Pubblicato per la prima volta il 9 dicembre 2015
La concezione althusseriana del cambiamento sociale e politico come esito di un complesso reticolo di influenze fra le varie sfere della società, secondo il principio della surderminazione (come abbiamo visto nel precedente contributo), è coerente con la lettura antistoricista che il filosofo francese dà del capitale: non ci sono meccanismi automatici che determinano il passaggio da un sistema di produzione all’altro, bensì solo delle concrete situazioni storiche, in cui, in maniera casuale, o quantomeno non del tutto deliberata da alcun soggetto, si può verificare la simultanea presenza di una grande quantità di contraddizioni nei rapporti sociali, economici, culturali tali da portare a una rottura dirompente col passato.
Ma come coniugare l’idea del carattere fondamentalmente aleatorio e non meccanicista delle trasformazioni sociali, che passa per una rivalutazione degli elementi culturali e politici, con l’impostazione materialista della teoria marxiana? Althusser risponde a questo dilemma introducendo, in una celebre intervista con la filosofa messicana Fernanda Navarro, edita col titolo di Filosofía y marxismo, il concetto di “materialismo aleatorio” o dell’“incontro”.
Rifacendosi all’atomismo classico, Althusser afferma che in Democrito ed Epicuro emerge la concezione, radicalmente alternativa rispetto ai costrutti teorici di Platone ed Aristotele, che prima che la realtà si fosse formata vi erano un’infinità di atomi che cadevano, parallelamente gli uni agli altri, nel vuoto. Ciò significa che prima che fosse nato il mondo, non c’era niente di formato e allo stesso tempo che tutti gli elementi della realtà esistevano di già ma in forma isolata. Questi presupposti implicano che non è possibile rintracciare
«alcuna Origine, senso, Causa, Ragione, né Fine. Qualsiasi teleologia è negata: sia essa razionale, morale, politica o estetica. Bisogna aggiungere che questo materialismo non è quello del soggetto (sia esso Dio oppure il proletariato) quanto piuttosto quello di un processo – senza soggetto – che domina l’ordine del suo sviluppo, senza un fine assegnabile».
Queste affermazioni, sposandosi perfettamente con i saggi di Althusser degli anni sessanta, offrono la possibilità di ribadire il carattere antistoricista e antiumanista del marxismo. L’assenza di ogni “disegno”, il carattere casuale del divenire storico, sono tutte affermazioni che concorrono a formulare una critica radicale alla storiografia romantica che vedeva nelle opere dei “grandi uomini” il motore del cambiamento: come si è già visto in precedenza, non solo la storia non è fatta da personaggi illustri e gloriosi, o da eroi, secondo la visione di Carlyle, ma addirittura, nell’ottica althusseriana, non è fatta proprio da nessuno, manca l’impronta dell’essere umano, è un processo senza soggetto.
Le implicazioni teoriche che derivano dall’atomismo di Democrito ed Epicuro, in ogni caso, non si limitano a ribadire una certa avversione per ogni spiegazione teleologica, ma offrono importanti indicazioni per ridefinire il rapporto fra struttura e sovrastruttura secondo non più il principio della dialettica ma secondo quello della surdeterminazione.
Secondo l’atomismo classico, infatti, la nascita del mondo è dovuta a un processo totalmente aleatorio: la deviazione infinitesimale dalla traiettoria parallela di un atomo, detta clinamen, permette agli atomi di incontrarsi e di aggregarsi. La realtà dunque non è altro che il prodotto dell’aggregazione casuale di atomi: non esistono leggi prestabilite di associazione che dicano verso che direzione vada il mondo.
Sicuramente il materialismo aleatorio legittima dunque il primato universale degli elementi economici, ma ogni società, lungi dall’essere determinata solamente dai suoi rapporti di produzione, consta di una molteplicità di influenze, di cui quella economica opera solo come determinante di “ultima istanza”. Niente vieta, dunque, che, in date situazioni, siano altre sfere a detenere una superiore influenza. Il gioco delle determinazioni è sempre aperto, revocabile e soprattutto non conduce verso alcun futuro prestabilito.
