Il Partito Radicale e il suo ruolo nella politica italiana
Nato nel 1956 da una scissione interna al Partito Liberale Italiano, il Partito Radicale si è assiduamente impegnato nella promozione e nella lotta per affermare i diritti civili e politici in una Italia percepita come tradizionalista, conservatrice ed eccessivamente legata all’influenza della Chiesa Cattolica e alla sua gerarchia clericale. Unendo a una concezione liberale e liberista una forte propensione libertaria e antiautoritaria, i Radicali, nei loro oltre sessanta anni di attività, pur non godendo di una grande forza elettorale, hanno però molto spesso avuto un certo peso e una discreta attenzione mediatica quando si è trattato di combattere le loro numerose battaglie politiche che hanno spaziato dall’aborto, al divorzio, all’eutanasia, all’antiproibizionismo, alle libertà sessuali, al problema del sovraffollamento delle carceri, senza rinunciare a impegnarsi entro una più ampia dimensione internazionale.
Dopo la morte del leader storico Marco Pannella nel 2016, si consuma una rottura nella galassia radicale fra la componente partitica pannelliana contro il movimento dei Radicali Italiani di Bonino/Magi/Cappato. Proprio questi ultimi sembrano essere i più attivi politicamente: al XVI Congresso dell’ottobre 2017, passa infatti a grandissima maggioranza la mozione che impegna gli organi dirigenti a lavorare per una lista dallo spiccato orientamento europeista (“+Europa”) in vista delle prossime elezioni politiche. Sul ruolo storico e attuale dei Radicali, il “10 Mani” di questa settimana.
Niccolò BassanelloLa galassia radicale – di cui il Partito Radicale non costituisce che una parte – è un soggetto di comprensione non semplice. Da decenni, infatti, il proteo radicale ha messo in secondo piano le radici programmaticamente atlantiste, filoamericane e libertarian (termine che in italiano, tipicamente, si rende con un vocabolo bruttarello ed ingombrante: “liberista”), per concentrarsi, spesso attraverso ramificazioni associative del movimento radicale come l’associazione Coscioni, su battaglie più vicine al liberalismo sociale dei liberal anglosassoni, come quelle per i diritti lgbt o per la libertà di scelta in tema di “fine vita”, riuscendo spesso a “bucare” comunicativamente, ad imporre priorità alla politica politicata e a generare un vivo dibattito nell’opinione pubblica. Purtroppo non con uniforme successo: l’impegno radicale per condizioni perlomeno umane nelle carceri e per una riforma penale complessiva è sempre rimasto sottotono, in un’Italia che troppo spesso dimentica l’articolo 27 della Costituzione. Basta questo per dire che tutta la sinistra deve ai radicali quantomeno una buona somma di riconoscenza.
Ma ogni medaglia ha un lato oscuro. Nel caso dei radicali, vengono alla mente i molti “patti col diavolo” accettati in nome della rappresentanza politica, il fanatismo universalistico, gli schizofrenici trasformismi di alcuni esponenti di spicco, il grottesco uso dello strumento referendario per corroborare rivendicazioni inconsistenti e populistiche. Ma anche l’abitudine ad appuntarsi la totalità del merito di ogni benché minimo avanzamento nella civiltà dei diritti in Italia, diritti conquistati dalla piazza dei movimenti femministi e lgbt molto prima e molto più che dalle microscopiche pattuglie radicali e dalle loro azioni eclatanti. Il patto con i postdemocristiani di Tabacci e quindi con il centrosinistra, che colloca quindi i radicali nelle fila degli ultimi soldati giapponesi fuori tempo massimo della Third Way blairiana, non dovrebbe sorprendere né scandalizzare. E, forse, a chi pensa ad un socialismo adatto ai nostri tempi, non dovrebbe nemmeno importare granché.
