Eccolo qua uno dei film italiani più attesi. La lunghissima post produzione per gli effetti speciali prima e la pandemia poi ci hanno privato la gioia di scoprirlo per un anno e mezzo. Poi il Festival di Venezia 2021 lo ha messo in concorso. Insieme al film di Paolo Sorrentino, “E’ stata la mano di Dio” (il 24 novembre nei cinema e dal 15 dicembre su Netflix), e “America Latina” dei fratelli D’Innocenzo (in arrivo nei cinema il 25 novembre), era la pellicola tricolore più attesa. Erano diversi anni che 5 film nostrani non arrivavano al Lido in concorso nella stessa edizione.
L’ambizioso Gabriele Mainetti, dopo il successone di “Lo chiamavano Jeeg Robot”, si è dovuto cimentare nel difficile tentativo di far meglio dell’opera prima. Ha scelto il fantasy bellico, un mix di generi davvero difficile da trovare nel cinema italiano contemporaneo. Credo vivamente che servirebbe il suo orgoglio, la sua voglia di sfidare un sistema che si sta lentamente spegnendo. Ricorda tantissimo uno dei miei registi preferiti: Sergio Leone.
Mainetti è sicuramente una delle migliori cose che sono capitate alla nostra industria. Ambizioso, sfrontato, dark, fuori dai canoni. Anche se alle spalle ha un certo peso: il padre è Valter Mainetti, azionista di riferimento del gruppo Sorgente che comprende al suo interno varie società (tra cui il quotidiano Il Foglio, la Briaxis film e Aramaico Costruzioni). Lucky Red e Rai Cinema lo hanno capito e gli hanno dato carta bianca con un budget faraonico: 13 milioni di euro! Per una pellicola italiana son davvero tanti soldi, anche se a Hollywood si metterebbero a ridere. Finalmente nel nostro cinema si rivedono effetti speciali (massicci), stuntman, esplosioni, movimenti di macchina, gru, dolly, catapulte, fiamme, fuoco, scene di massa, inquadrature “piene”. Come nei film migliori di Fellini, Tornatore, Leone e Bertolucci.
Ma c’è di più. Freaks Out celebra la diversità, l’unione dei diversi che fa la forza e un “superpotere” davvero raro oggi: la capacità di credere nel futuro. Coadiuvato da Nicola Guaglianone alla sceneggiatura e da Michele D’Attanasio alla fotografia, Mainetti già dal titolo ci fornisce un indizio-spunto: il film “Freaks” del 1932 di Tod Browning. Ovvero un classico dell’horror, una delle storie più censurate del cinema di tutti i tempi. Il vero messaggio dell’opera era rivoluzionario e prevedeva il futuro: come giustamente riporta Sentieri Selvaggi, “i reietti, gli emarginati, possono avere coscienza della propria classe e organizzare la rivolta contro il sistema delle norme e delle regole. Non è un caso che alla fine degli anni 60, con il prevalere delle lotte studentesche e del movimento contro-culturale, il film verrà preso ad esempio da fotografi (Diane Arbus), cantanti rock (Ramones, David Bowie) e registi (Alejandro Jodorowsky) proprio a sostegno delle lotte dei diritti dei diversi. Anche se in decenni successivi altri autori come David Lynch, Terry Gilliam e Tim Burton si sono ispirati ai Freaks di Tod Browning, solo pochi (Ciprì e Maresco in Italia) ne hanno compreso veramente il potenziale eversivo. Dietro un mondo reale orribile e avido, ci sono questi mostri, questi irregolari che in un altro luogo e in un tempo “altro” provano ancora emozioni e sentimenti. Mostri che non solo possono amare ed essere amati ma che sono anche in grado di organizzarsi per rivendicare a pugno chiuso il loro diritto ad esistere”.