Il principio di surdeterminazione, applicato al materialismo aleatorio, porta Althusser a proporre nel saggio Per Marx la sua teoria generale della società che, sulla scia della linguistica strutturale di Saussure, immagina come una totalità sistemica. Il suo modello astratto si configura come “strutturato a dominante” nel senso che ciascuno degli elementi da cui è composta la società può all’interno della struttura dominare, cioè risultare quello che influenza, in misura preponderante, gli altri. Il tutto sociale, articolato e unico allo stesso tempo, implica questo meccanismo della dominanza come essenziale, nel senso che è iscritto nella sua struttura. Tuttavia occorre ricordare che
«se la struttura a dominante resta costante, cambia però il gioco delle parti: la contraddizione principale diventa secondaria, una contraddizione secondaria prende il suo posto, l’aspetto principale diventa secondario, l’aspetto secondario diventa principale. Esistono sempre sì una contraddizione principale e delle contraddizioni secondarie, ma esse si scambiano le parti nella struttura articolata a dominante, che invece rimane stabile».
Rispetto a quella hegeliana, la totalità marxiana è dunque complessa, con una serie di ambiti che si influenzano a vicenda. Ma quali sono questi elementi o sfere nelle quali si articola il sistema complessivo? Althusser ne individua quattro e li descrive come “pratiche”. Occorre subito puntualizzare che per pratica Althusser intende
«ogni processo di trasformazione di una determinata materia prima data in un determinato prodotto, trasformazione effettuata da un determinato lavoro umano facendo uso di determinati mezzi (di “produzione”). In ogni pratica così concepita, il momento (o l’elemento) determinante del processo non è né la materia prima né il prodotto ma la pratica in senso stretto: il momento stesso del lavoro di trasformazione, che mette in opera, in una struttura specifica, uomini, mezzi e una data tecnica d’impiego dei mezzi».
A concorrere alla realizzazione della totalità esistono allora quattro pratiche: quella economica, quella politica, quella ideologica e quella teoretica. La pratica determinante in ultima istanza, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, è la pratica economica che trasforma la natura in prodotti d’uso mediante il lavoro umano regolato da mezzi di produzione nel quadro di determinati rapporti di produzione. Gli altri livelli essenziali sono: la pratica politica, che trasforma i rapporti sociali esistenti in nuovi rapporti sociali, la pratica ideologica che trasforma la “coscienza” umana, e la pratica teoretica che invece lavora su rappresentazioni e concetti.
Secondo il filosofo francese, è lo stesso Marx a far notare che la struttura “a dominante” può porre al vertice pratiche diverse in contesti diversi quando afferma che la politica dominava in Grecia così come la religione a Roma. È interessante notare che la definizione degli aspetti sovrastrutturali della politica, dell’ideologia o della teoria stessa, come pratiche volte alla produzione o trasformazione di qualcosa, permette ad Althusser di eludere ogni accusa di idealismo, coerentemente con la sua insistenza sul concetto di materialismo aleatorio.
Dato che le varie pratiche sono tutte in relazione fra di loro e si influenzano vicendevolmente, i mutamenti non sono interpretabili come prodotti da condizioni esterne ma come ristrutturazioni interne. In particolare una forma di cambiamento di tipo conflittuale se non addirittura rivoluzionaria, è sempre possibile poiché entro ogni pratica si formano contraddizioni che possono portare al conflitto. Ciò vale non solo per la politica o per l’economia ma anche all’interno della teoria scientifica dove sono sempre possibili rotture epistemologiche o cambi di paradigma. Vista la loro mobilità, queste contraddizioni possono condensarsi in un punto e provocare forti tensioni antagoniste che, se non vengono raffreddate, possono portare a una fase “esplosiva” che è il terreno fertile per un’azione rivoluzionaria.
La lotta però non ha un carattere di necessità, può esplodere come rimanere latente e anche i suoi esiti sono incerti e aleatori. In particolare, l’ideologia, sebbene anch’essa sia una pratica all’interno della quale si può generare conflitto, ha un ruolo determinante nel nascondere le effettive ingiustizie sociali e legittimare le idee della classe dominante ed è quindi una straordinaria produttrice di consenso.
Althusser aveva sicuramente in mente il concetto gramsciano di egemonia che ha il merito di rompere con una lettura ortodossa di Marx. Tuttavia, se il filosofo italiano resta su un’impostazione filosofica di tipo dialettico, in cui si ragiona in termini di struttura e sovrastruttura, quello francese concepisce l’ideologia come una pratica, distinta e relativamente autonoma da altri elementi extraeconomici come la politica o la scienza.
Data l’importanza che essa detiene nell’opera althusseriana, nel prossimo contributo, analizzeremo allora in maniera più approfondita il concetto di Ideologia e come essa sia riprodotta all’interno degli Apparati Ideologici di Stato.
[Continua nei prossimi giorni]
Immagnie: L. Stoer, tavola da Geometria et Perpesctiva, 1567 (dettaglio)
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.