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla natura della dittatura democratica che ci governa dalle ultime vicende legate alla formazione delle liste elettorali può iniziare a raccogliere le prime risposte. Due partiti inesistenti a livello di consensi democratici riusciranno a presentarsi senza dover raccogliere una sola firma, e lo faranno per il solo fatto di aver dei rappresentanti imbucati nella stanza dei bottoni. Tutti gli altri fuori possono iniziare a sputare sangue per poter esistere sulla famigerata scheda da cui emergerà il verdetto del consenso democratico. Infatti, il Centro Democratico di Tabacci, imbarcato dal PD, era entrato in Parlamento nel 2013 con il 0.49% dei voti ottenendo addirittura 6 seggi elettorali. +Europa rappresenta invece una formazione completamente nuova nata dalla costola dei liberisti libertari fuoriusciti dal Partito Radicale e guidati da Emma Bonino. Direi che questa figura della politica merita un piccolo excursus per capire come mai vi possa essere in lei un così grande attaccamento all’ideale europeo, tale addirittura da creare di questi tempi un partito che esorta esplicitamente all’europeismo più sordo alle tematiche sociali.
La ex eurodeputata, non contenta di aver partecipato alla creazione di un ibrido istituzionale quale il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito, unico partito al mondo ad essere strutturato come Ong e quindi ad agire nella società civile mondiale per trovare i propri finanziatori ed esercitare le proprie funzioni di lobbying, ha pensato bene di andare oltre creando l’unico partito in Europa ad avere come ideale fondante l’europeismo. Una siffata ispirazione non poteva che nascere solo dopo aver occupato gli scranni più alti del potere italico ed europeo senza alcuna legittimità democratica viste le operazioni di imbarcamento politico esercitate dal suo partito come unica strategia di sopravvivenza.
Una breve rassegna delle cariche della leader di + Europa può risultare un utile promemoria: Commissario europeo per gli aiuti umanitari e per la tutela dei consumatori, Ministro del Commercio internazionale e delle politiche europee sotto il Governo Prodi, Ministro degli affari esteri sotto il Governo Letta. Se non bastasse la troviamo pure come fondatrice della famigerata Corte Penale Internazionale che ama giustiziare i più ostinati leader politici che in passato si rifiutarono di piegare la testa di fronte all’imperialismo. Insomma, con un curriculum così a raccogliere le firme girando per mercati al freddo e sotto la pioggia? Roba da plebei! Andateci voi che ancora credete nella democrazia a fare ‘ste cose. Lei, più umilmente, si dedica a diffondere devotamente gli ideali liberisti in salsa europea: affoga Spinelli in Nozick e lo spaccia come innovazione politica alle élite ordoliberali che ovviamente non attendevano altro. L’operazione ha del genio, bisogna ammetterlo. Mentre gli altreuropeisti raccoglieranno le firme ingegnandosi e spaccandosi la testa per rovesciare il tavolo in un contesto europeo, qualcuno quel tavolo lo ha già fissato saldamente al suolo non preoccupandosi minimamente della base di consenso democratico. Una lotta impari, prima si riuscirà ad ammetterlo e prima si potrà ripartire per colpire il nemico di classe.
Non sono convinto che fosse un problema di numero di firme da raccogliere, dato il numero veramente basso a cui sono state ridotte. È che l’accordo “tecnico” (come viene chiamato da Emma Bonino) non è in discussione in realtà per «+ Europa», che in Renzi può identificare il “capo” più compatibile con le posizioni storiche dei Radicali Italiani (le cui difficoltà nascono da prima della scomparsa di Pannella, la cui morte è arrivata quando i rapporti con Bonino erano già problematici, come ha potuto constatare anche chi avesse solo ascoltato occasionalmente Radio Radicale nel recente passato).
La questione è una legge elettorale che crea disorientamento e favorisce un ulteriore allentamento dell’elettorato, anche perché non è sostenuta da una sana battaglia culturale in grado di spiegare che sarebbe bene esprimersi a prescindere dalle regole, nel senso di un rispetto della Costituzione, per la quale si concorre partecipando alla vita dei partiti e non recandosi occasionalmente alle urne.
I moduli ancora non ci sono ma su quei moduli vanno indicati i candidati comuni all’uninominale e il PD non è in grado di dare garanzie a nessuno.
Purtroppo ci si concentra sull’ironia di un cattolico militante (Tabacci) che salva il progetto della Bonino. Resta però inevitabile.
Ammettendo lo stesso Renzi che il “capo” non è implicitamente il «Presidente del Consiglio» (ruolo eletto dal Parlamento senza minima ambiguità per il funzionamento della Repubblica) ci si recherà al voto per logica di gregge.
