Alla luce della freschissima notizia delle dimissioni del Ministro dell’Istruzione, secondo le sue dichiarazioni causata dalla poca attenzione dedicata in finanziaria a scuola, università e ricerca, vale forse la pena provare a dare un breve sguardo allo stato del settore in chiave mondiale, per dare una dimensione alla miseria del nostro dibattito interno.
Un punto di vista tanto interessante quanto preoccupante sui sistemi educativi è quello degli investitori privati, che hanno ben chiaro quanto sarà forte nel futuro la richiesta di educazione di qualità, specilamente nei paesi in via di sviluppo.
Il mercato dell’educazione privata valeva globalmente circa 5 mila miliardi di dollari nel 2015, le stime per il futuro portano questa cifra a circa 7 mila miliardi attesi nel 2020 e oltre 10 mila miliardi nel 2030 (55% nel segmento infanzia – secondaria, 25% post-secondaria, il rimanente equamente diviso tra pre-infanzia, formazione degli adulti e formazione in azienda). Un mercato secondo solo a quello della sanità privata la cui crescita è spinta non solo dall’incremento della popolazione mondiale (200.000 nuovi abitanti del pianeta al giorno), ma anche dalla crescita dei mercati emergenti – sempre più in cerca di alte professionalità -, dalle trasformazioni del lavoro e dallo sviluppo tecnologico, fattori che impongono una maggior preparazione di base ed un continuo upskilling dei lavoratori.
Questi fattori fanno prevedere che nella prossima decade usciranno dalle istituzioni educative almeno 350 miloni di laureati e 800 milioni di diplomati in più rispetto ad oggi, con una richiesta di 1,5 milioni di docenti in più all’anno.
All’educazione in senso stretto si affianca un mercato grigio legato ai servizi di tutoraggio privato che varrà, si stima, oltre 260 miliardi di dollari entro il 2024, il cui successo è legato a diversi fattori: l’inadeguatezza dei sistemi scolastici tradizionali, la crescente pressione sugli studenti per migliorare i voti complessivi – specialmente in quei sistemi scolastici in cui il percorso scolastico è vincolato da test standardizzati -, la richiesta di piani di tutoraggio accademico personalizzati.
Ovviamente, visto che stiamo parlando di valutazioni sviluppate da privati e non, purtroppo, da governi, l’interesse per questi dati è tutto legato al profitto: il 2013 ha registrato 1,2 miliardi di dollari in investimenti da venture capital, saliti a 4,2 miliardi nel 2015 e 8,2 milardi nel 2018, con 44 round di investimenti superiori ai 100 milioni di dollari l’uno negli ultimi cinque anni, concentrati su 34 marchi.
Non stupisce, dati i numeri, che gli studenti delle istituzioni private siano in crescita, con più forza nei paesi in cui l’educazione statale è tradizionalmente debole, più modestamente nei paesi in cui la scuola pubblica è più forte. È più complessa la situazione italiana, in cui l’educazione statale, nonostante i pesanti tagli, è ancora in discreta salute mentre il mercato privato è ancora in mano ad un unico monopolista privato (per quanto in grande difficoltà), cioè la Chiesa Cattolica, ma in cui si fanno strada grandi investitori, prevalentemente multinazionali del mondo anglosassone, in cerca di nuovi spazi di mercato.
In questo senso, forse avrebbe aiutato se il ministro Fioramonti avesse evitato le dimissioni (ammesso che le motivazioni addotte siano vere) e avesse invece, pur incassando la sconfitta sul rifinanziamento, rafforzato l’azione a tutela di scuola, università e ricerca pubbliche che aveva provato a sviluppare durante il suo breve mandato. Se è vero che i numeri del nostro paese restano disastrosi (mentre tra il 2000 e il 2015 la media mondiale di spesa nell’istruzione saliva dal 3,9 al 4,9 % del PIL, in Italia siamo scesi dal 4,3 al 4,1% del PIL) e la battaglia per l’aumento dei fondi al comparto, anche con gesti eclatanti, è sicuramente legittima, proprio un lavoro costante lungo una intera legislatura, magari sviluppato insieme alle organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori dell’istruzione, avrebbe qualificato l’operato del ministro.
Delegato sindacale CGIL dal primo contratto di lavoro, rimasto tale anche durante i periodi di precariato a vario titolo, alla faccia di chi dice che il sindacato non è per giovani e per precari. Ora funzionario sindacale per la FLC CGIL. Sono stato in minoranza di qualsiasi cosa durante tutta la mia storia politica.