Attenzione: potrebbe contenere spoiler.
Che il fumetto italiano stia attraversando una fase particolarmente felice è quasi un’ovvietà. Case editrici più o meno di qualità spuntano quasi ogni anno (certo, non tutte sono destinate a durare), nuovi artisti si fanno avanti con prodotti decisamente convincenti mentre “vecchie glorie” e fumettisti già affermati riescono a rimanere sulla cresta dell’onda, qualcuno sbuca in TV, ospite di programmi culturali o (con alterni risultati) dei salotti dei talk show, mentre i social media offrono agli artisti una potenziale platea immensa.
Giacomo “Keison” Bevilacqua è stato uno dei precursori in Italia (viene in mente, tra gli altri, il Dr Pira) di questa tendenza di fumetti che fanno di internet la propria dimensione naturale: chi non conosce A Panda piace? Ma è anche – se non qualcosa “in più” – come autore qualcosa di diverso, e questo Troppo facile amarti in vacanza ne è la dimostrazione.
Non che altre opere recenti di Bevilacqua, come la bella miniserie occidental-manga Attica (Bonelli), in questi mesi riedita in formato da edicola, o come Lavennder (Bonelli), non dimostrassero già un notevole talento; semplicemente il formato graphic novel consente all’autore più spazio per trovare una propria voce, e per dimostrare la propria maturità stilistica. Si era già visto, d’altronde, con Il suono del mondo a memoria.
Troppo facile amarti in vacanza è quindi la seconda fatica di Bevilacqua per Bao Publishing, lontano da un medium seriale o bonelliano. La storia si dipana, in una sovrapposizione di temporalità, a partire dalla dalla decisione della giovane protagonista di lasciare – verso cosa non è approfondito – un’Italia definitivamente decaduta e semiabbandonata, preda di una sorta di anarchia organizzata dove a comandare è il più forte e la politica non esiste più (come esplicitamente afferma la protagonista); politica che a tratti sembra essere sopravvissuta a se stessa sotto la forma degenerata di una prevaricazione in cerca di legittimità. A scandire il ritmo della narrazione le molte citazioni di pezzi di quell’indie italiano che pare informare anche il mood complessivo della storia.
Negli spazi che la protagonista attraversa si muovono grotteschi fascisti, menefreghisti gaudenti, strane figure intente a vandalizzare una Firenze che hanno comprato in blocco, e tutto un bestiario che rappresenta quanto di peggio un’Italia allo sfascio, molto simile a quella attuale, ha saputo generare. Come in Attica infatti i richiami alla situazione attuale del Paese (quello “vero”) e del non proprio glorioso recente passato italico e più in generale “occidentale” sono evidenti e restituiti in modo non certo sottile.
E proprio questa schiettezza e assenza di ironia è forse il più grosso punto debole del libro; ogni episodio sembra sempre più macchiettistico e semplicistico, quasi da pubblicità progresso. L’intento è nobile e apprezzabile, ma così si cammina sul filo della noia. Il tema del restare e “tentare di cambiare le cose” oppure andarsene e lasciare tutto al meritato sfacelo, apparentemente molto sentito dall’autore, è d’altronde già di per sé, almeno per coloro che sono nati tra gli anni ’80 e ’90, qualcosa di telefonato e consunto. Non che non si possa creare attorno ad esso anche oggi qualcosa di bello e interessante, ma serve davvero un grosso salto di qualità.
Troppo facile amarti in vacanza è più simile all’urlo di rabbia che al discorso; se da un lato ciò significa una apprezzabile passione civile “dalla parte giusta”, che traspare ad ogni pagina, d’altro canto non può per sua natura lasciare segni profondi in chi ascolta, se non al superficiale livello dell’emotività.
Un gran complimento va fatto a Bevilacqua per i disegni, davvero belli e curati, e per lo stile personale e la ricerca grafica che evidentemente mette nel suo lavoro; da solo il comparto grafico vale il prezzo di copertina. La bravura di questo autore d’altronde era già stata ampiamente dimostrata da Lavennder, e riconfermata da Attica.
