Lo scorso 26 settembre, contemporaneamente al voto per il rinnovo per parlamento tedesco, la popolazione di Berlino è stata chiamata ad esprimere la propria opinione su un referendum, proposto nel 2019, per la possibilità di esproprio delle abitazioni delle grandi società immobiliari da parte delle amministrazioni locali, che ha visto il favore del 56% dei votanti. Nell’idea di chi ha proposto reale referendum questo potrebbe favorire l’aumento di affitti e abitazioni a prezzi calmierati ed accessibili e porre un freno alla speculazione immobiliare.Dell’oggetto del referendum, del risultato e di possibili effetti anche in altri paesi e città si occuperà la nostra rubrica a più mani questa settimana.
Leonardo Croatto
Capita non così di rado che eventi politici inattesi riescano a mettere in discussione quella che appare, a livello mondiale, una deriva a destra inesorabile (più spinta, tra l’altro, nelle vecchie democrazie liberali). Il risultato positivo di un referendum che propone l’espropriazione delle proprietà dei grandi gruppi immobiliari è uno di questi.
Ovviamente, il risultato del referendum non è assolutamente vincolante e, come in molte altre consultazioni popolari in cui gli elettori si sono dimostrati molto più a sinistra (o semplicemente molto più regionevoli?) dei propri parlamenti, è improbabile che l’esito della consulazione veda una traduzione in atti concreti. Se l’amministrazione della città dovesse agire secondo il mandato della maggioranza di chi si è espresso al referendum, circa 240,000 proprietà, oltre il 10% di tutti gli appartamenti di Berlino, dovrebbe venir sottratta agli speculatori che adesso ne sono proprietari.
Berlino ha assistito negli anni ad una “finanziarizzazione” del proprio patrimonio immobiliare: nell’ultimo quindicennio circa oltre 40 milioni di euro sono stati investiti nell’accumulo di appartamenti da parti di grandi gruppi immobiliari, causando una crescita insostenibile dei prezzi degli affitti, causando l’allontanamento dei piccoli proprietari e lo smantellamento dei rapporti sociali. Un fenomeno non molto diverso da quello che si osserva, in più piccola scala, nei centri storici delle città italiane interessanti per il turismo.
Se situazioni come quella di Berlino, in cui, attraverso consultazioni popolari, la maggioranza degli elettori si esprime, di fatto, su posizioni in conflitto con l’indirizzo economico-politico che i propri rappresentanti eletti imprimono al paese non sono rarissime (ricordiamo, ad esempio, il referendum per l’acqua pubblica, in casa nostra), allora la vera domanda che il referentum di Berlino e gli altri simili pongono è per quale motivo posizioni così avanzate che vivono nella società non riescono a concretizzarsi in una risposta politico-elettorale altrettanto avanzata; per quale motivo, coiè, gli stessi elettori che propongono, con grande impegno, spinte fortemente progressiste in sede di referendum, una volta posti di fronte al voto per la composizione del proprio parlamento finiscono per scegliere solo rappresentanze conservatrici.
Piergiorgio Desantis
Se ne è parlato piuttosto poco in Italia del referendum dello scorso 26 settembre a Berlino, forse perché abbinato alle elezioni che porteranno all’elezione del nuovo parlamento tedesco. Eppure, è significativo e benaugurante che passi, con il 56% a favore, il referendum che preveda l’esproprio delle case sfitte di proprietà dei grandi gruppi immobiliari. Si apre una piccola crepa nel dogma immutabile e intangibile che è stata la proprietà anche in Occidente. I grandi gruppi immobiliari, in Germania come altrove, hanno mantenuto sfitte le case pur di tenere alti i prezzi degli affitti che, nel frattempo e ormai da tempo, sono semplicemente impresentabili per la stragrande maggioranza dei lavoratori europei (vista la moderazione salariale ultratrentennale). Al di là del risultato referendario e della concreta traduzione in legge, cresce e si sta compattando una massa critica, su questo come su altri temi (come per esempio la difesa e l’estensione della sanità pubblica), su cui è ormai egemone la posizione e la necessità non solo della regolazione del mercato (dopo 40 anni di ordoliberismo) ma anche quella che spinge lo Stato stesso a investire direttamente affinché acquisisca alloggi pubblici. E non è poco.
Francesca Giambi
Sulla stampa nazionale la notizia del referendum berlinese sull’esproprio immobiliare non ha trovato grande risalto, forse perché risultato scomodo, soprattutto perché potrebbe portare ad una discussione sul diritto abitativo in casa nostra…
Il referendum si basa sugli articoli 14 e 15 della Costituzione tedesca per cui: “La proprietà impone degli obblighi. Il suo uso deve al tempo stesso servire al bene comune. L’espropriazione è ammissibile soltanto per il bene della collettività. Essa può avvenire solo per legge o in base ad una legge che regoli il modo e la misura dell’indennizzo” e “Il suolo, le risorse naturali e i mezzi di produzione possono essere assoggettati, ai fini della socializzazione, ad un regime di proprietàcollettiva o ad altre forme di gestione collettiva mediante una legge che determini il modo e la misura dell’indennizzo” e riguarda in particolare 240000 abitazioni di proprietà di grandi società immobiliari che quindi potranno essere espropriate ed essere acquisite dall’amministrazione locale per affittarle a prezzi calmierati.
