Spinosaurus è un dinosauro che ha avuto una storia travagliata. Fu descritto nel 1915 dal paleontologo tedesco Ernst Stromer sulla base di resti fossili trovati in Egitto, ma lo stato di conservazione di quei fossili non permetteva di capirne moltissimo. Quel che era chiaro è che era un dinosauro carnivoro, che era molto grosso e che aveva degli stranissimi processi allungati sulle vertebre dorsali, che probabilmente sostenevano una cresta o una gobba. Meno di trent’anni dopo la descrizione, nel 1944, un raid aereo distrusse il museo geologico di Monaco, e con lui i fossili di Spinosaurus, che ne rappresentavano l’olotipo, ossia l’individuo di riferimento.
Nei decenni a seguire le conoscenze riguardo a Spinosaurus rimasero sostanzialmente inalterate, ma le curiose strutture dorsali colpirono l’immaginazione di paleontologi e paleoartisti, che lo rappresentarono grossomodo come un tirannosauro punk, con le proporzioni tipiche di un dinosauro carnivoro, e in aggiunta un’ampia cresta di pelle tenuta su dai processi vertebrali.
Altro materiale possibilmente riconducibile a Spinosaurus fu trovato negli anni ’90 e all’inizio del 2000 in Marocco, ma solo nel 2014 (quasi un secolo dopo la descrizione di Stromer) il paleontologo marocchino Nizar Ibrahim riuscì a mettere le mani su uno scheletro decisamente incompleto, ma comunque molto più completo di tutto il materiale disponibile fino a quel momento. E una volta che Ibrahim e colleghi pubblicarono la loro ricostruzione, la comunità paleontologica si spaccò.
Se la ricostruzione era corretta, Spinosaurus era totalmente diverso da come era stato immaginato fino a quel momento. La lunga testa da coccodrillo non era particolarmente curiosa (nel frattempo erano stati trovati esemplari più completi della stessa famiglia, ma anche il materiale originale di Stromer, per quanto frammentario, suggeriva qualcosa del genere). Sulla base di materiale più completo, Ibrahim e colleghi si resero conto che, anche se Spinosaurus era sempre stato considerato come un grande predatore, a completo sviluppo era probabilmente ancora più grosso di quanto ci aspettavamo: le prime stime suggerivano una lunghezza totale di diciotto metri, poi ridimensionati a quindici – per fare un confronto, a completo sviluppo il celebre Tyrannosaurus rex raggiungeva i tredici metri di lunghezza.
Infine, diversamente dalla quasi totalità dei dinosauri carnivori (o teropodi), gli arti anteriori e gli arti posteriori erano di lunghezza simile, suggerendo che Spinosaurus fosse un quadrupede e che fosse estremamente adattato ad un ambiente acquatico. Che, quindi, non solo si nutrisse di pesce (cosa già nota per altri spinosauridi), ma che, mentre le ricostruzioni tradizionali suggerivano spinosauridi a stazione eretta che pescavano un po’ come degli orsi, agganciando i pesci con gli artigli delle zampe anteriori, Spinosaurus cacciasse in immersione, come un coccodrillo.
Naturalmente non tutti trovarono convincente questa ricostruzione, e in particolare molti critici suggerirono che il nuovo esemplare di Spinosaurus, designato come neotipo (cioè come nuovo individuo di riferimento, dato che l’olotipo era andato distrutto) non fosse uno scheletro incompleto di Spinosaurus, ma una chimera, ovvero un miscuglio di ossa di più di un individuo, forse addirittura di più specie.
Considerato che i resti fossili sono sovente incompleti e frammentari, la possibilità di ricostruire in maniera erronea un organismo, mescolando i resti di due o più specie, non può in linea di principio essere esclusa. Un altro dinosauro tra i più celebri, Brontosaurus, fu ricostruito inizialmente come una chimera, applicando ad uno scheletro quasi completo un cranio di Camarasaurus, un genere appartenente addirittura ad un’altra famiglia.
