Pubblicato per la prima volta il 24 maggio 2018
Il Medioevo ipertecnologico nel quale viviamo ha resuscitato antiche credenze. I nuovi re taumaturghi non sono più investiti da poteri soprannaturali, ma compiono comunque il loro miracolo. Al contrario dei sovrani studiati dal grande storico Marc Bloch, non curano con l’imposizione delle mani ma con il discorso. Discorso mitico, racconto leggendario popolato da figure dell’abbondanza e della possibilità. L’estasi di arterie commerciali proliferanti, l’incanto di un intrattenimento continuo, di una danza vorticosa e frenetica di stimoli, suggestioni, segni. Tutto è a portata di click: l’ebbrezza di una comunicazione sconfinata, la vertigine di una libertà illimitata. Vivere è un gioco, è l’eccitazione di una corsa all’oro permanente.
Questo Bengodi rende la felicità un corollario: basta volerla. Ma non tutti sembrano veramente riuscire ad abbandonarsi a una beatitudine e a un godimento così trasparenti e vividi da risultare quasi osceni. I nuovi re taumaturghi lo sanno: qualcosa li blocca. Abituarsi alla libertà è difficile. Ansia, depressione, stress? Il problema è dentro di noi, ci avvertono i neuroscienziati. Rimuovere gli ostacoli, essere felici, essere in forma, avere successo, potenziare se stessi. Disperato miraggio di una Salvezza immanente? Niente affatto! I nuovi re taumaturghi sono qui per questo: ci indicano la via, ci guidano verso quella felicità, quel benessere che è già là e non aspetta altro che di essere afferrato.
Pensieri negativi e pessimismo sono solo il prodotto di un approccio sbagliato verso se stessi e verso la vita. Ma curare da questa malattia della volontà e dell’atteggiamento è facile, seguendo pochi, semplici consigli. E i nuovi re taumaturghi ne propinano a volontà. Sono una pletora di specialisti del benessere, lifestyle journalists, health bloggers, guru della finanza, imprenditori di successo, maestri spirituali, manager rampanti, startuppers innovativi. L’autorevolezza sta nell’esempio che offrono: una vita-modello costellata di successi, popolarità, benessere e soddisfazioni. L’investitura divina la si scorge nel numero di copie di manuali di self-help vendute, nelle condivisioni virali sui social network, nelle rubriche da loro curate sui più prestigiosi quotidiani internazionali. Tutto è investito da un’aura di sacro. Epifania. Ora lo so: anche io posso farcela.
Certo, nella società di oggi, così libera e piena di opportunità, occorre essere coraggiosi e “resilienti”: la libertà implica ovviamente anche il rischio. Ma è proprio questa vertigine dell’azzardo che plasma uomini forti, caparbi, migliori. E che premia quelli creativi, flessibili e intraprendenti. Si può fallire ma occorre trovare le forze interiori per rialzarsi. L’healing è il mantra da ripetere all’infinito: occorre guarire dai blocchi psicologici che ci costringono al’immobilismo, alla normalità, alla mediocrità.
«Se siete ancora poveri a 35 anni, lo meritate». Parola di Jack Ma, fondatore di Ali Baba, le cui virtù eroiche lo hanno portato a fatturare un miliardo di dollari in 5 minuti durante il singles day. Impresa prometeica. E tu? Sei circondato da tante persone che lottano ogni giorno contro tutto e tutti per imporsi, devi essere più smart di loro: se non hai vision non sei nessuno. Libera il tuo potenziale.
Vi sentite disarmati, insicuri, spaesati di fronte alla ipertrofica complessità della società globale? Non dovete preoccuparvi: i re taumaturghi hanno la soluzione per voi. Ovunque si possono leggere i loro utilissimi e illuminanti consigli: «Steve Jobs: le 10 regole del successo», «Bill Gates ai giovani: ecco come migliorare la propria vita», «la via per il successo: 4 insegnamenti da Elon Musk» e ancora: «15 frasi celebri di Jeff Bezos per trovare la giusta motivazione».
Ci ricorda il grande antropologo Claude Lévi-Strauss che la narrazione mitologica ha una sua logica e una sua struttura: partire da zero, fallire molte volte, insistere, farcela, sfondare grazie alla propria intuizione, talento, creatività. È il leitmotiv che ci sentiamo ripetere continuamente, è il mito del self-made man contemporaneo, oppio per le neoplebi tecnoliberiste. Il leader visionario offre il modello da emulare, l’esempio a cui omologarsi.
Si tratta di rivestire un ruolo di guide spirituali: i nuovi re taumaturghi sono più i corrispettivi postmoderni dei saggi nelle società antiche e tradizionali che gli omologhi degli intellettuali in quelle moderne. Il contenuto del loro discorso è pertanto il riflesso della posizione sociale che ricoprono in società: un discorso ottimista sulle infinite possibilità offerte dal sistema, sul potenziale di emancipazione delle nuove tecnologie e della new economy. Dietro la retorica dell’innovazione, della rivoluzione digitale, dei leader visionari, dei creativi anticipatori, non c’è altro che una spettacolare ma leziosa morale conservatrice, una violenta apologia del sistema e dello status quo.
