Rosa Maria Dell’Aria, insegnante di italiano e storia in un Istituto industriale di Palermo, è stata sospesa dall’insegnamento per quindici giorni perché non avrebbe vigilato sul lavoro di alcuni dei suoi studenti che hanno presentato un video in cui si accostavano le leggi razziali del 1938 al Decreto Sicurezza di Salvini. Fra chi accusa la docente di indottrinamento ideologico e chi invece la difende in nome della libertà di insegnamento e di sviluppo della coscienza critica, si è scatenata una polemica a livello nazionale che si è estesa a temi delicati come la libertà di espressione, l’importanza della storia e le politiche scolastiche. Di questa vicenda, ne parliamo “a dieci mani”.
Piergiorgio Desantis
Il caso dell’insegnante di Palermo sospesa per ben 15 giorni dal suo lavoro (e quindi dal suo stipendio) sta scuotendo il dibattito politico e sindacale ed è un bene. Questa è una delle poche volte in cui l’opposizione (tutta quanta) fa sentire la sua voce univoca a sostegno della libertà di insegnamento e di pensiero (entrambi previste in Costituzione).
Un provvedimento così abnorme e le indagini svolte dalla Digos (con interrogatori agli studenti), forse non si erano mai viste nell’età repubblicana. Quello che emerge è l’intento preventivo e di avvertimento a tutti gli insegnanti d’Italia di non disturbare o criticare un governo sempre più in difficoltà. Tuttavia solo dopo le elezioni europee, con l’autunno molto caldo che ci attende, avremo maggior chiarezza sulla tenuta di questa maggioranza in Parlamento, anche se si avvertono scricchiolii sempre più frequenti. Spetta all’opposizione politica e sindacale avviare un nuovo ciclo di mobilitazioni e lotte per sconfiggere il programma politico messo in campo da questa destra reazionaria e liberista.
Jacopo Vannucchi
Nella aberrante sospensione della docente di Palermo ci sono due cose, in particolare, che fanno rabbrividire.
La prima è la peculiare filiera seguita dal provvedimento disciplinare. Tutto inizia il 28 gennaio con un tweet che tale Claudio Perconte, sedicente sovranista monzese, invia al Ministro dell’Istruzione, il leghista Marco Bussetti, segnalando il caso. Il giorno seguente la sottosegretaria leghista all’Istruzione Lucia Borgonzoni – quella che si vantò in televisione con «non leggo un libro da tre anni» (mi dispiace per lei) – annuncia su Facebook di aver già allertato «chi di dovere».
La seconda è che il parallelismo compiuto dagli studenti non solo non è infamante, ma anzi denota una particolare capacità di analizzare e mettere in relazione fatti storici avvenuti in epoche e contesti diversi ma accomunati da tratti strutturali. Sviluppare queste capacità è sempre stato uno degli obiettivi dell’istruzione superiore, tanto che il tema storico costituiva una delle tracce della prima prova dell’esame di maturità.
Costituiva, purtroppo. Perché a ottobre 2018 il Ministro Bussetti ha deciso di eliminarla.
Non occorre, temo, dilungarsi molto sull’intervento della Digos – che dovrebbe essere deputata a contrastare l’eversione dell’ordine democratico – nei confronti di una docente rea di aver formato bene le menti dei propri studenti. Cinquant’anni fa i tribunali infierirono contro tre studenti del Liceo Parini di Milano che sul giornalino d’istituto avevano pubblicato un’inchiesta sulla sessualità, giudicata allora scandalosa. La situazione oggi è ben più grave: non solo qui, invece del buoncostume, si intende tutelare uno specifico uomo politico, ma punire la docente per educare gli studenti è un messaggio devastante, sia per la spada di Damocle che fa pendere sul corpo insegnanti, spingendolo di fatto ad acquisire posizioni di codarda assuefazione verso il governo (e ci torno), sia per l’immagine degli studenti come ancora immaturi, bambinoni cresciuti, non degni di essere trattati da adulti.
