Ottobre nel mondo della scienza vuol dire Nobel. Facciamo allora un breve resoconto sui premi scientifici di quest’anno. Quando arriva ottobre gli occhi della comunità scientifica internazionale si spostano su Stoccolma e sulle istituzioni che assegnano i premi Nobel per la medicina, la fisica e la chimica. Un rituale che, puntualmente, si porta dietro una miscela di stupore, meraviglia e anche qualche polemica.
Il premio per la medicina e la fisiologia è andato congiuntamente
a tre scienziati (Peter Ratcliffe, Gregg Semenza e
William Kaelin) per i loro studi sull’adattamento delle
cellule alla disponibilità di ossigeno in diverse situazioni
fisio-patologiche; un filone della ricerca premiato con il Nobel
anche nel 1931 e nel 1938.
Andiamo con ordine. L’ossigeno
rappresenta il gas più importante per la vita per come la
conosciamo, in quanto viene utilizzato dalle cellule in ogni processo
che richiede energia. A questa funzione sono appositamente dedicati i
mitocondri, organelli citoplasmatici dove avviene la “respirazione
cellulare”. Tutto il processo che vede l’ossigeno entrare nel
nostro corpo, dal naso o dalla bocca, per arrivare al sangue, a tutti
i tessuti e cellule è regolato da sistemi sofisticati di interazione
tra proteine e, di conseguenza, anche da una regolazione genica.
Gli
studi dei tre laureati di quest’anno iniziano a fine degli anni ’80
quando Semenza riuscì a collegare le situazioni in cui osservava
basso livello di ossigeno (ipossia) con l’aumento di un ormone
(eritropoietina, EPO) responsabile dell’incremento dei globuli
rossi nel sangue. Il passo successivo fu cercare di comprendere come
l’organismo riuscisse a valutare il livello di ossigeno. Gli studi
di Semenza e Ratcliffe, condotti separatamente ma nello stesso
periodo, dimostrarono come ogni tessuto sia sensibile e responsivo
al livello di ossigeno presente e sia capace di inviare un input
ai reni, cioè all’organo dove viene prodotto l’EPO. In seguito
gli studi si incentrarono sui meccanismi molecolari e regolatori
legati all’espressione genica e proteica, sia in situazioni
fisiologiche che in particolari patologie ereditarie. Così nel corso
degli anni, anche grazie agli studi di Kaelin, sono stati chiariti
molti aspetti della regolazione e della risposta cellulare a livelli
di ossigeno molto diversi. I tre scienziati sono stati quindi
premiati per l’enorme contributo nel campo medico e fisiologico,
senza dimenticare le potenziali future applicazioni terapeutiche e
farmaceutiche delle loro scoperte.
Il premio per la fisica è stato invece diviso tra James
Peebles (per la metà), Michel Mayor
e Didier Queloz (un quarto a testa). Peebles ha vinto
per i suoi contributi nella cosmologia fisica, mentre i due svizzeri
per la scoperta di un esopianeta in orbita intorno ad una stella
di tipo solare.
Era l’autunno del 1995 quando Mayor e
Queloz annunciarono, a Firenze tra l’altro, di aver individuato 51
Pegasi b, il primo pianeta ad orbitare intorno ad una stella (51
Pegasi) che non fosse il Sole. Da quel momento sono stati individuati
più di 4000 pianeti orbitanti intorno a stelle più o meno lontane,
con una precisione e un’accuratezza sempre maggiore. Lo step
fondamentale fu l’unione delle ricerche di Mayor, che era a caccia
di esopianeti già da tempo, con alcune intuizioni tecnologiche di
Queloz; un salto che permise di aumentare la precisione delle
misure di quasi 20 volte. Trattandosi di pianeti e sistemi a
distanze di centinaia di anni luce, avere sempre maggiore precisione
nelle misure si è rivelato cruciale per molte scoperte
successive.