La netta vittoria, 56% sì contro 38% no, sarà quindi il primo scoglio per la neo eletta sindaca socialista Franziska Giffey, perché per avere un effetto concreto e diventare legge avrà bisogno oltre di una delibera del Senato della città-Stato di Berlino. Il messaggio che arriva da Berlino è quindi importante, soprattutto perché riguarda una città i cui affitti si stima essere aumentati negli ultimi cinque anni di oltre il 40%, arrivando spesso ad impattare sul reddito mensile fino al 60% ed ha qualche analogia con alcune situazioni italiane. Certamente in Italia ancora si ricorre alla proprietà piuttosto che all’affitto, ma, visti il cambiamento e la precarietà del lavoro negli ultimi anni, anche il regime immobiliare sta cambiando.
Nel caso italiano la storia di Italia ci insegna come la requisizione diventò legge (fatta da Giovanni lLanza) per l’unificazione amministrativa del Regno, nel 1865. Requisizione che è l’atto giuridico con cui si priva un soggetto dei suoi diritti di possesso (talvolta anche di proprietà) ed è il provvedimento con cui la Pubblica Amministrazione sottrae al privato, in via temporanea o definitiva il godimento di un bene mobile o immobile, motivando il tutto con il “superiore interesse pubblico”.
Nella nostra Costituzione, nell’articolo 3, si parla proprio di “diritto alla casa”… e allora perché non promuovere anche in Italia un referendum popolare sullo stesso stile di quello di Berlino? L’emergenza abitativa in Italia comincia a farsi fortemente sentire, soprattutto nelle grandi città e nelle località turistiche e questo è dovuto soprattutto alle tante case tenute sfitti dai cittadini e proprietari, dalle società o da immobiliari e banche. Non si è intervenuto per cercare di calmierare i prezzi, non è stata prevista una nuova legge di limitazione degli affitti dopo l’abolizione dell’equo
canone del 1998, e questo sta portando a risultati spaventosi, soprattutto per i giovani, penalizzati soprattutto perché spesso lavoratori precari che quindi non possono accedere, senza garanzie di parenti, non solo a mutui per l’acquisto, ma anche al più semplice affitto. E nei centri di città come Venezia, Roma e Firenze il fenomeno è ancora più spinto, centri che ormai sono quasi esclusivamente delle vetrine di brand, con pochi cittadini abitanti, in “ostaggio” di tutto ciò che il mondo globalizzato “moderno” propone; non ci sono nemmeno più tanti giovani universitari, che spesso devono trovare sistemazioni fuori, a parecchi chilometri dalla città, per avere degli affitti cari ma non proibitivi. Non è emergenza casa questo? Purtroppo c’è tanta rassegnazione ed invece bisognerebbe convogliare al rabbia in azioni concrete… a partire da una vera discussione sull’emergenza casa e su piani economici statali per contrastarla… E magare guardare in direzioni europee può fornire spunti e qualche idea…
Jacopo Vannucchi
Un anno fa, in un godibilissimo articolo tradotto anche in italiano, il pubblicista liberale tedesco Rainer Zitelmann dipingeva una Berlino che ricordava le raffigurazioni della «Red Madrid Ruled By Trotsky» sulla stampa filo-franchista di William Randolph Hearst nel 1936. La proibizione di manifestazioni negazioniste della Covid-19 e neonaziste veniva descritta come l’abolizione della libertà di riunione, mentre il calmiere degli affitti e l’obbligo per i proprietari di restituire agli inquilini le quote in eccesso erano tout court l’abolizione dell’economia di mercato. Ça va sans dire, i precedenti di queste politiche dell’amministrazione rosso-rosso-verde di Berlino erano indicati nella DDR e nel Terzo Reich. (Zitelmann appartiene al filone che racconta il nazionalsocialismo come, si direbbe in Italia, una costola della sinistra.).
Chissà: forse Zitelmann aveva ragione, visto che i grandi gruppi immobiliari vinsero il ricorso inoltrato alla Corte Costituzionale. Peccato però che la Legge fondamentale consenta esplicitamente l’esproprio della proprietà privata per fini di pubblica utilità. Associazioni di inquilini hanno dunque promosso un referendum propositivo per l’esproprio delle compagnie immobiliari che possiedano oltre 3000 appartamenti. L’esproprio avrebbe riguardato circa un sesto degli appartamenti in affitto nella capitale.Dopo trent’anni di profitti gonfiati e dopo non essere indietreggiati neanche di fronte alla Covid-19 pur di tenere sfitte le case per farne salire il prezzo, i proprietari berlinesi hanno commesso l’errore delle compagnie di assicurazione sanitaria negli Stati Uniti nel 2010: hanno voluto stravincere. L’errore fu fatale per gli americani ed è stato fatale anche in Germania. Il referendum ha vinto superando il quorum e adesso il Senato berlinese dovrà varare una legge in proposito.
Confrontando il risultato del referendum con quello per il Bundestag (https://www.wahlen-berlin.de/) si nota la marca rosso-verde della misura, la netta opposizione di liberali e CDU, e la spaccatura a metà dell’estrema destra (che si era pronunciata contro l’esproprio) e della SPD – quest’ultima contraria, ma con l’organizzazione giovanile invece favorevole.
Resta un problema politico per la Linke: aver patito, anche su questo tema sociale, l’offensiva dei Verdi, pur se questi hanno tentennato di più prima di aderire all’iniziativa. Per fornire un dato, a Berlino Est nei seggi dove l’esproprio è sotto il 50% i Verdi ottengono il 14% e la Linke il 12%; nei seggi dove l’esproprio ha almeno il 50%, i Verdi crescono al 22% e la Linke solo al 17%. Poiché il caro-affitti riguarda soprattutto la popolazione giovanile del centro città, ossia le zone più “verdi” di tutta la Germania, è probabile che la Linke si sia ritrovata schiacciata su un’identità passatista e culturalmente estranea a elettori cosmopoliti.
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.