Partiamo da una doverosa premessa. Sono un morettiano doc, sono cresciuto con i suoi film, con la sua ironia, con gag come la lite al bar del “rossi e neri sono tutti uguali”, quella del “no il dibattito no!” (che ormai è parte di me, anche da direttore artistico del cineforum), con il “vengo, no non vengo” di Ecce Bombo, con la gag sulle minoranze di “Caro diario”, con Moretti che inveisce contro D’Alema in “Aprile” con il famoso “di’ qualcosa di sinistra”, con la crisi del PCI, con il “continuiamo così, facciamoci del male” di “Bianca”. Come si può dimenticare il “come parla!!!! Le parole sono importanti” di “Palombella rossa”? (Potete trovare i migliori momenti qui).
Proprio da questo film abbiamo capito che, chi si considera di sinistra, ormai non è più quello di una volta. Siamo diversi, ma uguali agli altri. Quel colpo finale con schianto con la Uno bianca mi fa sempre ridere a crepapelle. Nella sua drammaticità, ci trovo sempre il modo di farmi una risata.
Potrei continuare, ma mi fermo qui. Potrei durare per ore. E’ finalmente arrivato al cinema “Tre piani”. Doveva uscire al Festival di Cannes 2020. Il Covid 19 ha fatto saltare l’edizione, rinviando l’uscita di oltre un anno. All’edizione 2021 Moretti ha riscosso 11 minuti di applausi, ma è rimasto a bocca asciutta a livello di premi. Dimenticate Michele Apicella, l’alter ego di Moretti per quasi tutta la carriera.
Qui siamo piuttosto dalle parti di J.G. Ballard (“L’impero del sole”) che, ne “Il condominio” (High rise in lingua originale), nel 1975 aveva raccontato una storia fantascientifica (ma non più di tanto ormai) di un grattacielo di nuova costruzione dove vive una numerosa comunità secondo un ordine gerarchico prestabilito. Più si va in alto, più gli appartamenti sono grandi, lussuosi e più si vive meglio.
In breve tempo, però, gli abitanti avranno una regressione che porterà a forti dissidi e ciò provocherà a scatenare una sorta di guerra civile per il controllo dell’edificio. Quelli ai piani bassi vorranno sovvertire l’ordine gerarchico prestabilito dai ricchi. E’ stato realizzato anche il film “High Rise” nel 2015 con Jeremy Irons e Tom Hiddleston, ma nelle sale italiane non è mai arrivato (chissà perchè).
“Tre piani” è una completa rottura rispetto al passato, dopo oltre 40 anni. Innanzitutto è la prima sceneggiatura non originale di Moretti. Ha preso spunto dal romanzo dell’israeliano Eshkol Nevo, edito in Italia da Neri Pozza. Sempre riprendere il filo del discorso analizzato con “La stanza del figlio” (che aveva portato a Cannes nel 2001). Moretti, dopo aver fatto spesso il moralista per anni e anni di carriera, stavolta si cala nei panni di un giudice, spesso in abiti borghesi. Finalmente si parla di scelte e responsabilità, due parole “ridotte” (consapevolmente?) dal nostro quotidiano.
Rispetto al romanzo, è ambientato in un palazzo di Roma, quartiere Prati, invece che a Tel Aviv. Probabilmente la vera differenza tra cinema e libro è proprio la differenza tra la società israeliana e quella italiana. Anche perché il romanzo affronta le nostre paure più profonde, analizzandole su più livelli. Il film è diversissimo perché l’obbiettivo di Moretti è diverso (lo capirete in fondo al pezzo). Il tema principale è la responsabilità. Ovviamente ha tre diversi contesti: quella dei padri e dei figli, ma anche quella etica e civile che manca totalmente alla società contemporanea.
Un incidente in auto scatena diverse storie di un medesimo condominio borghese. Tre diverse famiglie. Al primo piano vivono Lucio (Riccardo Scamarcio), Sara (Elena Lietti) e la loro bambina di sette anni, Francesca. Nell’appartamento accanto vivono Giovanna (Anna Bonaiuto) e Renato (Paolo Graziosi) che fanno da babysitter alla bambina. Una sera quest’ultimo, a cui è stata affidata Francesca, si perde e scompare con la bambina per molte ore. Lucio è terrorizzato e la sua paura lo divora. Il timore che Renato sia un pedofilo lo porta a perdere la testa.
Al secondo piano vive Monica (Alba Rohrwacher), alle prese con la prima esperienza di maternità. Suo marito Giorgio (Adriano Giannini) è un ingegnere e trascorre lunghi periodi all’estero per lavoro. Paure, solitudine, mancanza di comunicazione affliggono Monica. I conoscenti la chiamano “la vedova” (affettuosi non c’è che dire). Perfino lei dubita della sua sanità mentale. Giorgio deve prendere una decisione in breve tempo, sapendo che lei non può vivere da sola.
Abitano all’ultimo piano Dora (Margherita Buy) e suo marito Vittorio (Nanni Moretti). Entrambi giudici. Vivono insieme al figlio di vent’anni, Andrea (Alessandro Sperduti). Una notte quest’ultimo, ubriaco, investe e uccide una donna. Sconvolto, chiede ai genitori di usare il loro potere per evitargli il carcere. Il padre Vittorio però vuole che capisca i suoi errori. La tensione chiaramente esplode, dilaniando la famiglia. Vittorio chiede un doloroso dentro o fuori alla moglie: o lui o il figlio.
Un film duro, senza possibilità di rivincita. Non c’è mai spazio per una risata perché, parole del regista, “ogni gesto che noi compiamo anche nell’intimità delle nostre case ha conseguenze che si ripercuoteranno sulle generazioni future”.
