L’uscita era programmata per il 9 aprile, in prossimità delle festività pasquali. E invece il Coronavirus ha di fatto ribaltato il tavolo e ha fatto saltare tutto. Ma questo film non ha fatto parlare di sé soltanto per questo o per la sua partecipazione al Festival di Cannes 2019. La morte degli attori Bruno Ganz (“Il cielo sopra Berlino”, “La caduta”) e Michael Nyqvist (la trilogia di Millennium), durante il lavoro di post produzione del film, ha fatto il resto.
Al momento non si sa se uscirà al cinema o se si potrà vedere sulle piattaforme digitali a un prezzo maggiorato per contenere le perdite (come succederà a film come Tornare a vincere con Ben Affleck, Trolls World Tour, Emma). Il ritardo probabilmente è dovuto anche dalla recente acquisizione di 20th Century Fox e Fox Searchlight da parte di Walt Disney.
Dopo le “indeterminate” sperimentazioni di To the wonder, Knight of cups, Song to song e il documentario Voyage of time (inedito in Italia), Malick torna ad un film collettivo e “determinato” che pone al centro il rapporto tra umani e natura (come nei suoi primi film come I cancelli del cielo e La rabbia giovane). Senza rinunciare alla moralità in tempi difficili come ne “La sottile linea rossa”. E sono proprio etica e dignità umana i temi di questa pellicola.
La vera differenza tra questo film e i precedenti è rappresentata perché finalmente c’è una sceneggiatura, una trama concisa (così come gli obbiettivi) raccontata in ordine cronologica. Una rivoluzione totale per un regista sperimentatore come Terrence Malick. Forse qualcuno di voi nell’estate 2019 avrà sentito parlare di questa pellicola che si doveva chiamare “Radegund”. Il film, poi diventato “A hidden life” per passare al Festival di Cannes 2019. Malick non si presentò alla Croisette, come da tradizione.
La pellicola è stata girata dapprima negli studi Babelsberg a Potsdman, per poi passare (per gli esterni) in Trentino Alto Adige (tra Bressanone e Brunico) e a Sappada, sulle Dolomiti bellunesi nel Friuli Venezia Giulia (vedi qui). Questa volta Terrence Malick racconta uno spaccato di vita reale, un episodio realmente accaduto. Mostra un periodo di guerra senza far vedere l’arte della stessa. Ce la fa sentire, ce la fa fiutare, ci avvisa che sta arrivando.
Il film racconta quattro anni cruciali: dal 1939 al 1943. Siamo in Alta Austria. A Radegund, più precisamente. Franz e Franziska sono innamoratissimi e vivono in un’oasi di pace. La loro vita insieme scorre velocemente, scandita dal lavoro nei campi con l’aratro e con le bestie, il suono delle campane, l’amore per le loro tre figlie (nate tra il 1937 e il 1940).
L’inizio è superbo, la fotografia raffinata. È il Malick dei tempi migliori, quello che introduce lo spettatore all’interno di una realtà dove l’uomo è in simbiosi con la Natura. Come purtroppo oggi non succede più (sarà per questo che è arrivato il Coronavirus?).
Sembra di rivivere la famiglia di “The tree of life” con la differenza che il capofamiglia Franz è una pasta d’uomo. Non è il severo ed inflessibile padre interpretato da Brad Pitt nel film che vinse la Palma d’Oro 2013. La Seconda Guerra Mondiale però sta per arrivare.
Lo studio della letteratura sacra e la frequentazione della chiesa cattolica portarono Franz alla convinzione che la sua fede fosse incompatibile con il nazismo. Divenne un facoltoso obbiettore di coscienza. L’amore per la sua famiglia era troppo forte per passare al “lato oscuro” del Male. Nel 1938 Franz rifiutò di diventare sindaco della sua cittadina e fu l’unico del suo paese a votare no all’annessione alla Germania. L’Austria divenne parte della Germania nazista (il cosiddetto Anschluss). Non scordiamoci che Adolf Hitler era nato in Austria. Franz Jägerstätter è chiamato alle armi, ma riesce a ritornare a casa per stare vicino alla moglie malata. L’Anschluss fu un dramma straziante per il povero Frank.