Altra intuizione di Lévi-Strauss: nel racconto mitico, una società corrobora i propri valori. Ecco il supplemento magico della narrazione taumaturgica.
Ma a che livello viene profetizzata questa cura, che garantirebbe maggiore libertà, felicità, successo e benessere? Ovviamente non al livello collettivo. Il sogno di una società che lavora per garantire a tutti una vita migliore è un idea stantia, retrograda, superata. Questo Brave New World non ha più sogni di emancipazione collettiva: e chi crede più a queste favole? Non si può migliorare la società, bisogna piuttosto migliorare la nostra posizione sociale all’interno della società.
L’arena globale così ampia e piena di possibilità si scopre allora essere simile in tutto e per tutto all’angusto e claustrofobico stato hobbesiano di lotta di tutti contro tutti in cui invece che sfidarsi a colpi di ascia e spada, ci si combatte per un posto di lavoro da McDonald’s a suon di soft skills: resilienza, inventiva, abnegazione, socialità, ottimismo, flessibilità e tutti gli altri imperativi morali che le nostre società neo-vittoriane hanno subdolamente imposto.
Le narrazioni taumaturgiche sono dunque una sovrastruttura di un sistema economico fondato sulla competitività. Laddove ognuno di noi è chiamato a livello individuale a omologarsi al modello dell’impresa, piccolo naviglio nel mare in tempesta della competizione selvaggia, la sete di consigli, prescrizioni, ammonimenti, suggerimenti, precetti cresce a dismisura: occorre salvarsi dal mare in burrasca e ci si affida a qualsiasi appiglio, anche alle chiacchiere farneticanti e squallide dei nuovi re taumaturghi pur di sopravvivere. La loro proliferazione designa e riflette un mondo in cui tutti i rischi sociali sono a carico dell’individuo.
La richiesta del sistema che parla tramite i nuovi re taumaturghi è così una richiesta di massimizzare se stessi per vincere la lotta selvaggia della competizione. Emerge così una “società dell’ottimizzazione” nella quale l’individuo è chiamato a potenziare al massimo tutto se stesso: la sua produttività, le sue relazioni umane, la sua felicità, il suo godimento, il suo corpo, il suo tempo. C’è ovviamente una relazione diretta fra l’imperativo del profitto e quello dell’ottimizzazione. Un individuo ottimizzato è ottimamente profittevole. La cura invocata dai nuovi re taumaturghi non è altro che un invito ad uniformare la propria esistenza ai ritmi e alle esigenze del sistema economico: è quello che Davide Tarizzo definisce regime etopolitico[1].
Il miglioramento non è più un percorso di crescita le cui tappe e la cui meta finale sono decise dall’individuo secondo le sue esigenze, aspirazioni, interessi, affinità elettive. Il miglioramento è per tutti un perfezionamento maniacale subordinato agli interessi economici. La felicità stessa, sganciata dal soggetto che la prova, «in quanto entità rivelabile, misurabile e incrementabile è stata introdotta nella cittadella della gestione economica globale»[2]: ansia e stress riducono la produttività. Da qui l’importanza dell’ottimismo, il valore della positività, il pathos del sorriso.
Ecco allora i nuovi re taumaturghi in azione: workshop di mindfulness, lezioni di yoga, esercizi di respirazione. Da una parte dunque l’obbligo morale di emergere, avere successo, farcela, dall’altra quella di essere felice, di essere sempre in uno stato di benessere psicofisico. Si tratta ovviamente di due imperativi morali, socialmente prodotti, che finiscono per coincidere sempre più (sei felice se hai successo e viceversa) e arrivano a creare molto spesso un enorme corto circuito.
Chi infatti resta al di sotto di certi standard produttivi e sociali, chi resta indietro nella lotta della competizione, chi deve dare tutto se stesso per raggiungere risultati sempre più alti, alla lunga difficilmente sarà felice. Non è un caso che le nostre società stiano soffrendo enormi epidemie di ansia e depressione. Questa contraddizione l’aveva già intravista Baudrillard negli anni settanta:
«Questa società crea delle distorsioni sempre più grandi, presso gli individui come nelle categorie sociali alle prese con l’imperativo della competizione e della mobilità sociale ascendente, e nel contempo con l’imperativo ormai fortemente interiorizzato, di massimizzare i propri godimenti. Sotto il peso di tante pressioni contrastanti l’individuo si disunisce. La distorsione sociale delle diseguaglianze si unisce alla distorsione interna fra bisogni e aspirazioni per fare di questa società una società sempre irriconciliata, disintegrata, in continuo malessere»[3].
I re taumaturghi vorrebbero guarirci da tutti i fattori psicologici, personali che ci bloccano e impediscono di essere delle macchine perfette, in grado di avere successo e di trovare la felicità. Un modello che porta alle estreme conseguenze e banalizza il più bieco funzionalismo ottocentesco ci chiede di migliorarci continuamente, in ogni aspetto della nostra vita e in ogni momento della nostra esistenza. Ottimizzazione lavorativa, ottimizzazione estetica, ottimizzazione della nostra desiderabilità sociale, ottimizzazione del nostro tempo.
