Grazie alle nuove tecnologie e all’ampia copertura mediatica, si può facilmente affermare come la guerra in Ucraina sia la più documentata in tempo reale della storia. Eppure la manipolazione propagandistica, da una parte come dall’altra, non appare affatto diversa da quella che ha riguardato altri conflitti. Più siamo bombardati di informazioni, filmati, fotografie più si ha l’impressione di comprendere meno. Sul rapporto fra media e narrazioni in tempo di guerra il “10 mani” della settimana.
Dmitrij Palagi
Il villaggio globale non è uno spazio neutro, in cui le verità oggettive vengono offerte a chiunque voglia accedervi, per permettere la formazione di diverse opinioni pubbliche, libere di confrontarsi e dialogare, nella globalizzazione della democrazia.
Le piattaforme digitali e i mezzi di comunicazione tradizionali hanno evidenziato come il loro funzionamento sia legato ai sistemi di potere, costituendo essi stessi luoghi di potere, senza rispondere direttamente ai governi o agli stati nazionali.
Guardare quanto viene proposto dalle immagini trasmesse dalla Russia è nauseante, analogamente ad alcune narrazioni veicolate in Europa, in cui si inizia a parlare di una dialettica da esercitare all’interno della NATO, formando una sorta di fazione del vecchio continente all’interno del patto atlantico (insieme a Finlandia e Svezia, ma non con la Turchia probabilmente).
La diffidenza diffusa nelle nostre società alimenta le letture legate a teorie del complotto, alimentando logiche campiste, attentamente rievocate da chi cerca di screditare le posizioni contrarie all’aumento delle spese militari e all’invio delle armi (sul quotidiano Domani è stato pubblicato un articolo sulla “Chiesa di Giulietto Chiesa”, in cui si parla di quest’ultimo e di come ne venga conservata la memoria, senza poterlo far replicare, evidentemente).
Quale punto di vista provare a sviluppare? Quello capace di andare oltre la geopolitica, recuperando la geografia e la politica. Analizzando i rapporti di forza e gli equilibri di potere. Dando protagonismo a chi ne ha pochissimo o non ne ha.
Per sintesi, il punto di vista può essere legato a un noto proverbio: «quando gli elefanti combattono è sempre l’erba a rimanere schiacciata».
Vuol dire essere in qualche modo ambigui rispetto all’invasione russa in Ucraina? No. Anche ammettendo che esiste in Italia una piccola parte di società che prova simpatia per Putin (così come esiste una piccola quota di persone che hanno comunque scelto di non vaccinarsi), non si può usare una minoranza, con la pratica della stigmatizzazione di posizioni sbagliate per giustificare le decisioni di governo, comunque sbagliate.
Stefano Feltri, diretto del Domani, ha pubblicato da poco un libro dal titolo “Il partito degli influencer. Perché il potere dei social network è una sfida alla democrazia”. In Italia sarebbe interessante che però si facesse completa chiarezza anche sul potere di chi va in televisione e dirige le testate di informazione, su quali siano gli accordi, quali gli interessi, quali i circuiti chiusi in cui si organizza la comunicazione e l’informazione.
“In basso” le lavoratrici e i lavoratori sono, anche loro, oggetto di fenomeni di forte atomizzazione e precarizzazione.
Per manipolare non c’è bisogno di una persona che dall’alto manipola il basso. C’è una stratificazione del potere capace di superare le sue contraddizioni e cambiare nella continuità. Da una parte e dall’altra. Una convivenza tra sistemi diversi, nel villaggio globale, accomunati dalla necessità di non stravolgere il cosiddetto alto-basso.
Jacopo Vannucchi
Nei primi giorni dell’intervento russo il panorama della stampa italiana conservava ancora un po’ di differenziazione interna. In particolare, sui fogli storicamente più legati alla borghesia imprenditoriale era più facile reperire un taglio che cercava di essere obiettivo, di ricostruire e far comprendere le dinamiche del teatro orientale. Il conflitto però era un’occasione troppo ghiotta per dare corpo alla crociata contro le autocrazie con la quale il Presidente Biden, fin dal viaggio in Europa di giugno 2021, cercava di stringere nuovamente le viti della NATO. Così ben presto la generale chiamata alle armi suonata in Occidente ha congestionato la stampa a maggior tiratura con una catena, apparentemente senza fine, di pezzi propagandistici pro-ucraini.