Quel che più importa è che la ricostruzione degli studenti appare vera. Il decreto Salvini è una pagina vergognosa per la storia giuridica dell’Italia (ne avevamo parlato in un Dieci mani di dicembre) e che cerca di inoculare a forza negli italiani un anestetico da cavallo contro la solidarietà umana e l’aiuto ai sofferenti (ne avevamo parlato il mese successivo). Ma più dell’accostamento tra Salvini e le leggi razziali, è veritiero quello tra la Conferenza di Évian e l’Asse (così autodefinito) Italia-Austria-Baviera contro l’accoglienza dei migranti. La Conferenza di Évian, preda di ciechi egoismi nazionali, negò l’asilo politico agli ebrei in fuga dalle terre austriache e cecoslovacche occupate dal regime hitleriano. Gli Stati europei sostennero all’epoca di aver già raggiunto una quota di rifugiati insostenibile – gli stessi argomenti triti e nauseanti che si sentono oggi per sdoganare la xenofobia e il razzismo.
Si può facilmente immaginare che la stragrande maggioranza degli ebrei respinti a Évian siano stati sterminati negli anni seguenti nel corso della Shoah. Sabato scorso Salvini era a Milano a comiziare assieme ai leader del “Raggruppamento Nazionale” Marine Le Pen, che oltre ad aver ripreso il nome di un partito fascista del 1941-44 nega esplicitamente le responsabilità francesi nei rastrellamenti degli ebrei, e di “Alternativa per la Germania” Jörg Meuthen, che nonostante le sue parole sembra non aver mai espulso neonazisti e negazionisti.
Alessandro Zabban
La sospensione della docente di Palermo mostra lo stato disastroso dell’istruzione in Italia. In una situazione resa già difficile da precarietà diffusa, stipendi bassi, infrastrutture che cadono a pezzi, supporti tecnologici e multimediali da terzo mondo, classi pollaio, perdita del ruolo sociale (solo in una società civile al collasso totale i genitori si permettono di andare dall’insegnante a protestare per un’insufficienza data al proprio figlio – e spesso fanno anche di peggio), anche provare a stimolare le capacità di analisi, riflessione e lo spirito critico degli alunni diventa complicato se non addirittura rischioso.
Insomma già di per sé insegnare una disciplina come la storia oggi è, in molti contesti scolastici, estremamente proibitivo. Farlo anche con passione e cercando di andare oltre l’arido nozionismo, diventa una vera e propria impresa. Da una parte infatti c’è la pressione di un mondo del lavoro che richiede competenze immediatamente spendibili, dall’altra un sentimento anticomunista che nemmeno negli Stati Uniti di McCarthy era così pervasivo e repressivo. Sono sempre più quelli (spesso esterni all’ambito disciplinare) che ritengono che della storia debbano essere insegnati i nudi fatti e che qualsiasi tentativo di lettura sia di per sé ideologico e quindi negativo (conferendo sempre alla parola ideologia una connotazione di sinistra: comunismo, gender, ecc.). Ma è risaputo che la storia non è un susseguirsi di nudi fatti, ma sempre un’operazione di filtraggio, selezione, interpretazione. Chi esalta l’insegnamento anti-ideologico della storia è chi non è in grado di capire che le proprie idee su certi avvenimenti storici sono frutto di un impostazione ideologica esterna di cui neanche si rendono conto (ideologia è più forte quando non è riconosciuta come tale), che molto spesso coincide con le idee dominanti della loro società (capitalismo, liberalismo, libero mercato). Si confonde così la presunta oggettività dei processi storici con la visione del mondo estremamente parziale di chi si professa senza ideologia perché aderisce inconsciamente a quella dominante. Non una storia senza ideologia ma una storia edulcorata all’ideologia dominante: ecco cosa per molti deve essere insegnato in classe. Sottoposto a dosi enormi di stress, in situazioni spesso enormemente frustranti, cosa dovrebbe spingere un’insegnante oggi a insegnare storia con passione e stimolando lo spirito critico se poi rischia di venire accusato di fare “politica in classe”?
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.