La forza di questa storia è nell’immagine di apertura. Un uomo viene ucciso per essersi permesso di citare Spinoza durante un dibattito televisivo. Il Paese è infatti maturato rispetto alla situazione presente. Il Ministro dell’Interno svolge le funzioni anche Primo ministro. È una persona che ha studiato al liceo, ma ha capito di dover condurre una guerra contro la cultura per assecondare il sentimento dell’elettorato. I radical chic sono un nemico da mettere a valore. Finiranno infatti per essere protetti dallo Stato, a proprio carico (pena la non erogazione di stipendi e pensioni), esibendosi in recinti da zoo, declamando il loro sapere come pura attrazione. Ogni dimensione collettiva è svanita e le forme di resistenza sono a titolo individuale, non coordinate. Chi ha studiato ma vive nella precarietà si presta a costruire elenchi di parole da abolire. Il romanzo riporta infatti le correzioni della nuova Autorità Garante per la Semplificazione della Lingua Italiana, cancellando alcune espressioni ricercate e riportando in nota come sarebbe più adatto esprimersi.
C’è un accenno di narrazione coerente. La figlia del primo professore ucciso rientra da Londra, dove ha abbandonato gli studi per la cucina, al fine di riconoscere il cadavere e occuparsi dell’eredità. Attraverserà una Milano distopica, avendo frequentato il Ministro quando erano bambini e ascoltando le surreali reazioni delle amicizie del padre. Giacomo Papi mette in scena le presunte ipocrisie della società italiana, deridendo tutte le parti e provando a mettere a valore il senso della cultura.
Non ci riesce fino in fondo, per la troppa superficialità su cui vola rispetto alla trama, senza la stessa capacità di Stefano Benni di gestire l’assurdo e il contraddittorio. Ogni tanto la psicologia dei personaggi si affaccia tra una provocazione e una risata amara.
Si tratta di un romanzo breve, che scorre con grande facilità e capace di attrarre l’attenzione dalle prime parole. Il richiamo al governo Lega-Movimento 5 Stelle è palese.
La fascetta con cui è abbracciata la mia copia non regala punti simpatia al libro. Gli apprezzamenti di Miche Serra e Giuliano Ferrara accompagnano l’annuncio di avere in mano una sesta edizione. Il rischio è di aver assecondato una retorica da area progressista italiana, impegnata ad auto criticarsi, purché non si discuta il livello superiore a cui appartengono, rispetto all’ignoranza egemone.
Abbiamo sbagliato, ma rimaniamo migliori. Non ci prendiamo troppo sul serio, sappiamo ridere di noi, ma voi fate piangere.
Comunque, la provocazione con cui si sviluppa Il censimento dei radical chicha una efficacia, rispetto al tempo di lettura richiesto il rapporto costo-beneficio registra un saldo positivo.
Il sapere serve a saper vivere, non a essere esibito. L’Italia di Papi è piccola, triste e sconfitta. Analoga a una buona tradizione nazionale nel campo della scrittura, ma ancora distante da quelle più felice.
Immagine: dettaglio di copertina de Il censimento dei radical chic, edizioni Feltrinelli 2019 (dettaglio)
Classe 1988, una laurea in filosofia, un dottorato in corso in storia medievale, con diversi anni di lavoro alle spalle tra assistenza fiscale e impaginazione riviste. Iscritto a Rifondazione dal 2006, consigliere comunale a Firenze dal 2019.