, elette per rappresentanza di sigla sindacale e dalla generalità dei lavoratori in un’unica votazione, ai Consigli dei delegati, eletti in esclusivo rapporto con l’organizzazione del lavoro, ha rappresentato una rottura e ha spostato in avanti il potere contrattuale e le forme della democrazia. Dopo che per varie ragioni l’ondata riformatrice ha esaurito la propria spinta, il sindacato non ha più trovato, e neppure cercato, motivi e stimoli per rimettersi in discussione. Le correzioni organizzative che nel tempo sono state introdotte sono state puri adeguamenti funzionali che non hanno minimamente messo in causa poteri e modalità operative. Nessuno dei fattori che concorsero a realizzare la riforma a cavallo degli anni ‘60-’70 del secolo scorso è pensabile che possa ripresentarsi nel prossimo futuro. La ricerca così impellente di un grande cambiamento deve trovare altre vie.
Tutte le organizzazioni dotate di un esteso apparato burocratico tendono all’autoconservazione, tanto più se è questo apparato burocratico a costituirne il centro effettivo di direzione. Così è nel sindacato. Per quanto vasta sia la rete dei delegati di posto di lavoro, i poteri decisionali sono di fatto nelle mani dei funzionari ai vari livelli, sempre nel rispetto della struttura rigorosamente piramidale dell’organizzazione. Inoltre va considerato che le motivazioni ideali e la prospettiva strategica che hanno animato il sindacato e la sinistra politica in altri periodi della loro storia appaiono per molte ragioni quasi evaporate. Se aggiungiamo il fatto che neppure la contrattazione è oggi in grado di scuotere il dibattito e accendere un vero confronto di idee, si capisce bene come le dinamiche interne e le pulsioni burocratiche finiscano per avere la prevalenza.
Per superare questa impasse e avviare davvero un processo di autoriforma occorre che il sindacato metta in discussione le sue forme di articolazione del potere e, contemporaneamente, si renda disponibile a un’autentica contaminazione con esperienze e forze esterne, a partire ovviamente dalla condivisione del ruolo che deve svolgere e delle finalità cui la sua iniziativa deve tendere. È necessaria una procedura assolutamente innovativa perché molto è quello che deve essere ripensato e molto è quello che deve essere cambiato.
Penso all’istituzione di un’Assemblea Costituente e all’avvio di un lavoro che abbia caratteristiche simili, quanto meno nella consapevolezza di accingersi a un’impresa straordinaria, a quello che portò al varo della Costituzione della Repubblica. Un’Assemblea composta per una parte da rappresentanti del sindacato indicati dalle organizzazioni che aderiscono al progetto secondo criteri distributivi che saranno loro stesse a concordare, col vincolo però che i delegati di posto di lavoro e delle aree precarie del lavoro costituiscano almeno la metà della quota spettante ai sindacalisti. Per l’altra parte, nella misura che le organizzazioni aderenti indicheranno, ma con una quota comunque rilevante, e con la scelta in capo a ciascuna di esse, dovrebbero comporre l’Assemblea giuristi, economisti, sociologi, storici che dichiarino di condividere il progetto.
Si possono immaginare quattro grandi aree tematiche: il programma fondamentale, nei suoi obiettivi generali ad iniziare dal binomio occupazione-ambiente, ma anche nelle priorità e nei modi che rendano credibile la trasformazione di quegli obiettivi in piattaforme politiche negoziabili; la contrattazione, le cui linee guida non possono che essere la ricomposizione del lavoro e l’autodeterminazione nel lavoro; la forma sindacato, con al centro la democrazia sindacale e il sostanziale e strutturale riposizionamento nelle funzioni dirigenti del rapporto fra funzionari e diretti rappresentanti dei lavoratori; la comunicazione all’interno, prerequisito della democrazia, e all’esterno, sempre più determinante ai fini dell’efficacia dell’azione sindacale. Quattro aree nelle quali deve trovare spazio anche il tema della qualità della vita e quindi della critica ai modelli culturali che il capitalismo ha imposto e che costituiscono, unitamente alla atomizzazione del lavoro, la ragione del suo riconquistato dominio e la minaccia più terribile per il futuro del pianeta.
L’Assemblea dovrebbe procedere per fasi e sviluppare i suoi lavori nel massimo della pubblicità, consegnando i suoi elaborati tappa dopo tappa a una discussione partecipata delle strutture sindacali nei territori, che, a loro volta, dovrebbero far pervenire all’Assemblea l’esito del loro dibattito, fino a una scrittura provvisoriamente conclusiva delle parti prese in esame. Una volta completato il progetto nella sua interezza, i lavoratori dovrebbero esprimersi per la sua definitiva approvazione.
Questo schema presenta certamente delle incognite e propone innanzitutto un quesito essenziale: l’Assemblea vota i testi o procede solo all’unanimità? E se li vota, come? con quale tipo di maggioranza? Solo i protagonisti possono sciogliere questo nodo e colmare i vuoti di questa proposta. Ma ci sono altre strade?
Immagine Geralt – pixabay.com da needpix.com
Dirigente della CGIL, Segretario Generale della FIOM Toscana, Segretario della CGIL Toscana, Segretario Generale della FP Toscana, Presidente di IRES Toscana.