Tanto si è discusso su reali o presunti propagandisti del Cremlino su stampa e televisione. Se vi sono fondati sospetti che alcuni opinionisti siano al soldo di governi stranieri, è giusto escluderli in tempo di guerra – ma questo dovrebbe valere per entrambe le parti. Il cozzo assordante tra due propagande ha lasciato quasi nessuno spazio a una ragionata riflessione, che mettesse gli ascoltatori e i lettori in grado di approcciarsi a un contesto che è culturalmente assai distante da quello italiano e ovest-europeo. Con la differenza che mentre la propaganda russa veniva chiamata propaganda e censurata (oscuramento di Sputnik e Russia Today), la propaganda ucraina viene adottata come verità ufficiale.
Addirittura, il termine di ideologia viene applicato – negativamente, ça va sans dire – soltanto alla parte russa mentre un generale ucraino neonazista conclamato è stato definito sulla televisione pubblica «un giusto dalle idee sbagliate» (in modo obiettivo e non-ideologico, ovviamente).
Si è colto in quelle settimane la difficoltà di far comprendere alle masse il senso più ampio della nota frase gramsciana «ogni Stato è una dittatura» – nel caso presente, che ogni sistema culturale è un’ideologia, che anche il liberalismo è un ethos di Stato, ossia uno Stato etico.
Un potere che si fonda sulla negazione di se stesso come ideologia, perché pone la propria ideologia come immediata verità universale, viene però messo in difficoltà quando un’ideologia contrastante si manifesta con la forza. È questo il caso del recente andamento delle operazioni in Ucraina orientale: la lenta e costante avanzata dell’esercito russo, che ha conquistato una dopo l’altra Izium, Rubizhne, Mariupol, Krasny Lyman, e sta ora entrando a Severodoneck, ha per ora messo la sordina al tambureggiamento mediatico.
Alessandro Zabban
Le riflessioni del filosofo francese Jean Baudrillard sulla guerra del Golfo restano ancora oggi molto attuali e forniscono una chiave di lettura importante sulle vicende belliche in corso in Ucraina e su come vengono raccontate.
I tre brevi saggi usciti in rapida sequenza fra gennaio e marzo del 1991 su Libération intitolati rispettivamente “La guerra del Golfo non prenderà luogo”, “La guerra del Golfo non sta veramente accadendo” e “La guerra del Golfo non ha mai avuto luogo” mostrano tutto l’intento provocatorio del filosofo francese che però coglie alcune dinamiche distorte che sussistono nel rapporto fra l’evento storico e la narrazione mediatizzata.
La guerra del Golfo fu il conflitto fino ad allora più mediatizzato della storia, con la presenza di troupe televisive da ogni angolo del pianeta e con dirette non stop volte a sviscerare ogni dettaglio del conflitto. Ma è proprio questa copertura mediatica assidua, ossessiva e “oscena” il bersaglio della critica di Baudrillard che afferma che la realtà degli eventi viene sostituita sistematicamente da una narrazione mediatica fatta ad arte, preconfezionata e ritagliata sulle esigenze del pubblico, per orientarlo su alcuni aspetti e distoglierlo da altri.
Così, sebbene la Guerra ci sia stata in tutti i suoi catastrofici effetti, i media nel loro solerte lavoro di reportage, non hanno ad esempio fatto vedere i civili iraqueni morti e le loro vite in frantumi (se non al massimo in maniera indiretta) tanto che si può affermare che dal punto di vista Occidentale, la Guerra non sia mai esistita perché il cittadino di una paese occidentale non ha avuto percezione dell’orrore del conflitto.
Baudrillard parla così di “iperrealtà”, una realtà raccontata ed esposta ricercando il massimo della veridicità, ossia fotografandola e filmandola in tutto e per tutto, ma gettata in pasto allo spettatore senza contestualizzarla, spesso con lo scopo di suscitare delle emozioni o con l’intento subliminale di passare delle idee politiche.
Il conflitto in Ucraina purtroppo non si discosta dalle modalità mediatiche individuate più di trenta anni fa da Baudrillard. Possono cambiare elementi specifici della narrazione, ad esempio le vittime civili vengono esposte, fotografate, filmate con agghiacciante zelo per far vedere quanto sia abominevole l’avversario, ma il quadro complessivo resta del tutto iperreale. Ancora una volta, di fronte all’aumento della capacità dei media e delle nuove tecnologie di far vedere e documentare avvenimenti, aumenta proporzionalmente anche la propaganda. Più siamo convinti di assistere in diretta a fatti e avvenimenti storici, più finiamo vittime della contraffazione.
Baudrillard notava più in generale che era in atto un tentativo di diffusione artificiale e totalitaria del “Bene”, cioè dei valori occidentali e che il sistema mediatico avesse in ultima istanza lo scopo di descrivere i conflitti occidentali come giusti e buoni. Oggi, nell’ambito di un ritorno allo scontro fra potenze contrapposte, questa missione viene condotta con persino maggiore solerzia e violenza poiché si identifica con maggiore facilità una minaccia.
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.