Le nuove tecnologie in questo ci sono d'”aiuto”: le nostre performance lavorative sono sempre più monitorate e contabilizzate, i feedback sui social network ci danno un’idea di quanto siamo popolari e le nuove app di quantified self mostrano con una certa precisione se le due ore di palestra di ieri hanno avuto un effetto benefico sul nostro corpo e sulla nostra psiche.
Con poche parole il filosofo coreano Byung-Chul Han ci da un’idea della follia che si nasconde dietro questa sorveglianza ossessivo-compulsiva che ci è imposta e che ancora più spesso imponiamo su noi stessi:
«La formula magica dei manuali motivazionali americani è “guarire” (healing): essa indica l’auto-ottimizzazione che deve guarire ogni debolezza funzionale, ogni blocco mentale nel nome dell’efficienza e della prestazione. L’auto-ottimizzazione permanente, che coincide in tutto con l’ottimizzazione del sistema, è distruttiva: conduce al collasso mentale. L’auto-ottimizzazione si rivela un totale auto-sfruttamento […]. Invece di ricercare peccati, ora si ricercano pensieri negativi […]. I predicatori evangelici si comportano oggi come manager e trainer motivazionali, che predicano il nuovo vangelo della prestazione e dell’ottimizzazione infinite. […] Il soggetto del regime neoliberale è annientato dall’imperativo dell’ auto-ottimizzazione, ossia dall’obbligo di realizzare prestazioni sempre maggiori. Guarire non è altro che uccidere»[4]
Questa società terapeutica della cura e dell’ottimizzazione è dunque una società che più insiste sulla felicità e il benessere e più crea paradossalmente depressione, incertezza, burnout, ansia e frustrazioni. Paradosso molto profittevole per i nuovi re taumaturghi: con la loro enfasi sulla cura, sul miglioramento, sull’ottimizzazione creano le condizioni per epidemie di malessere che poi si candidano a curare. Il nuovo potere taumaturgico è circolare e ricorsivo.
Un recente saggio dell’economista e sociologo William Davies, L’industria della felicità, mette bene in luce questa contraddizione intrinseca al sistema e coglie pienamente che il problema del malessere diffuso non è l’individuo, al quale si vuole estrarre forzatamente benessere, felicità e sorrisi (oltre che plusvalore e prestazioni ottimali), bensì la società stessa:
«Quando gli individui si sentono accerchiati da forze sulle quali non hanno alcuna influenza – si tratti di valutazione gestionale, insicurezza finanziaria, immagini di perfezione fisica, implacabili misurazioni di prestazione, gli esperimenti continui delle piattaforme di social media, i diktat dei guru del benessere – non solo avranno maggiori difficoltà a raggiungere un senso di appagamento verso la propria vita ma anche un rischio più alto di andare incontro a crolli più gravi. Come la ricerca di Muntaner ha mostrato, chi sta in fondo alla scala del reddito è anche il più vulnerabile sotto questo aspetto […]. Il problema è che, nella lunga storia dell’analisi scientifica del rapporto fra sentimenti soggettivi e circostanze esterne, vi è sempre la tendenza a considerare i primi più facilmente modificabili delle seconde. Al giorno d’oggi, numerosi psicologi positivi consigliano alle persone di provare a cambiare il modo in cui reagiscono e quello che provano, se non riescono a modificare la causa della propria sofferenza. È stato anche il modo in cui la politica critica è stata neutralizzata»[5]
I re taumaturghi possono esistere solo in una società profondamente individualista, egocentrica e narcisista, in cui la causa di ogni problema viene ricondotta all’individuo che è così portato ad auto-colpevolizzarsi. Il compianto Mark Fisher, che ha pagato con la propria vita un sistema profondamente iniquo, spietato, che impone standard sociali elevatissimi e che scarica sull’individuo (soprattutto se povero) tutte le sue contraddizioni e negatività, ha insistito fino alla fine sulla natura sociale di molte delle malattie contemporanee. Speriamo che un giorno i suoi avvertimenti verranno ascoltati e che ciò possa mettere fine al pacchiano e decadente regno dei re taumaturghi.
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Tarizzo D. (2013), Dalla Biopolitica all’etopolitica, Foucault e noi, [Nóema, 4-1] ↑
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Davies W. (2015), L’industria della Felicità, [Einuadi, Torino, 2016], p. 5 ↑
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Baudrillard J. (1974), La Società dei Consumi, [il Mulino, Bologna, 2010] p. 222 ↑
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Byung-Chul Han (2014), Psicopolitica, [Nottetempo, Roma, 2016] pagg. 40-42. ↑
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Davies W. (2015), L’industria della Felicità, [Einuadi, Torino, 2016], p. 209 ↑
Immagine di S. Jurvetson (dettaglio) da Wikimedia Commons
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.