Le 208 vittime nel Mediterraneo, nel solo mese di gennaio, dovrebbero convincere chiunque conosca le leggi del mare – quelle scritte – a rispondere senza ipocrisia a chi si sta facendo facile pubblicità, sulla pelle di uomini e donne in fuga da guerre, carestie e violenze di ogni genere.
In questi primi giorni di febbraio, le traversie della nave Sea Watch, che ha salvato 47 esseri umani in un mare in tempesta, sono indicative di una pervicace volontà intimidatoria dello Stato italiano nei confronti delle organizzazioni non governative che opera(va)no nel Canale di Sicilia.
Anche la magistratura requirente catanese, non certo accondiscendente nei confronti delle ONG, ha dovuto ammettere: “Non c’è alcun rilievo penale nei confronti dell’equipaggio della SeaWatch. La situazione di “distress” del gommone giustificava il soccorso da parte della nave. Per due giorni nessuna motovedetta libica ha operato nell’area Sar”.
Sono parole del procuratore capo Carmelo Zuccaro, che pure ha aperto (facendolo sapere urbi et orbi) l’ennesima inchiesta sulle presunte complicità tra scafisti e ONG, a due anni dalla prima indagine, e senza che nel frattempo siano emersi sospetti di alcun genere. Men che mai prove.
A una Italia, e a una Unione europea, che si sono affidate alle presunte autorità libiche e alla Turchia del “sultano” Erdogan – spendendo miliardi di euro della collettività – per evitare che alcune migliaia di africani (e soprattutto due milioni di siriani, detentori per forza di cose dei requisiti per la protezione umanitaria) entrassero a far parte di un’area continentale di 500 milioni di abitanti, andrebbe ricordato in ogni dichiarazione pubblica che questa gestione politica di un fenomeno naturale come le migrazioni è destinata “naturalmente” al fallimento. Al pari della gestione non-gestione dell’altro grande fenomeno naturale dei nostri tempi, quello dei cambiamenti climatici.
Intanto la magistratura requirente – dalla procura di Agrigento il fascicolo è stato spedito a Roma per competenza – sta indagando sulla strage dei 117 migranti annegati il mese scorso nel braccio di mare che separa la Libia dall’Italia. Dalla Sicilia è arrivata la richiesta di verificare “la sussistenza dell’ipotesi di reato di omissione di soccorso da parte degli ufficiali che furono informati che un gommone stava affondando da un aereo del 41simo stormo dell’Aeronautica militare di Sigonella”, che lanciò due zattere non potendo fare di più. Non ci sono indagati, ma il passaggio dell’inchiesta nella capitale fa ipotizzare le responsabilità del Centro di coordinamento di ricerca e soccorso della Guardia costiera italiana, di cui alcuni ufficiali sono già stati rinviati a giudizio, per la strage dell’ottobre 2013 quando annegarono 268 persone – molti erano bambini – a causa del ritardo nei soccorsi a un barcone in difficoltà.
In definitiva la prima strage del 2019 è riconducibile al mancato soccorso italiano. Invece il governo fa la guerra alle navi delle ONG. Le uniche su cui sventola un’ideale bandiera con su scritto “Restiamo Umani”.
Immagine di copertina ripresa liberamente da: commons.wikimedia.org
Articolo pubblicato anche su Reds, anno VIII, numero 2, febbraio 2019
Giornalista de il manifesto, responsabile della pagina regionale toscana del quotidiano comunista, purtroppo oggi chiusa. Direttore di numerosi progetti editoriali locali, fra cui Il Becco.