L’anno sta per finire: il giusto momento per fare un resoconto riguardo alle scoperte scientifiche più rilevanti degli ultimi dodici mesi.
Il mondo scientifico è un pachiderma lento e macchinoso; richiede molto tempo e molti finanziamenti per arrivare ai suoi risultati. Inoltre, quando escono le pubblicazioni, sembra tutto un successo: nessun fallimento, nessun risultato negativo, nessuna strada tentata e poi fallita. La realtà è molto diversa! La scienza è fatta di un continuo trial and error: un provare per fallire che solo alla fine porta alla scoperta, alla pubblicazione ed al progresso tecnologico e scientifico di tutti.
Quando si legge una notizia o un articolo scientifico è necessario sottintendere come ciò sia il frutto di un lavoro lungo e faticoso e non solo il prodotto di un’illuminazione istantanea di uno scienziato in preda a qualche visione mistica. Parlare di scoperte dell’anno è di conseguenza solo un modo per tenerne traccia e di fare il punto nel momento in cui, ancora una volta, la Terra finisce il suo giro ellittico intorno al Sole.
Premesso tutto questo, il 2019 è stato un anno molto interessante dal punto di vista scientifico: tante scoperte in ambiti molto diversi e molti spunti per ricerche future. Nature[1] e Science, i due massimi riferimenti per la scienza generalista, hanno riassunto in una serie di articoli e di speciali gli avvenimenti più importanti dell’anno: gli articoli più importanti, le notizie più dirompenti, le immagini più impressionanti, i libri scientifici da leggere, quelli da scrivere e gli avvenimenti più travolgenti.
Partendo dalle immagini non c’è dubbio che la fotografia ricostruita al computer di un buco nero[2] e del suo orizzonte degli eventi sia stata la vera e proprio “bomba” dell’anno[3] per l’astrofisica e non solo. Grazie a un lungo lavoro di una rete mondiale di astrofisici si è riusciti nella missione di immortalare quella che Heino Falcke, della Radboud University di Nijmegen, ha descritto come “la porta dell’inferno e la fine dello spazio-tempo”.
Al di là della visione, di per sé molto suggestiva, la vera meraviglia di questa immagine sta nell’esser riusciti a cogliere quel sottile cerchio di luce che sta sul bordo del campo gravitazionale del buco nero, cioè che è al confine tra l’essere visibile e l’essere risucchiato giù dalla gravità.
Per dare l’idea di cosa stiamo parlando: quel supermassive black hole si trova al centro di una galassia a più di 55 milioni di anni luce da noi (la stella a noi più vicina, escluso il Sole, Proxima Centauri dista circa 4 anni luce!) e ha una massa stimata pari a 6.5 miliardi di volte quella del Sole. Per riuscire in questa impresa i fisici e gli ingegneri del progetto Event Horizon Telescope hanno dovuto superare un problema non da poco: la risoluzione richiesta avrebbe richiesto un telescopio grande come la Terra! Per riuscirci, hanno quindi utilizzato telescopi già presenti in giro per il mondo e una tecnica di interferometria per ottenere dati come se fossero stati ottenuti da un telescopio delle dimensioni terrestri. Alla fine questi dati sono stati elaborati in due diversi centri e confrontati fino alla risultante comparsa dell’anello di fuoco, cioè del buco nero con il suo orizzonte degli eventi.
Questa eccezionale immagine ha fatto passare in secondo piano altre fotografie e immagini molto belle e ricche di significato come la foto del ghiaccio che si rompe sulle coste della Groenlandia, l’immagine di alcuni protozoi (organismi unicellulari) marini catturati con un risoluzione incredibile, la foto a fluorescenza di un embrione di tartaruga durante la sua crescita, le foto dei devastanti incendi in California o quelle della lotta al bracconaggio in Africa, quella di due jet militari che infrangono la barriera del suono o quelle sui reportage sulla cura di malattie come l’Ebola in alcune regioni africane. Tutte immagini che si possono trovare nei riferimenti.
Passando agli articoli pubblicati nel 2019 a mio avviso ce ne sono due una spanna sopra agli altri: la scoperta di un nuovo superconduttore operativo a temperature di poco inferiori a 0°C e un nuovo progresso nella tecnica di editing genomico CRISPR-Cas9.