Eppure l’uomo era partito per la guerra, ma ne aveva abbastanza della ferocia del Terzo Reich. Diventò un disertore. Ciò lo espose a un grosso pericolo.
La scelta dell’attore August Diehl è perfetta perché i suoi occhi iper-espressivi raccontano tutto: amore, ciò in cui crede, ciò che vuol fare e ciò di cui farebbe a meno. Un uomo che era straziato, dilaniato dal dolore causato da una guerra abominevole. Le sue idee e la sua fede incrollabile erano più forti del pericolo. Nel 1943 venne processato per alto tradimento nei confronti dell’esercito e del Reich. Il contadino austriaco fece sua la frase di Gandhi “sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.
Un parallelismo che Malick vuole inculcare nello spettatore: mentre all’inizio vediamo l’amore e il Bene nella loro rappresentazione più alta, presto l’arrivo dell’invasione nazista diventa il pretesto per raccontare come il Male, in poco tempo, può distruggere quanto di più bello c’è nel mondo. Da una parte il buio della ragione nelle immagini di repertorio delle parate naziste in bianco e nero, dall’altra la quiete, la luce, l’estasi della natura, l’amore di una famiglia e il lavoro all’aria aperta. Il terreno di scontro perfetto per Malick, regista filosofo amante dei contrasti forti e degli scontri fra massimi sistemi in relazione a ciò che accade nella Natura.
Il problema di questo film è la durata (quasi 3 ore) che scivola via divisa in tre parti disuguali: la prima ora viene raccontata la storia dell’uomo e della sua scelta, la seconda ora viene narrata la prigionia e la nascita filosofica dietro alla svolta. Nella rimanente ora l’operazione di sabotaggio, il tentativo esterno di corrompere la sua idea.
Alla fotografia sembra di vedere il fido cinematographer messicano Emmanuel Lubezki (il migliore in circolazione), ma non c’è.
Jorg Widmer, operatore di steadycam della seconda unità nei lavori precedenti di Malick, imita (riuscendoci) Lubezki, coniugando corpi immersi nel magnifico spettacolo della Natura. Le inquadrature sembrano dei quadri. Le riprese sono sensazionali, soprattutto quelle in alta quota, con la camera a mano (e l’uso di lenti grandangolari) che parte dal basso per volteggiare attorno ai protagonisti.
Ogni volta che mi trovo a guardare un film di Malick resto a bocca aperta a contemplare i colori, l’uso delle musiche, la composizione delle inquadrature, i raffinati movimenti di macchina. In questo film la resistenza al nazismo è affrontata in maniera contemporanea perché la fede cattolica di Malick diventa una forza importante che richiama anche l’importanza di due fattori: il rallentamento del mondo per poter andare d’accordo con la Natura e il tempo per la riflessione. Quest’ultimo può essere inteso anche in ottica cinematografica: per Malick andare in sala è anche come andare in chiesa. Dopo The Tree of life, “La vita nascosta” è senza ombra di dubbio uno tra i film più riusciti del regista filosofo.
FONTI: Cinematografo, Mymovies, Comingsoon, Cinematographe, Movieplayer, Filmtv, Repubblica
Regia **** Interpretazioni ***1/2 Musiche **** Sceneggiatura **1/2 Fotografia *****
Anteprima
LA VITA NASCOSTA ****
Titolo Originale: A hidden life
(USA, Germania 2019)
Genere: Drammatico
Regia e Sceneggiatura: Terrence Malick
Fotografia: Jorg Widmer
Cast: August Diehl, Valerie Pachner, Bruno Ganz, Matthias Schoenarts
Durata: 2h e 53 minuti
Distribuzione: 20th Century Fox / Walt Disney
Trailer Italiano qui
Budget: 9 milioni di dollari
In concorso al Festival di Cannes 2019 dove ha vinto: Premio della Giuria Ecumenica e Premio François-Chalais
La frase: Non posso fare ciò che per me è sbagliato. Dobbiamo combattere il male
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.