Peebles invece non è stato premiato per una singola
scoperta, ma per il complesso dei suoi contributi alla cosmologia
fisica; idee e dati che l’hanno trasformata da
una disciplina molto teorica a una materia scientificamente molto più
empirica. Per rendere l’idea nel 1965, insieme a Robert
Dickie, formulò e dimostrò la teoria riguardante la radiazione
di fondo dell’universo, una radiazione a base di microonde
considerata un residuo del Big Bang. Da quel momento le sue ricerche
si incentrarono sulla cosmogenesi e sull’origine della
materia oscura, che contiene la maggior parte della massa
dell’Universo, ma che è ancora oggi oggetto di molte ricerche.
Inoltre, lavorando sulla teoria dell’inflazione cosmica,
cioè sul repentino allargamento dell’Universo nei primi istanti
dopo il Big Bang, riportò in luce la costante cosmologica di
Einstein, un concetto introdotto nel 1917 dal fisico tedesco, poi
messo in disparte per più di mezzo secolo dalla comunità
scientifica.
Esattamente come per la medicina e per la fisica, dove sono stati premiati lavori con radici più che decennali, anche in chimica è stata premiata una scoperta risalente a più di trent’anni fa.
In più, cosa per niente scontata, l’oggetto del Nobel per la chimica di quest’anno è sempre direttamente sotto le nostre mani. Ogni giorno. Si tratta infatti delle batterie al litio, quelle di ogni smartphone, di ogni PC o di ogni tablet. I tre premiati (alla pari) per questo straordinario lavoro che ha letteralmente rivoluzionato le nostre vite sono John Goodenough, Stanley Whittingham e Akira Yoshino. A questo va aggiunta una piccola nota di colore: Goodenough è diventato il più anziano vincitore di un Nobel a 97 anni!
La spinta per la ricerca di batterie elettrochimiche arrivò impetuosa durante la crisi energetica degli anni ’70, quando fu chiaro che l’energia elettrica potesse rappresentare una valida alternativa al petrolio, se fosse stato trovato il modo per accumulare l’energia e usarla nel tempo. Fu sotto questa grande richiesta che elettrochimici, chimici dei materiali e ingegneri iniziarono a progettare sistemi dove gli elettroni, che formano la corrente elettrica, passano da un elettrodo all’altro. Quando il sistema è collegato per via esterna, cioè in fase di carica, si genera un potenziale che poi, durante la fase di utilizzo o di scarica, si riduce gradualmente.
Il litio, terzo elemento della tavola periodica e metallo più leggero esistente, ha una grande predisposizione nel cedere elettroni e per questo si presta molto bene a questa applicazione. Purtroppo però questo elemento è molto reattivo, caratteristica che lo rende anche pericoloso se non trattato in maniera adeguata.
Per migliorare il sistema nei suoi elementi costitutivi e per riuscire a utilizzare in maniera sicura l’elettrodo a base di litio è stato necessario un grande lavoro che ha coinvolto i tre vincitori del Nobel, fino a quando, nel 1991, la prima batteria al litio è stata disponibile per la commercializzazione. Una nuova era iniziata.
I premi Nobel rappresentano una grande possibilità di visibilità per i ricercatori e per le grandi scoperte, ma spesso vengono dimenticate nel giro di pochi giorni. Restano, certe volte, le polemiche per chi il premio non lo vince o per alcune considerazioni sul fatto che vincono quasi sempre uomini, sempre più anziani, spesso bianchi e provenienti da paesi che investono parecchio in ricerca. Ma questo è un altro discorso.
Immagine Dianakc (dettaglio) da Wikimedia Commons
Sono nato nel 1984 vicino Firenze e ci sono cresciuto fino alla laurea in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche nel 2009. Dopo il dottorato in Chimica, tra Ferrara e Montpellier, ho iniziato a lavorare al CNR di Firenze come assegnista di ricerca (logicamente precario). Oltre che di chimica e scienza, mi occupo di politica (sono consigliere comunale a Rignano sull’Arno), di musica e di sport. E si, amo Bertrand Russell!