Davvero i giovani italiani sono reazionari e moderati? A partire dalla ricerca del Pew research center ne parliamo questa settimana a dieci mani.
La ricerca del Pew Research Center conferma un po’ di luoghi comuni che, come tali, vanno presi con le molle. Rivoluzionari a vent’anni, conservatori a cinquanta e reazionari in tarda età, può essere comune ma, per fortuna, non è una regola. È un vero privilegio, invece, rimanere fedeli agli ideali di gioventù.
L’Italia sembra non discostarsi assai da tale rappresentazione, tranne che sulla visione dei giovani trentenni circa la possibilità di rimanere o meno all’interno dell’UE. In ciò i giovani italiani si mostrano maggiormente “euroscettici” rispetto agli altri europei della stessa età. Forse potremmo definirli, semplicemente, scettici circa l’Unione Europea reale, ossia quella che è stata costruita ed è in piedi.
È un fatto che non stupisce affatto, anzi. Come potrebbe essere il contrario? Moderazione salariale trentennale, impossibilità di politiche monetarie, flexecurity (tradotta come precarietà esistenziale e lavorativa), privatizzazioni selvagge e assenza di alcuna politica del lavoro e industriale hanno segnato i giovani in Italia nelle contraddizioni e nelle condizioni materiali. Forse, questa ricerca assumerebbe un senso se fosse uno spunto per un ampio studio e una necessaria analisi finalizzata alla comprensione dell’impatto delle politiche europee e, di riflesso, anche di quelle italiane sulle giovani generazioni che vivono quotidianamente esperienze comuni: l’emigrazione (interna e esterna), lo sfruttamento e la precarietà.
Il vecchio detto “nasci incendiario e muori pompiere” sembra seccamente smentito dall’ultima ricerca del Pew research center sulle tendenze politiche dei giovani italiani. Mentre i giovani occidentali sembrano inclini più delle generazioni più anziane a sostenere i valori ideologici del centrosinistra come il sostegno all’immigrazione, le tematiche sui diritti civili e il sostegno all’Unione Europea in Italia non sembra essere affatto così.
Al di là del fatto che credo sia ancora legittimo porre in discussione l’impianto valoriale del centrosinistra liberal, in favore di quello storico della Sinistra del movimento operaio novecentesco, abbiamo di fronte a noi una serie di dati che ci rivelano un’inversione di tendenza nelle nuove generazioni che può essere determinata da una pluralità di fattori che in una ricerca che astrae totalmente dal contesto socio-economico si perde del tutto. Se i nostri giovani confrontati a quelli svedesi, tedeschi e danesi appaiono dei trogloditi politici forse non sarebbe più così se venissero confrontati con quelli portoghesi greci e spagnoli, infatti i gap si riducono di molto se confrontiamo i dati con i francesi e gli spagnoli. Inoltre, l’odioso giochino dello scontro generazionale viene qui applicato alle opinioni politiche: la generazione più precarizzata della storia contemporanea non si omologa ai valori ideologici della sinistra occidentale come invece tendono a fare i più anziani.
Dal mio punto di vista non vi è alcuno scandalo nei risultati della ricerca e non è necessario giungere alla frettolosa conclusione che i giovani italiani siano irrimediabilmente diventati di destra. È invece in corso una ribellione alle politiche degli ultimi trent’anni e inevitabilmente i giovani riflettono questa ribellione più delle generazioni più anziane, trasfigurando anche l’impianto valoriale e ideologico che ne sta alla base.
Il valore delle ricerche sociali è sempre relativo, a seconda delle intenzioni dietro cui si muovono le domande e le scelte di selezione delle risposte. Trarre dai dati considerazioni generali è sempre opinabile. Difficile però esprimersi su chi si consideri di sinistra senza considerare cosa sia la sinistra nei diversi contesti. In Italia si sottovaluta il disastro dovuto all’esperienza del Partito della Rifondazione Comunista: la fine dei suoi dirigenti, le sue infinite scissioni, l’irrilevanza di ogni progetto con cui si è tentato di superare il mancato impegno del 1991.
Le esperienze di governo del centrosinistra hanno dialogato con realtà di movimento e istanze di civismo molto particolari. Dall’anomalia di Berlusconi a quella di Di Pietro, siamo passati oggi alle realtà del Movimento 5 Stelle e della Lega di Salvini. Nel frattempo non si discute di lavoro, se non in termini di sgravi fiscali per le imprese, di formazione, di prospettive politiche di medio periodo, cercando di ricondurre tutto verso schemi decisamente superati da almeno un decennio.
Cosa e quanto è stato sbagliato negli ultimi venti anni dalla sinistra radicale? Troppo facile limitarsi a leggere le colpe della socialdemocrazia. Fra le macerie del Muro di Berlino ci sono rimaste anche speranze e sfide che sembravano all’altezza del XXI secolo. Ci sarebbe poi da capirsi su cosa siano i giovani. Molto spesso pare si voglia ridurre a questa categoria chi completa il ciclo di istruzione, arrivando a ottenere un titolo di laurea. Mancano chi esce fuori dalla narrazione dell’alta istruzione.
Avere o meno un contratto di lavoro e la tipologia di quest’ultimo contano più dell’anno di nascita. Potrebbe essere interessante capire se effettivamente l’idea di sinistra oggi viene associata a chi alla fine ha garantito solo la sopravvivenza di eredi indegni di una nobile storia, provando a capire se questa non è in fondo la stessa narrazione interna alla sinistra. A forza di dirci che siamo sconfitti e inadeguati, finisce che anche intorno matura poca fiducia nel nostro futuro…
Il sondaggio del Pew Research Center pone a confronto su quattro temi (sinistra, diritti LGBT, immigrazione, UE) tre diverse fasce d’età (under 30, 30-49, over 50) di otto Paesi dell’Europa occidentale. La nozione di Europa occidentale appare in realtà tagliata col coltello, in quanto accanto a Paesi genuinamente occidentali (Francia, Paesi Bassi, Regno Unito) si affiancano Paesi dell’Europa centrale (Germania), settentrionale (Danimarca, Svezia) e meridionale (Spagna, Italia).