Difficile che ci si contendano gli elettorati, se non, al solito, a sinistra.
Si prevede astensione, o effetti sorpresa rilevanti se qualcuno saprà rivolgersi a quell’area.
Sotto la guida di Marco Pannella il Partito radicale fu il primo assertore politico di quella che Gaber chiamò successivamente “libertà obbligatoria” e che già Pasolini qualificava come «un obbligo, un dovere sociale, un’ansia sociale, una caratteristica irrinunciabile della qualità di vita del consumatore».
Ma fu proprio Pasolini, intervenendo al loro congresso del 1975, a invitare i radicali a «continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare» in modo da evitare quello che gli appariva come il maggior pericolo: la massificazione borghese e il totalitarismo dei consumi.
In realtà, riprendendo il tema della “partitocrazia”, già sollevato dall’Uomo Qualunque contro il CLN nel 1944-46, e dipingendo una società civile sana nella sua ansia di libertà contro un Palazzo di privilegi e di corruzione, il Partito radicale ha concorso all’erosione consumistica della partecipazione politica e al riflusso degli anni Ottanta. Non per caso i radicali hanno affermato il proprio orientamento atlantico e si sono successivamente schierati con tutti i movimenti separatisti intesi a disintegrare regimi di carattere popolare, dalla Jugoslavia alla Cina.
Dopo una iniziale alleanza col Polo delle Libertà hanno scelto poi una via solitaria, confermando sempre la loro natura bifronte: da un lato, aggressivi contestatori dello stato di cose democratico uscito dal compromesso costituzionale del 1946-47; dall’altro, inossidabilmente convinti che tale energia distruttrice possa essere però incanalata in forme di partecipazione non solo innocue ma addirittura positivamente rigeneratrici della democrazia.
Questa natura contraddittoria fu implicitamente riconosciuta negli ultimi anni dallo stesso Pannella tramite il riferimento alla locuzione evangelica “spes contra spem” (speranza contro ogni speranza). Con la graduale scomparsa di Pannella dalla scena politica il movimento radicale pare aver confermato lo schieramento nel centrosinistra (ormai dal 2005) e assunto, nel suo troncone maggioritario, una connotazione decisamente istituzionale, guidata anzitutto da Emma Bonino e che traspare in ultimo dal recente accordo politico con Della Vedova e col gruppo di Civici e Innovatori.
I Radicali hanno realmente rappresentato un elemento di novità significativo nel panorama politico italiano, almeno fino ai primi anni settanta riuscendo con stile provocatorio ma raffinato a far emergere all’opinione pubblica temi e problematiche che la società tradizionalista e perbenista dell’epoca difficilmente poteva accettare. Le loro battaglie per i diritti civili in un Paese cronicamente arretrato rispetto alla media occidentale sotto questi punti di vista è stata per molti aspetti una boccata d’aria fresca e se si pensa alle polemiche che ancora oggi sono presenti su temi come il fine vita e le unioni omosessuali si può facilmente comprendere l’utilità di una forza politica che abbia messo al centro in Italia queste battaglie.
Senza volerlo i Radicali hanno anticipato di almeno un paio di decenni quella che sarebbe diventata la sinistra in Italia e in molti altri paesi europei: attenta ai diritti civili tramite cui rifarsi un nuovo lifting identitario ma totalmente asservita alle logiche liberiste e alla convinzione che i diritti sociali dovessero essere sacrificati sull’altare di una globalizzazione ritenuta inevitabile (e spesso anche positiva). In questo contesto, i Radicali non hanno più molta ragione di esistere (e il loro declino lento ma inesorabile lo dimostra), dato che ormai il loro connubio di libertarismo e liberismo non scandalizza più nessuno. In un orizzonte culturale e politico postmoderno, che sta ampiamente metabolizzando gli unici valori realmente progressisti che i Radicali avessero mai sbandierato, resta ben poco di rivoluzionario in un concezione politica che si rivela ormai puramente reazionaria, impegnata com’è a criticare qualsiasi progetto politico che, ne bene o nel male, prova a resistere all’omologazione totalizzante e totalitaria dell’imperialismo occidentale.
Immagine liberamente tratta da www.fanpage.it
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.