di Dmitrij Palagi e Silvia D’Amato Avanzi
In un effetto speciale forse naïf ma suggestivo nella semplicità della metafora, veli neri ricoprono la città ad indicare che il mago oscuro Grindelwald chiama a raccolta i suoi sostenitori. La lettura politica più evidente rappresenta forse un limite di questo secondo capitolo di Animali fantastici – I crimini di Grindelwald. Sicuramente il film si sviluppa in una maniera maggiormente convincente rispetto al precedente episodio, lasciando spazio a una sceneggiatura sviluppata a prescindere dalle narrazioni già note al pubblico (e anche dall’elenco degli animali offerti dalle nuove tecnologie).
Ai punti di forza che già avevano caratterizzato Animali fantastici e dove trovarli (il materiale narrativo nato espressamente per la pellicola e quindi ben accordato con i tempi del cinema; la riuscita fusione tra ambientazione ed ottimi effetti speciali), si aggiunge nel secondo capitolo un apprezzabile scatto nella ricchezza dell’intreccio: la trama del primo film si fondava su relativamente pochi elementi intervallati e diluiti dalla caccia alle creature magiche scappate per New York, intrattenimento quasi puro, mentre il secondo ha molti più eventi da raccontare. E, se qualche colpo di scena sembra stridere con la narrazione ereditata dalla saga di Harry Potter, è prematuro giudicarlo definitivamente con ancora così tanto spazio di sviluppo davanti.
La matrice laburista della Rowling, qui in doppia veste di sceneggiatrice e produttrice, la colloca nel campo della denuncia diffusa nei confronti del vento soffiato nelle urne statunitensi, con l’affermarsi di Trump, e in quelle del referendum sulla Brexit. Per fortuna però altro può essere trovato, compreso il meccanismo con cui è bene finire per schierarsi inevitabilmente, nel momento in cui si sviluppa uno scontro.
Al centro dell’asse del male troviamo un personaggio capace di soffiare sull’odio, insistendo sulle contraddizioni del sistema e facendo della paura un’arma di sopraffazione. Curiosamente, tra tanti personaggi raffinatamente sceneggiati, uno degli elementi più deboli della produzione è proprio il personaggio di Grindelwald, ben interpretato da Johnny Depp (forse oltre le aspettative date da un casting opinabile per un tedesco stereotipico) ma fin dalla sceneggiatura ridotto ad una macchietta ben oltre quanto giustificabile dal trovarsi alla fine di una parabola di degenerazione. Molto più credibili e coinvolgenti i personaggi periferici suoi alleati, che incarnano efficacemente le varie sfaccettature con le quali più o meno sottilmente l’ideologia di Grindelwald conquista fette trasversali di società.
Il rapporto tra singolo e istituzioni accompagna tutta la saga di Harry Potter, ma trova in Newt Scamander un interessante sviluppo, fuori dall’ombra di Silente e dal riconoscimento pubblico di un protagonista.
La caratterizzazione politica è del resto già stata una cifra della saga di Harry Potter, nella quale è già possibile leggere il parallelismo tra l’ascesa di Grindelwald e quella del nazismo in Europa, rispetto al quale Voldemort incarna un ritorno forse peggiore dell’originale, il cui pericolo non è mai troppo lontano. Colpisce allora che un film dall’ambientazione “vintage” riesca a farsi sentire politicamente più esplicito e più urgente di storie più vicine a noi temporalmente: sceneggiatura deliberatamente eloquente, ma anche il fatto che il problema è proprio che dinamiche storico-politiche che vogliamo credere “vintage” forse non sono mai davvero passate di moda.
Che la scrittura si sia fatta più esperta o che semplicemente il secondo capitolo sia privilegiato nella distribuzione della trama lungo la saga, I crimini di Grindelwald offre un equilibrio tra i diversi elementi narrativi forse senza precedenti nell’universo potteriano – i film di Harry Potter firmati sempre da David Yates hanno risentito, pur cavandosela molto bene, delle difficoltà di adattare allo schermo lunghi romanzi infarciti di avventure. Notando anche la cura della fotografia, è forse più deciso l’impegno nel farne un film, una saga in grado di camminare con le proprie gambe, anziché rimanere vincolata e protetta dal «tratta da».
Quanto scritto qui ha ovviamente un valore limitato: ogni opera ha diverse possibilità di lettura e interpretazione. Le intenzioni di chi promuove un film si mescolano con le finalità meramente commerciali, grazie alle quali poi il mercato fa spazio ai vari prodotti, a prescindere dai loro messaggi.
La negazione degli assoluti e il difficile rapporto con le linee di confine accompagnano le avventure di creature caratterizzate dalle loro debolezze. Accettarle senza presunzione è la chiave per un riscatto di fronte alle vessazioni del potere. Gli ordinamenti sono campi neutrali, in cui la soggettività può scegliere come esprimersi, valutando come sviluppare forme di collaborazione con i propri simili (riconoscendo anche i dissimili e il difforme). La complessità rende possibile il coraggio, su livelli diversi ma che nel fantastico si esprimono in maniera efficace. Il bene e il male non si qualificano nella capacità di commettere azioni giuste o sbagliate secondo parametri oggettivi e assoluti. L’errore appartiene al soggetto che agisce, la cui intenzionalità deve accompagnarsi alla scelta del come operare, fuori dalla dicotomia tra mezzi e fine, in una sovrapposizione tra volontà e azione. Non è tanto Grindelwald a interessare, quanto la configurazione di chi sceglie di opporsi senza sposare la retorica di chi si è rassegnato allo stato di cose presenti e finisce per difendere soltanto il passato, nell’incapacità di gestire il presente (o meglio, di vederlo per scegliere di provare a costruire un futuro diverso).
Immagine di copertina © Warner Bros. liberamente ripresa da vice.com
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