Un’ultima postilla, tentando di “spoilerare” il meno possibile.
In questi giorni ho visto su Netflix l’ultimo film di Tarantino, Once Upon a Time in… Hollywood. Eccezionali interpretazioni di Di Caprio, Pitt e Robbie a parte, un film del tutto dimenticabile per quanto tecnicamente perfetto, sorretto da una trama dai molti aspetti discutibili e disturbanti. Leggendo successivamente, per passare il tempo in fila alle Poste, sulla Wikipedia in inglese, le interpretazioni che i molti studiosi di cinema e critici hanno dato del film mi sono trovato d’accordo con quella di un giornalista (forse del Guardian) che ne parla come di una spettacolarizzata fantasia di vendetta del regista.
È comprensibile la soddisfazione nel fantasticare di una situazione in cui personaggi abietti finalmente vengono ripagati con la loro stessa moneta, soprattutto in un mondo in cui, invece, sembra che il male venga costantemente premiato. Ma è troppo e troppo poco.
E certo, tornando al fumetto, in conclusione di Troppo facile amarti in vacanza proprio il pericolo di diventare come coloro che combattiamo, e la necessità di fare qualcosa di diverso collettivamente, pare acquistare retrospettivamente centralità. Ovviamente, inoltre, non si può rinfacciare ad un mondo in cui la politica è scomparsa l’apoliticità di un certo emotivismo tutto rabbia e indignazione; è normale, quasi bene per la coerenza della trama, che sia così.
Tra i tanti tipi di mostri che infestano i social network ce n’è uno che si ritiene di sinistra e che passa le giornate a far sapere ai suoi sfortunati contatti, con evidente soddisfazione, come giustizierebbe questo o quel personaggio che ritiene deprecabile o come quando verrà il giorno questa o quella categoria di immaginari nemici sarà la prima a finire contro il muro. Lasciando perdere i problemi di tipo ideale, sdoganati dalla diffusa incomprensione della natura della lotta di classe, la sua non è politica – che è razionale logica mezzo-fine e non sfogo emotivo – o militanza ideologica, ma l’impotenza totale di chi sbatte il piede contro l’angolo del comodino e, accecato dall’insulto subito, tira contro il mobile una pedata rabbiosa, finendo per farsi ulteriormente del male.
Il fumetto di Bevilacqua è un’opera moralmente limpida e fortunatamente lontana da questo genere di immaginario e di pratica pulsionale, ma la “giusta violenza”, per quanto cartoonish e tutto sommato in linea con la trama (volontà di ricollegarsi ad altri fumetti?), che a tratti fa capolino nelle sue pagine mi ha ricordato quel tema della vendetta adombrato dal giornalista britannico a proposito del film di Tarantino, e un certo milieu umano, e sinceramente mi ha fatto storcere la bocca.
Troppo facile amarti in vacanza, nonostante quanto si è detto, conferma che vale sempre la pena comprare i fumetti di Bevilacqua.
Potendo, non si può non consigliare al lettore di recuperare i volumetti di Attica (disponibili presso Bonelli o in fumetteria, la riedizione da edicola è attualmente giunta al numero 6 di 12, gli arretrati sono facilmente reperibili) e Lavennder (usato come uscito per la collana Le Storie di Bonelli o nella più recente riedizione da fumetteria), e perché no anche questo Troppo facile amarti in vacanza. E di restare in attesa delle prossime opere.
Troppo facile amarti in vacanza
Giacomo Keison Bevilacqua
Bao Publishing, 2021
Cartonato 240 pp., 21€
Voto: 3,5/5
Copertina Giacomo Keison Bevilacqua/Bao Publishing
Nato a Bozen/Bolzano, vivo fuori Provincia Autonoma da un decennio, ultimamente a Torino. Laureato in Storia all’Università di Pisa, attualmente studio Antropologia Culturale ed Etnologia all’Università degli Studi di Torino. Mi interesso di epistemologia delle scienze sociali, filosofia politica e del diritto, antropologia culturale e storia contemporanea. Nel tempo libero coltivo la mia passione per l’animazione, i fumetti ed il vino.