A tale lezione si aggiunge anche Mainetti che però sceglie di centrifugare il cuore pulsante dell’opera di Browning con tutto il cinema che gli piace vedere: i superpoteri dei cinecomics Marvel (Fantastici 4 e X-Men, come aveva fatto d’altronde già Salvatores con i due film de “Il ragazzo invisibile”), l’avventura dei “Bastardi senza gloria” di Tarantino e “Indiana Jones e l’ultima crociata” del duo Spielberg-Lucas.
L’universo visivo comprende anche il mago di Oz, “Big Fish” di Tim Burton, ma anche tanto cinema italiano. Nel frullatore c’è anche il romanesco dei “poliziotteschi” con Tomas Milian, la nostalgia e il circo tipici di Fellini e soprattutto l’anima popolare de “L’armata Brancaleone” di Monicelli e “Non ci resta che piangere” del duo Benigni-Troisi. Senza dimenticare Castellari, già usato da Tarantino come fonte d’ispirazione. Un film pieno di citazioni, di sorprese, di avventura.
Siamo a Roma nel 1943, un anno spartiacque per il nostro Paese. L’Italia fascista era alleata dei nazisti di Hitler, ma l’8 settembre Badoglio negozia un armistizio con gli Alleati. Nella stessa notte il re Vittorio Emanuele III fuggì da Roma a Brindisi, città controllata dai nazifascisti. Gli Alleati però stavano risalendo la Penisola dalla Sicilia.
L’Italia fece un cambio di campo radicale. Divenne alleata di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti, scatenando l’ira dei tedeschi. Mainetti prende per mano gli spettatori e con la macchina da presa ci fa entrare all’interno del conflitto, in mezzo ad aerei, feriti e morti. In ogni caso siamo distanti da “Roma città aperta” di Rossellini. L’Italia è dilaniata da un’atroce guerra civile: da una parte i partigiani, dall’altra i fascisti. Seguirono lunghi giorni di violenti bombardamenti nel nostro Paese, mentre il popolo italiano fu lasciato solo in balia degli eventi.
Il film segue le vicende di un gruppo di “freak” sfigati. Un manipolo di circensi vengono abbandonati dal gestore ebreo Ismael (Tirabassi). Così si mettono a cercalo con un dubbio in testa: è sparito con i soldi, è stato rastrellato o è stato ucciso?
I protagonisti sono la ragazza elettrica Matilde (Giovinazzo), Fulvio (Santamaria) una sorta di uomo lupo con look alla Chewbecca di Star Wars, l’uomo calamita Mario (Martini) e il “domatore di insetti” Cencio (Pietro Castellitto). Una via di mezzo tra i “Fantastici 4”, gli X-Men di casa Marvel e “l’armata Brancaleone” di Monicelli. Senza famiglie, soldi e sicurezza di un lavoro, vagano per Roma tra gli aerei che la bombardano senza pietà. “Noi senza circo siamo solo una banda di mostri”, dice uno di loro.
E in effetti è proprio così. La guerra imperversa e loro sanno che il giudizio e lo sguardo delle persone comuni (fascisti e nazisti) è ostile. Qui Mainetti sembra ricondursi ai temi del cinema magico di Guillermo Del Toro, al suo “labirinto del fauno”, ma anche a “La forma dell’acqua”. Sulla strada si imbattono nel Zirkus Berlin, attrazione diabolica guidata dall’eccentrico e spietato nazista Franz (Rogowski). Un uomo “visionario” ossessionato dal potere e dalla musica in preda ad allucinazioni oniriche che spaziano dai Nirvana a Martin Luther King (ancora più estremo, se fatto da un nazista). Anche lui però è un “freak” perchè ha 6 dita per mano (infatti è un ottimo pianista). Lui avrebbe voluto essere un soldato, compiere il suo destino per aiutare il Fuhrer nella sua missione.
Franz sostiene anche di vedere il futuro (la morte di Hitler), ma che è ostinato a vincere la guerra e a disfarsi di ebrei, omossessuali, zingari e avversari. Superba la scena in cui viene fatto il saluto nazista allo specchio con il sangue che fuoriesce, mentre riflette un quadro raffigurante Hitler. E’ un esempio di come si può dire la propria opinione in pochi istanti con efficacia.