I superconduttori sono materiali che permettono alla corrente elettrica di passare senza trovare resistenza e, di conseguenza, di fluire con un’efficienza del 100%. Questa proprietà, comune a molti materiali, solitamente compare a temperature molto basse, vicine allo zero assoluto (-273,15° C). Questo comporta la necessità di sistemi di raffreddamento molto dispendiosi che utilizzano, ad esempio, l’elio liquido a pochi gradi sopra lo zero assoluto.
Gli autori di questo lavoro[4] sono riusciti a sintetizzare un cristallo di idruro di lantanio (LaH10) superconduttivo a temperature tra i 215 e i 280 Kelvin (-58°C e 7°C). Il tutto dopo aver pubblicato, qualche anno fa, la superconduttività di un altro composto a base di zolfo (H3S). Per “attivare” la superconduttività in questi composti è comunque necessario sintetizzarli come solidi tra due diamanti sotto pressioni di milioni di atmosfere. Nonostante questa limitazione, la ricerca di nuovi composti così tanto ricchi in idrogeno da produrre sotto enormi pressioni sembra già oggi essere il futuro dei superconduttori, con la grande speranza di trovarne qualcuno adatto anche per la temperatura ambiente (circa 25°C). Le possibili applicazioni di queste scoperte potrebbero essere rivoluzionarie per tutto ciò che riguarda le reti elettriche, la dissipazione e lo spreco energetico oltre che per tutti gli strumenti che utilizzano già oggi materiali superconduttori, come ad esempio le risonanze magnetiche.
La seconda pubblicazione a mio avviso fondamentale del 2019 riguarda una tecnica biotecnologica tanto in voga quanto discussa negli ultimi anni: la cosiddetta CRISPR-Cas9. Questa tecnica, che permette di identificare e sostituire tratti di DNA specifici, è stata messa a punto partendo dal meccanismo difensivo che i batteri usano contro i virus. Il principio è semplice: il CRISPR, una breve sequenza ripetitiva di basi azotate, segnala alla proteina Cas9 la posizione dove intervenire, cioè il tratto di DNA responsabile di una malattia o dell’infezione virale, e questa la rimuove o sostituisce selettivamente sfruttando la conoscenza della sequenza esatta.
I problemi nati dal modificare la doppia elica di DNA si sono rivelati essere di due ordini: da un lato si è notata la possibilità di introdurre errori, mutazioni e quindi potenziali nuove complicazioni, mentre dall’altro, avendo capito di poter modificare i geni già in fase embrionale, si è aperta la discussione sul limite etico di una tecnica così dirompente.
Il primo aspetto è l’oggetto dell’articolo di Anzalone[5] che ho scelto come una delle pubblicazioni dell’anno. In questo studio i gruppi di Harvard e del MIT sono riusciti a ridurre l’intervento della proteina Cas9 a un singolo nucleotide su un singolo filamento, riducendo al minimo il rischio di introdurre erroneamente modifiche non desiderate. Facendo un esempio il DNA va pensato come due lunghe corde, intrecciate tra loro e composte di tanti fazzoletti colorati annodati. Il CRISPR è una sequenza di fazzoletti colorati presente anche nella lunga treccia ed è legato a delle forbici (la Cas9). Quando la sequenza CRISPR riconosce la sua sequenza gemella si attacca ad essa in modo che le forbici possano tagliare la sequenza di fazzoletti (o basi) da eliminare e sostituire. Nel fare questo c’è una certa probabilità di commettere un errore nel mettere i nuovi fazzoletti o nel tagliarne uno che invece era da lasciare. Alla fine il nuovo filamento, la nuova doppia corda di fazzoletti, potrebbe aver subito danni, come invece potrebbe non riportarne alcuno. Introducendo uno strumento capace di individuare esattamente il singolo fazzoletto da rimuovere questa probabilità scende drasticamente, rendendo l’intera tecnica più sicura e più precisa.
L’altro aspetto dell’editing genetico ci porta in uno scenario a metà strada tra scienza, etica, politica e perfino una spy story.