L’Italia, sebbene il report del Pew eviti delicatamente di metterlo in rilievo, recita tra gli otto la parte dello straccione, dimostrando, in qualunque fascia anagrafica, un molto minore entusiasmo per i quattro argomenti. In questa sede, troppo ristretta, non indagheremo se i giovani italiani preferirebbero un destino da Sudamerica, con esportazioni di basso valore aggiunto costantemente rilanciate tramite la svalutazione della moneta.
Diremo solo che a una prima occhiata superficiale si può sospettare che il grado di entusiasmo sia negativamente correlato con i tassi di disoccupazione dei rispettivi gruppi di età. E, in effetti, una semplice analisi statistica mostra che è così. Per la precisione, la correlazione la si trova, dalla più debole alla più forte, nell’ordine enunciato in apertura di questo mio pezzo.
Ma questa è solo metà della storia. In effetti, escludendo dal campione la Spagna e la Francia, la correlazione aumenta. La Francia ha dati di disoccupazione migliori del nostro ma tassi di apprezzamento ben più positivi (specie riguardo la UE); la Spagna, che esprime gradimenti molto più alti di quelli italiani, ha addirittura una disoccupazione più elevata.
Il dato anomalo, dunque, non è quello italiano, che è perfettamente in linea con la sua determinante economica! Anomali sono la Francia e la Spagna. E per quale ragione lo sono?
Le influenze culturali sembrano radicalmente diverse: ad esempio in Francia vi è una cultura nazionale-rivoluzionaria meno presente nel vicino iberico, che semmai è più simile all’Irlanda per il suo libertarismo di ritorno, provocato da una rapida azione anticlericale condotta all’insegna dei valori del capitalismo liberale.
Tuttavia, un primo indizio lo fornisce il Pew stesso, rimandando a una tabella che ambisce a classificare i partiti secondo gli assi destra/sinistra e tradizionalisti/populisti (www.pewglobal.org). Francia e Spagna hanno la particolarità di avere gli unici due partiti populisti di sinistra e gli unici due partiti “non-tradizionali” di centro. In entrambi, cioè, vi è un’offerta politica portatrice di un metodo e di una direzione che consentono di trasformare, invece che meccanicamente subire, il quadro dato.
Sulle affinità e divergenze tra i Mélenchon e i Macron, e sui modi di contrastare le Le Pen, ho invece discusso in altra sede (qui).
Complessivamente la ricerca condotta dal Pew Research Center non mostra niente di sconvolgente. Non è infatti una novità che i giovani siano tendenzialmente più orientati a sinistra e più aperti nei confronti dei diritti civili e dell’immigrazione. A livello complessivo (europeo) dunque, non si registra niente di sconvolgente, anche se è interessante notare la disaffezione dei giovani verso i partiti della sinistra tradizionale, socialdemocratica o riformista, e una maggiore propensione a simpatizzare con quei partiti più moderni e radicali come Podemos o France Insoumise. Ma a dire il vero nemmeno questo stupisce: difficile che i vecchi partiti socialisti che hanno completamente perso ogni interesse e velleità di proteggere le fasce più deboli della popolazione possano avere una qualche attrattiva per un giovane di sinistra che ha legittimamente il desiderio di vedere le cose cambiare.
Quello che sicuramente balza all’occhio è però il caso italiano. Il dato più significato è quello della percentuale di giovani che si considerano di sinistra. Secondo la ricerca, la percentuale di giovani (18-29 anni) italiani di sinistra è uguale a quella degli adulti (50+ anni), entrambi al 28%. Negli altri paesi emergono invece dati molto diversi. A eccezione della Svezia infatti, che registra risultati simili al nostro paese, il divario nel Regno Unito, in Francia, in Spagna ma anche in Germania e nei Paesi Bassi è piuttosto netto, con i giovani che propendono significativamente per la sinistra (dai dieci punti percentuali il su di distacco fra le due fasce d’età) rispetto ai cittadini più anziani. Questo dato però deve tener conto del fatto che gli adulti italiani con più di 50 anni sono i più a sinistra fra i paesi analizzati (28% contro il 20% del Regno Unito e il 22% di Francia e Spagna) e che dunque i giovani italiani pur risultando meno di sinistra dei loro coetanei europei, non lo sono in misura così significativa. In realtà, sono gli italiani nella fascia d’età 30- 49 anni ad essere i più conservatori: risultano i più a destra non solo d’Italia ma fra tutti i paesi considerati (solo il 21% si dichiara di sinistra).
Parlare di giovani italiani conservatori risulta dunque piuttosto fuorviante (a meno che non si voglia considerare giovane un quarantenne), anche perché quando si parla di immigrazione e diritti lgbt sono proprio i giovani ad avere posizioni più progressiste rispetto alle altre classi d’età, come mostra la ricerca. La ricerca fotografa piuttosto un paese dove il malcontento dilaga e ciò interessa complessivamente tutte le classi d’età. Il fatto che questo malcontento spinga più a destra che a sinistra non è tanto un problema giovanile quanto l’accumularsi di errori, fallimenti e disastri della sinistra in Italia da 30 anni a questa parte.
Immagine di copertina liberamente ripresa da commons.wikimedia.org
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