Chiaramente i superpoteri dei quattro affascinano e non poco Franz per raggiungere il suo fine. Ma i nostri freaks presto vedranno ebrei rastrellati dai ghetti, feriti e mutilati di guerra. Forse quelli sono più vicini alla loro famiglia naturale. La cosa più bella è l’allegoria dei partigiani: disobbedienti, folli, coraggiosi, diversi, “freak” (cioè esseri mostruosi) che decisero di non piegarsi. Nei personaggi principali è facile ritrovare difetti, ma anche questi pregi.
La scelta del 1943 come anno di ambientazione non è casuale. E’ sicuramente uno degli anni più difficili per gli italiani. Lo spaesamento di una generazione, come descrisse Salvatores nello splendido “Mediterraneo”. Io non c’ero, ma i racconti dei miei nonni mi hanno aiutato e non poco a capire l’aria che si respirava.Quello di Mainetti è cinema classico, ma funzionale allo scopo del messaggio che si vuol veicolare. La prima ora è pazzesca, sia a livello di luci e fotografia, sia a livello di narrazione. Lo spettatore è coinvolto nella storia come non accadeva da anni.
Poi questa magia si perde un po’ nella seconda parte dove entra in gioco l’avventura. Meno realismo più finzione ed elementi caricaturali, come in “Bastardi senza gloria” di Tarantino. Lo spettacolo però c’è eccome.
Rispetto a “Jeeg Robot”, manca il carisma del villain di Marinelli. Il cast funziona bene (Giancarlo Martini il migliore, il più soprendente). C’è il solito eccesso del dialetto romano (il nostro cinema è troppo “romanocentrico”). Anche se qui è funzionale al racconto. Nel complesso però è grande cinema. Difficilmente l’avventura fantastica ha raggiunto tali vette nella nostra industria. Ma c’è di più: c’è anche la raffigurazione di un futuro evocato (cioè il presente) in cui il potere sarà negli smartphone, inteso come strumento di controllo delle masse. Non è un caso che questa visione colga il villain nazista Franz.
“L’iPhone oggi è totalizzante, quando uno cerca qualcosa su questa biblioteca digitale infinita e, anche poco corretta, improvvisamente ti si apre una sequela di immagini nella testa che è quella che vede il personaggio del cattivo Franz davanti a sé. Hanno totalizzato la nostra vita e ci hanno portato in un’altra. Dobbiamo imparare a metterle insieme perché tornare indietro e’ impossibile” – ha riferito alla stampa il regista.
Ha ragione. Onore e merito a Mainetti. Dopo l’ottimo “Lo chiamavano Jeeg Robot” e questo “Freaks Out”, sicuramente il prossimo film sarà attesissimo.
Fonti: Sentieri Selvaggi, Cinematografo, Comingsoon, My Movies
Regia **** Interpretazioni ***1/2 Effetti Speciali ***1/2 Fotografia **** Sceneggiatura ***1/2
FREAKS OUT ****
(Italia, Belgio 2021)
Genere: Avventura, Fantastico, Storico
Regia: Gabriele Mainetti
Sceneggiatura: Gabriele Mainetti e Nicola Guaglianone
Cast: Pietro Castellitto, Claudio Santamaria, Aurora Giovinazzo, Giorgio Tirabassi, Giancarlo Martini, Franz Rogowski
Durata: 2h e 20 minuti
Fotografia: Michele D’Attanasio
Prodotto da Lucky Red
Distribuzione: 01 Distribution
Uscita Italiana: 28 Ottobre 2021
Budget: 13 milioni di euro
In concorso al Festival di Venezia 2021
Trailer Italiano qui
Interviste a cast e regista qui
La frase: La guerra è guerra
Immagine da tg24.sky.it
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.