Come i sondaggi avevano pronosticato, il nuovo Presidente del Cile sarà Gabriel Boric. La vittoria del candidato della coalizione di sinistra Apruebo Dignidad, con oltre il 55% dei voti, contro il suo sfidante di estrema destra José Antonio Kast, rappresenta il culmine di un processo politico che era partito con le proteste antiliberiste del 2019. Ora, sarà proprio uno dei protagonisti di quelle mobilitazioni, sostenuto dal Frente Amplio e dal Partito Comunista, a governare il Paese. Il 35enne Boric, ex leader studentesco, che per molti rappresenta il sogno di cambiamento dei giovani ma anche dei tantissimi esclusi e marginalizzati all’interno di uno dei Paesi più iniqui al mondo, sarà il più giovane inquilino de La Moneda e, almeno apparentemente, il più di sinistra dai tempi di Allende.
Il compito che spetta a Boric non è però dei più semplici, soprattutto perché gli manca la maggioranza parlamentare per dare forza al suo esecutivo. Degli accordi con le forze moderate saranno dunque un passaggio necessario e ciò potrebbe significare dover scendere a dei compromessi che potrebbero far storcere il naso ai più intransigenti. Il Cile si trova poi con un debito pubblico esploso con la pandemia e che non permette troppi margini di manovra. Ma le immagini delle strade di Santiago invase da un oceano di persone per festeggiare la vittoria di Boric sono le più politicamente potenti dell’anno, almeno in Sud America, e mettono in chiaro che un nuovo vento di sinistra sta spirando sul continente.
Oltre al Cile, quest’anno abbiamo anche assistito all’affermazione di Pedro Castillo in Perù. L’ex leader sindacale e insegnante era considerato, come Boric, un outsider, ma è riuscito a vincere nelle urne con un programma inequivocabilmente di sinistra. Castillo e Boric sono piuttosto diversi, con il primo esponente di una sinistra campesina e rurale, basata sul riscatto e sulla dignità del lavoro mentre il secondo decisamente più urbano e “millenial”, difensore di un ampio spettro di diritti, sia sociali che civili. Entrambi sono riusciti a sconfiggere le forze politiche tradizionali e soprattutto a spuntarla contro l’estrema destra, con cui si sono dovuti confrontare nei rispettivi ballottaggi. Proprio le sconfitte dell’estrema destra di Keiko Fujimori in Perù e di Kast in Cile, rappresentano una clamorosa battuta d’arresto per quella onda nera che era cominciata con Bolsonaro e che sembrava potersi allargare a macchia d’olio su tutto il continente.
Il Presidente del Brasile si trova invece ora con ben pochi alleati regionali e la sua popolarità appare in deciso calo. Sebbene abbia ancora la capacità di mobilitare notevoli consensi, dunque, l’estrema destra in America Latina appare in difficoltà ed è stata sconfitta, non solo, come si diceva, in Perù e in Cile, ma anche in Bolivia, dove era al potere solo grazie a un colpo di stato ai danni del presidente socialista Morales. Le elezioni del 2020, scrupolosamente seguite da decine di osservatori internazionali, hanno però sancito una dura sconfitta per l’estrema destra golpista boliviana, riportando legittimamente al potere i socialisti.
Come anche dimostra la vittoria del PSUV di Maduro sulle frammentate e divise forze di opposizione nelle recenti elezioni amministrative venezuelane, per le destre non sembrano dunque esserci grandi prospettive, almeno nell’immediato. Persino nella loro tradizionale roccaforte, la Colombia, i conservatori appaiono in difficoltà e, anche qua, è emerso un leader dell’estrema sinistra, Gustavo Pedro, in grado di poter vincere le elezioni presidenziali del prossimo maggio. L’anno prossimo si voterà peraltro nello stesso Brasile dove, ad ora, Lula appare in netto vantaggio nei sondaggi rispetto a Bolsonaro.
In generale si può affermare che, complice la crisi pandemica, in Sud America ci sia sempre meno spazio per le classiche proposte politiche moderate e tradizionali, percepite sempre più come incapaci di influire nella vita delle persone. Si ricerca un cambiamento vero e molto spesso ciò porta molti elettori a sinistra, una sinistra molto diversa da paese a paese ma che sta complessivamente riuscendo ad arginare la propaganda populista delle destre, fondata sulla paura, su un vuoto risentimento e alimentata, come in Europa, da una sequenza pressoché interminabile di fake news.
Per la sinistra il compito non è facile. Si tratta spesso, come abbiamo visto, di governare senza avere una maggioranza nelle Camere, di dover affrontare una stampa privata vicina ai grandi gruppi industriali molto aggressiva e con la grande incognita del Covid. Per costruire un vero potere popolare, destinato a durare più a lungo di un solo ciclo elettorale, non saranno necessarie misure rivoluzionarie e simboliche bensì scelte molto pragmatiche che abbiano la capacità di incidere sulle condizioni di vita dei più deboli e di una classe media che sta scivolando quasi ovunque nel proletariato. L’aspetto fondamentale è convincere il popolo che esiste una nuova sinistra in grado di dare delle risposte. Nello stesso tempo sarebbe utile sfruttare la presenza di molti governi di sinistra nello stesso momento per rilanciare l’alleanza politica ed economica delle forze di sinistra in America Latina, in modo da rispondere con più fermezza alle ingerenze estere e ai tentativi di destabilizzazione che purtroppo non mancheranno.
Dopo la vittoria di Boric si può comunque guardare con un certo ottimismo quello che sta accadendo in America del Sud che si conferma il più importante laboratorio mondiale del socialismo del XXI secolo. Si dovrebbe in realtà parlare di socialismi al plurale, vista l’eterogeneità delle forze di sinistra che sono emerse in paesi come Venezuela, Bolivia, Perù, Brasile e Cile. Eterogeneità che non appare però necessariamente come un limite ma che anzi dimostra ancora una volta la ricchezza politica presente in quell’area, troppo spesso guardata con sospetto, se non apertamente osteggiata, da buona parte delle sinistra in Europa e Nord America.
Immagine di Paulo Slachevsky da flickr.com
Nato nel 1988 a Firenze, laureato in sociologia. Interessi legati in particolare alla filosofia sociale, alla politica e all’arte in tutte le sue forme.