Gli italiani, si sa, hanno la memoria corta. La stragrande maggioranza non avrà mai sentito parlare nella sua vita di Aldo Braibanti. Faccio mea culpa. Fino a che non ho visto il trailer di questo film, neanche io sapevo chi fosse in maniera così approfondita. Avevo sentito questo nome, ma le gesta no. Io quando sono accaduti i fatti non ero nemmeno nato. Ma il passato prima o poi torna a bussare alla porta. Al momento giusto arriva in Italia, poco prima delle elezioni, un film che fa riflettere. Finalmente un’opera italiana che sa parlare agli spettatori per uno scopo!
Il film esce in una data non casuale: l’8 settembre. Nel 1943 per l’Italia fu il giorno del cambio di fronte, la firma dell’armistizio e il passaggio a fianco degli Alleati. Dal 1940 l’Italia fascista era a fianco della Germania di Hitler. La fine della Seconda Guerra Mondiale dette l’impulso a un forte cambiamento, alla costituzione di un paese repubblicano (1946). Aldo Braibanti era un poeta, partigiano, antifascista, laureato in filosofia teoretica, ma era anche regista teatrale ed esperto mirmecologo (studioso della vita delle formiche). Da qui il titolo del film.
Braibanti, nativo di Fiorenzuola (Piacenza), fu definito un genio da Carmelo Bene. Nacque nel 1922, un secolo fa, nell’anno della “marcia su Roma”. Prese parte alla Resistenza partigiana a Firenze, finì due volte in prigione e subì diverse violenze dalle truppe nazi-fasciste. Aderì al Partito Comunista Italiano (PCI) e fu chiaramente osteggiato dal fascismo. Nel 1947 si dimise da ogni incarico, abbandonando la politica attiva. Da lì in poi la sua vita si concentrò sulla rinascita culturale e artistica dell’Italia del dopoguerra. La sua incessabile attività fu interrotta alla fine degli anni Sessanta. Fu coinvolto in uno dei più grandi scandali giudiziari omosessuali della storia italiana. Il film di Gianni Amelio si concentra su quest’episodio, dopo il non esaltante “Hammamet” (2020), seguendo fedelmente le carte del processo. Il regista stesso quando era giovane partecipò in aula a una porzione di processo come ascoltatore. “Il signore delle formiche”, in concorso alla 79° mostra di Venezia, è il miglior film di Gianni Amelio.
Non è un caso perché il regista calabrese, il 28 gennaio 2014 sulle pagine di “Repubblica”, si dichiarò fieramente omosessuale. «Alla mia età sarebbe un po’ tardivo, forse ridicolo. Altri dovrebbero essere i coming out davvero importanti, di chi froda il fisco per esempio, di chi usa la politica per arricchirsi. Comunque credo che chi ha una vita molto visibile abbia il dovere della sincerità: e allora sì, lo dico per tutti gli omosessuali, felici o no, io sono omosessuale». La battaglia di Amelio sembra specchiarsi in quella del poeta. “Il signore delle formiche” è arrivato finalmente nei cinema, pochi giorni dopo il passaggio nel concorso principale del Festival di Venezia, edizione 79. Un ringraziamento a Rai Cinema che ha portato sugli schermi italiani una storia che merita di essere raccontata. Veniamo alla trama.
La cosa più interessante del film è che l’omosessualità di Braibanti viene svelata dopo metà film. La pellicola ci mette un po’ a carburare, ma complessivamente ne vale la pena. Aldo Braibanti (un ottimo Luigi Lo Cascio con accento emiliano) riceve nella sua casa diversi ragazzi giovani che lo devono come fonte d’ispirazione. Tra questi c’è Riccardo che gli fa conoscere il fratello di ventitré anni, Ettore (Leonardo Maltese, bravissimo). Nella storia reale si chiamava Giovanni Sanfratello. Tra quest’ultimo e l’intellettuale nasce un’intesa profonda, ricambiata e consenziente. E’ l’inizio della caduta per Braibanti. Iniziò un calvario di oltre 4 anni. Il padre di Ettore, Ippolito, era molto credente e conservatore. Ovviamente la relazione omosessuale era qualcosa di inaccettabile.