Tuttavia errori grossolani di questo tipo erano frequenti nel XIX e primo XX Secolo, quando la paleontologia si basava sostanzialmente sull’intuizione del paleontologo e non molto altro; nel caso dello studio di Ibrahim, lo studio della composizione mineralogica e della struttura in sezione di differenti ossa mostra che sono tra di loro omogenee, e verosimilmente appartengono allo stesso individuo. Un ulteriore indizio al riguardo ci viene dal fatto che effettivamente un’osservazione del genere fu fatta proprio riguardo l’olotipo di Spinosaurus: i frammenti di scheletro craniale e postcraniale sono così poco simili tra loro da far pensare o a un dinosauro davvero molto strano, o a un miscuglio tra due dinosauri differenti.
Il fatto che Ibrahim non avesse personalmente scavato lo scheletro, ma lo avesse ottenuto da un commerciante di fossili, lasciava spazio a varie speculazioni, più o meno maligne. I più caritatevoli suggerivano che il commerciante, che dopotutto non era un paleontologo, avesse venduto come un unico individuo un miscuglio di ossa di più animali, magari trascinate dalla corrente di un fiume. I meno caritatevoli suggerirono direttamente che o il commerciante, o i paleontologi, avessero consapevolmente mischiato fossili provenienti da differenti aree geografiche.
Per una volta la storia ha avuto un fausto epilogo, nemmeno troppi anni dopo: è stato recentemente pubblicato uno studio che rivela come Ibrahim e colleghi, dopo essersi fatti rivelare il luogo del ritrovamento, abbiano organizzato una spedizione scientifica volta a trovare altre parti dello scheletro nel deserto marocchino. Il che equivale a cercare il classico ago nel pagliaio.
La cosa straordinaria è che l’hanno trovato. Non solo hanno potuto dimostrare che era lo stesso scheletro (sia perché non hanno trovato che ossa che gli mancavano, sia perché alcune delle ossa nuove si articolano alla perfezione con alcune delle ossa vecchie), ma sono riusciti a recuperare la coda, quasi completa, dell’esemplare.
Vertebre caudali di Spinosaurus sono molto rare, e in genere malridotte, e lo stesso Stromer, nel 1915, pur descrivendole, aveva dubitato che appartenessero realmente allo stesso animale. Avendone trovato una serie che può essere articolata, Ibrahim e colleghi si resero conto che, se le vertebre dorsali erano strane, quelle caudali non erano da meno: in particolare, oltre ad essere appiattite lateralmente, avevano sia un processo allungato dorsale, sia uno analogo ventrale. Tradotto in termini comprensibili, Spinosaurus non solo aveva un corpo basso e allungato e una testa da coccodrillo, ma aveva anche una coda appiattita lateralmente e piuttosto alta, un po’ come quella dei tritoni, praticamente perfetta per muoversi in immersione.
La nuova scoperta, quindi, oltre a confutare definitivamente l’ipotesi della chimera, conferma il forte adattamento di Spinosaurus alla vita acquatica.
Al di là della singola scoperta – più o meno affascinante, ma immagino che non a tutti interesserà sapere che Spinosaurus era acquatico – questa storia apre a tre riflessioni collegate tra di loro.
La prima riflessione, strettamente biologica, è che la ricostruzione aggiornata di Spinosaurus rappresenta un contributo ad una rivalutazione della diversità ecologica dei teropodi. Mentre fino a tempi recenti i teropodi erano considerati in blocco dei predatori attivi, occasionalmente necrofagi, adesso sappiamo che questo gruppo era ecologicamente più variegato: accanto ai classici predatori, una buona parte aveva probabilmente una dieta onnivora, potenzialmente opportunista, alcuni erano probabilmente strettamente erbivori, ed altri infine, come Spinosaurus, erano fortemente adattati all’ambiente acquatico ed avevano le abitudini di un cormorano sovradimensionato.