He Jiankui, un biofisico cinese, a fine 2018 ha annunciato[6] di aver utilizzato la tecnica CRISPR-Cas9 per modificare geneticamente gli embrioni di due gemelle, che poi sarebbero nate senza nessun problema. A parte il suo annuncio in conferenza non sono state prodotte altre prove tangibili dei risultati, anzi He è stato licenziato, risulta irreperibile, se non addirittura in carcere. Inoltre nessuno al mondo è riuscito a trovare informazioni sulle sue ricerche.
Senza dubbio c’è grande preoccupazione per la sorte dello scienziato, ma nel frattempo la comunità scientifica ha già iniziato a pensare se e come trattare l’eventuale possibilità di modificare geneticamente embrioni. Esiste un confine sottile tra l’intervenire per rimuovere difetti genetici che porterebbero a malattie altamente disabilitanti e il farlo per decidere il colore degli occhi o dei capelli dei nascituri. La scienza sta affrontando questo tema con un po’ di anticipo, anche se come sempre sarà poi compito della politica riuscire a stabilire regole al riguardo.
Un altro studio che ci dovrebbe far riflettere riguarda la nostra concezione della morte. Un gruppo di ricerca di Yale[7] ha utilizzato un sistema di pompaggio sanguigno per tenere “in vita” delle teste di maiale a distanza di ore dopo la loro decapitazione.
Storicamente la morte è stata legata prima alla respirazione, poi al battito cardiaco e infine all’attività celebrale. Nel momento in cui sono stati inventati i respiratori si è cominciato a guardare al cuore come organo fondamentale, poi con gli apparecchi moderni si è capito che cuore e polmoni possono resistere per mesi e anni e così il segnale della morte si è spostato “dal petto alla testa”. Solo con l’assenza di attività celebrale si può dichiarare la morte.
Sappiamo anche che nel momento in cui il cuore smette di battere e i polmoni di muoversi passano alcuni minuti durante i quali l’organismo, per inerzia, continua a funzionare. I ricercatori di Yale volevano capire quanto potesse resistere un cervello slegato dal cuore, tenuto in condizioni “artificiali”. Con loro grande sorpresa la risposta è stata sensazionale: a distanza di ore i neuroni non erano morti per mancanza di ossigeno e il cervello registrava ancora attività elettrica, anche se questo non vuol certo dire che fossero vivi.
Concludendo si può affermare che il 2019 sia stato un anno intenso e interessante, considerando che ho appena sfiorato gli argomenti delle classifiche di Nature e Science. Tra le cose che non dobbiamo scordare di questi dodici mesi: è stata scoperta una nuova luna di Nettuno, è stata rilevata la perdita di metano dal ghiaccio della Groenlandia, è stato scoperto un potenziale metodo per curare la Corea di Huntington, è stato pubblicato uno studio riguardante le potenzialità del DNA mitocondriale maschile (che non viene trasmesso ai figli), la robotica e l’intelligenza artificiale hanno prodotto molti progressi e si è messa a punto una nuova reazione chimica della famiglia Click (veloce, rapida e green).
Adesso vediamo dove ci porterà il 2020.
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https://www.nature.com/articles/d41586-019-03834-4 ↑
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https://www.nature.com/articles/d41586-019-01155-0 ↑
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https://vis.sciencemag.org/breakthrough2019/?IntCmp=breakthrough2019-127 ↑
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Nature 569, 491-492 (2019) ↑
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Nature 576, 48-49 (2019) ↑
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https://www.nature.com/articles/d41586-018-07573-w ↑
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Nature 568, 283-284 (2019) ↑
Immagine European Southern Observatory (dettaglio) da Wikimedia Commons
Sono nato nel 1984 vicino Firenze e ci sono cresciuto fino alla laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche nel 2009. Dopo il dottorato in Chimica, tra Ferrara e Montpellier, ho iniziato a lavorare al CNR di Firenze come assegnista di ricerca (logicamente precario). Oltre che di chimica e scienza, mi occupo di politica (sono consigliere comunale a Rignano sull’Arno), di musica e di sport. E si, amo Bertrand Russell!