Così nell’ottobre 1964 Ippolito presentò una denuncia alla Procura di Roma contro Braibanti per plagio. Ettore fu portato via e fu rinchiuso in un manicomio a Verona per 15 mesi. Subì prove tremende: elettroshock, coma insulinici. Quando fu dimesso, lo obbligarono a leggere libri che avessero meno di un secolo. Braibanti, dopo un processo farsa, fu accusato di essere malato mentale e fu condannato a nove anni di carcere, poi ridotti a quattro. L’intellettuale alla fine scontò in tutto due anni in prigione, ma solo perché gli ultimi due gli furono condonati in quanto partigiano della Resistenza. Intervennero in sua difesa illustri personaggi italiani come Pasolini, Pannella, Moravia, Maraini, Eco ed Elsa Morante.
La macchina del fango, azionata dall’opinione pubblica, alimentò la gogna. L’Italia ancora oggi è un Paese conservatore e piuttosto retrogrado in qualità di diritti civili. Solo un giornalista, Marcello (Elio Germano, sempre in grande forma), si impegna a ricostruire la verità dei fatti, capendo l’ipocrita logica che governa il processo. Fu una farsa, ma risultò esemplare per evitare che altri seguissero le gesta di Aldo. Il poeta disse di esser “stato imprigionato la prima volta dai fascisti, la seconda volta dai repubblicani. Chi vuole può notare una certa continuità”. Queste frasi furono scomode e non fecero piacere ai conservatori e alla Chiesa: ovvero i principali fautori della famiglia tradizionale. Considerate che siamo nel 1968, un anno non qualsiasi.
Amelio ammette che i giovani sessantottini non hanno il percorso che credevano fosse possibile intraprendere. Infatti, come in ogni film del regista calabrese, lo scontro tra i personaggi è generazionale. Il pericolo odierno è quello di ricadere negli errori del passato. La differenza con oggi è palese: il caso Braibanti portò nel 1981 all’abolizione del reato di plagio, per mano della Corte Costituzionale. Oggi invece indifferenza, passività, inazione hanno preso il sopravvento e la (grande maggioranza della) gente non ha più voglia di lottare, di durar fatica. A lavoro, come nel tempo libero.
Amelio sa quel che dice e lo fa dire a Marcello, interpretato da Elio Germano: “questo processo è davvero lo specchio del nostro Paese nell’aspetto più retrivo, più meschino, più criminale. È per quello che devi combattere”. Per non ricadere negli errori del passato, bisogna far tesoro nel presente della memoria storica. “Il signore delle formiche” è un film di buon livello per il cinema italiano contemporaneo. Amelio dirige in modo appassionato, gli attori rispondono bene: Germano e Lo Cascio sono due autentici fuoriclasse. Secondo la maggioranza di pubblico e critica è il miglior film italiano della 79a Mostra di Venezia.
Nel film c’è spazio anche per i politici, in particolar modo per delle immagini di repertorio di Emma Bonino. Su “Repubblica”, Amelio dice che il partito radicale è stato l’unico a battersi per i diritti civili. Gli altri sono stati troppo occupati ai seggi più che alle persone. E il messaggio di Amelio arriva al punto giusto: “alle elezioni pensate ai diritti, alle persone, non solo all’economia”. Speriamo sia così, ma i segnali non sembrano andare in tale direzione.
Regia ***1/2 Fotografia ***1/2 Interpretazioni **** Sceneggiatura ***1/2 Film ***1/2
Fonti principali: Cinematographe, Coming soon, Cinematografo, My Movies, Bad Taste, Best Movie
IL SIGNORE DELLE FORMICHE ***1/2
(Italia 2022)
Genere: Drammatico
Regia: Gianni Amelio
Sceneggiatura: Gianni Amelio, Federico Fava, Edoardo Petti
Cast: Luigi Lo Cascio, Leonardo Maltese, Elio Germano, Sara Serraiocco
Fotografia: Luan Amelio Ujkaj
Durata: 2h e 10 minuti
Distribuzione: 01 Distribution
Trailer italiano qui
Uscita italiana: 8 Settembre
In concorso al 79° Festival di Venezia
La frase cult: Questo processo è davvero lo specchio del nostro Paese nell’aspetto più retrivo, più meschino, più criminale. È per quello che devi combattere.
Immagine da mymovies.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.