La cosa non dovrebbe stupirci, dato che la conservazione filogenetica della nicchia ecologica – cioè dei tratti ecologici molto stabili all’interno di un gruppo diversificato di organismi – è un fenomeno decisamente raro, e rappresenta un’eccezione piuttosto che la regola. La presenza di diete ed abitudini diverse all’interno dello stesso gruppo di organismi è invece un fenomeno piuttosto frequente. Molto probabilmente, una diversificazione della dieta, delle nicchie ecologiche e dei comportamenti si riscontrava anche in altri gruppi di dinosauri.
Eppure, per qualche motivo continuiamo ad immaginare gruppi diversi di dinosauri come ecologicamente omogenei – come, in fondo, delle variazioni trascurabili su un medesimo modello, in una sorta di curioso revival fissista fuori tempo massimo. Addirittura, c’è un movimento di esplicita resistenza ai dinosauri piumati, in nome dell’estetica “vecchio stile” che per qualche motivo sarebbe migliore – come se l’obiettivo della paleontologia non fosse ricostruire gli organismi per come erano, ma darne un’immagine esteticamente convincente.
Non sorprende, quindi – e questa è la seconda riflessione – che la stessa tendenza conservatrice a considerare i dinosauri come variazioni su un medesimo modello, più che come organismi da ricostruire separatamente, sia stata prevalente in generazioni di paleoartisti, che magari hanno ricostruito un organismo anatomicamente corretto, ma sostanzialmente incompatibile con l’ambiente in cui si trova. La paleoecologia è una disciplina relativamente recente, e non ci stupisce che la ricostruzione dei dinosauri come organismi adattati ad un contesto, con una loro etologia e con interazioni con altre specie, magari meno eclatanti, ma che convivono nello stesso ambiente, sia ancora poco diffusa.
Il lato positivo è che la generazione più giovane di paleoartisti si sta concentrando esattamente su questi aspetti, facendo riferimento agli adattamenti ecologici ed etologici che osserviamo nella fauna attuale e cercando di immaginare un animale preistorico nella maniera più completa e realistica possibile, in grado di essere inserito in un ambiente naturale senza stonarvi.
La terza riflessione è che i dinosauri continuano, ad oltre due secoli dalla loro scoperta, a catalizzare più emotività umana di qualsiasi altro fossile – persino dei fossili dei nostri antenati, che a questo punto sono oggetto di dibattiti molto più pacati ed accademici. Per contro, suggerire che Spinosaurus fosse quadrupede e vivesse nell’acqua ha causato reazioni al limite della correttezza accademica – al limite dell’accusa di frode.
Non mi è chiaro come mai proprio i dinosauri abbiano questa importanza, che va ben oltre il loro interesse scientifico; probabilmente ha a che fare con il loro ruolo di icone pop della paleontologia, mantenuto in maniera inalterata dall’inizio del XIX Secolo; probabilmente ha a che fare con il fatto che sono grandi, spaventosi e morti, e fanno parte del nostro immaginario infantile, al tempo stesso come sogno e come incubo, fatto sta che non sono fossili “normali”, e che anche per uno studioso professionista è molto facile partire per la tangente. Io per primo, pur studiando con molta passione tutt’altro, non ne sono immune: personalmente, sono affascinato dagli immensi scheletri di balene conservati nel nostro museo, ma trovarmi accanto ad un brachiosauro al museo di scienze naturali di Berlino e rendermi conto di essere alto circa quanto la sua tibia è stato emotivamente incomparabile.
Immagine di Sandeep Handa da needpix.com
Joachim Langeneck, assegnista di ricerca in biologia presso l’Università di Pisa, nasce a Torino il 29/11/1989. La sua ricerca si concentra principalmente sullo studio di processi evolutivi negli invertebrati marini, con sporadiche incursioni nell’ambito dell’etica della scienza, in particolare a livello divulgativo.