Anche Moretti è cambiato dopo il lockdown. Ha abbandonato la zona di confort e ha scritto qualcosa di diverso, osservando la realtà.
Il film di Moretti stravolge il romanzo di Nevo: non c’è più la metafora su Israele e sui dei tre piani (Inconscio, Io e Super-Io). Vuole scuotere la gente da apatia e torpore, ma non sempre ci riesce.
I tre piani diventano momenti temporali successivi, tre parti separate ognuna da cinque anni di distanza. A differenza di Kim Ki Duk, qui ci sono tre stagioni: inverno, primavera, estate. Il ritorno alla primavera, stagione di rinascita, a cui alludeva il regista coreano chiaramente non c’è. Perché Tre piani è una sorta di letargo affettivo e morale in cui siamo piombati. Su questo sono d’accordissimo con Moretti.
Ci porta in una società disumana, che non comunica. Di conseguenza non ci capiamo più. E’ attualmente in corso una guerra tra poveri che ci sta dilaniando. Solo la dolcezza dei bambini riporta un minimo di equilibrio agli instabili adulti. Ma è solo apparenza, purtroppo. Padri infedeli, tossici e spesso assenti, madri che amano troppo, figlie incustodite, litigi per motivi futili. C’è un po’ di tutto. I personaggi femminili sono più inclini al cambiamento, mentre gli uomini rimangono ancorati alle loro certezze. Si nota che, oltre a Moretti, la sceneggiatura è scritta da due donne (Pontremoli e Santella). Il problema però è che spesso le donne sono di fatto subalterne agli uomini.
Fortunatamente questo non è il tema principale, ma Moretti è più duro con i personaggi maschili. Viene messo in evidenza la ribellione femminile a una condizione, poi però per vari motivi succede spesso che c’è ancora troppa sottomissione o subalternità. D’altronde la società è sempre più maschilista e rigidamente divisiva. Il Covid ci ha reso ancora peggiori di prima: cinici, indifferenti, litigiosi, nervosi, frettolosi, freddi, indisciplinati, con totale mancanza di equilibrio e di pensiero. E’ attualmente in corso il “tutti contro tutti”, non ci fidiamo degli altri. Chi, come me, ha lavorato (e continua a lavorare) al pubblico durante il biennio 2020-21, sa bene cosa significa. Invece di celebrare la perfezione (a cui i social ci vogliono far ambire almeno nell’apparenza), bisognerebbe insegnare la cultura del fallimento, delle ferite, dell’errore che porta poi a prendere consapevolezza del problema e, spesso, a risolverlo. Moretti celebra effettivamente il funerale di una classe borghese immobile, devitalizzata, inerme, fredda, chiusa nelle sue abitazioni. Le nuove generazioni sono le conseguenze degli errori dei 40 anni precedenti. Queste sono le cose ottimali che si riescono a cogliere durante la visione. Ma il film non è esente da problemi nella messa in scena. A
livello tecnico si notano troppi piani primi piani per non far vedere l’artificio dei quattro appartamenti che, a livello scenografico, sono praticamente sfondi prefabbricati stile fiction di Rai Uno. Il tutto è piuttosto schematico, compassato, fotografia piatta, sceneggiatura non esaltante scritta addirittura da 3 persone. Ci sono la solita Margherita Buy (in ogni caso bravissima e legata al cinema di Moretti), una Alba Rohrwacher purtroppo poco assecondata dallo script e un Riccardo Scamarcio inespressivo, a tratti imbarazzante. La giovanissima Denise Tantucci è invece la luce del film. Nel complesso “Tre piani” è altalenante. La prima parte del film è quasi televisiva e sembra una fiction di mamma Rai, anche a livello di ritmo. La seconda parte, quando entra in scena la Buy con Moretti, il film acquisisce maggior valore. La durata è un po’ eccessiva, qualche taglio nella prima parte avrebbe giovato alla narrazione. Se non fosse firmato da uno dei più grandi autori del cinema italiano, probabilmente non sarei andato a vederlo. Va detto che è una storia molto interessante e le intenzioni di Moretti sono nobili e legittime.
Caro Nanni, lo dico da grande appassionato del tuo cinema. Per quanto possa apprezzare i temi e il messaggio del film, questo “cambio di rotta” è stato troppo repentino. Spero che non mi rincorrerai urlandomi “tutti parlate di cinema! Tutti! Io non parlo di cose che non conosco!”
Fonti: Comingsoon, MyMovies, cinematografo, Sentieri Selvaggi, Movieplayer
Regia ***1/2 Interpretazioni *** Attualità **** Fotografia *** Sceneggiatura ***
Genere: Drammatico
Regia: Nanni Moretti
Sceneggiatura: Nanni Moretti, Federica Pontremoli, Valia Santella
Cast: Nanni Moretti, Riccardo Scamarcio, Alba Rohrwacher, Adriano Giannini, Elena Lietti, Anna Bonaiuto
Durata: 2h
Fotografia: Michele D’Attanasio
Musiche: Franco Piersanti
Prodotto da Fandango e Rai Cinema
Distribuzione: 01 Distribution
Uscita italiana: 23 Settembre
Trailer Italiano https://www.youtube.com/watch?v=Bhk4SbtFgxU
Tratto dal romanzo omonimo di Eshkol Nevo (Neri Pozza Editore)
In concorso al Festival di Cannes 2021
La frase: Ogni gesto che noi compiamo anche nell’intimità delle nostre case ha conseguenze che si ripercuoteranno sulle generazioni future
Immagine da corriere.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.