Il Covid-19 sta avendo effetti devastanti sull’economia mondiale e non è certo un mistero che uno dei settori più colpiti sia quello turistico. Il problema non è di poco conto se si considera che dall’industria turistica deriva una quota consistente del PIL di molti Paesi fortemente votati a questo settore, come l’Italia. Così, anche da noi, sono molte le città e i comuni in grave sofferenza finanziaria per via della crisi dirompente che si sta verificando in questo ambito. Ma mentre in Europa ci si affanna a cercare di salvare la stagione estiva e si litiga sulle riaperture dei confini nazionali, sono in molti a mettere in risalto come il Covid-19 abbia mostrato il carattere insostenibile e distruttivo, dal punto di vista ecologico e del tessuto sociale, di un fenomeno che negli ultimi decenni ha assunto una dimensione ipertrofica.
Leonardo Croatto
Airdna.co (piattaforma che offre short-term rentals data e analytics) conta ad oggi 10456 affitti brevi nell’area fiorentina, il 70% dei quali presenti su Airbnb e gli altri su piattaforme simili ma meno famose. Sono tutti appartamenti completi, solo una parte trascurabile sono singole stanze in affitto (secondo il paradigma originario di Airbnb). E’ la percentuale più alta in Italia di strutture impegnate in affitti brevi in rapporto agli abitanti.
Nel 2017 la piattaforma censiva a Firenze circa 9300 strutture, in due anni sono stati trasformati in attività ricettive un po’ più di 500 appartamenti ogni anno. A giugno scorso la rendita media calcolata dal sito di analisi per un appartamento affittato a Firenze era stimata in 2250 euro al mese.
Se è facile immaginare le complessità necessarie per aprire una struttura ricettiva tradizionale (sicurezza, permessi, destinazione d’uso dell’immobile, adempimenti fiscali, regolarità dei contratti di lavoro dei dipendenti ecc.), adibire un appartamento ad affitti brevi a scopo turistico non richiede alcun tipo di misura particolare.
E infatti di regolamentazioni neanche a parlarne: la debolezza dei decisori è tale per cui ogni gruppo organizzato che alza la voce riesce a evitare l’imposizione di norme e vincoli, ancorché blandissimi.
Il turismo, specialmente quello realizzato senza regole, è, di fatto, un meccanismo per massimizzare rendite di posizione: individui che possiedono beni immobili da mettere a rendita inseriti in un sistema paese che ha un passato storico-artistico anch’esso interpretato come un enorme asset capace di generare rendita senza sforzo. Grazie al turismo un intero paese ha pensato di poter abbandonare la faticosa competizione sui prodotti per vivere amministrando l’eredità di famiglia.
Il turismo prospera grazie alla sua capacità di attivare iniziative imprenditoriali a bassissima intensità di investimento professionale ed è favorito dall’incapacità della politica nell’orientare l’economia del paese incentivando attività ad alta intensità di valore del prodotto, che richiedono però investimenti in ricerca e sviluppo e alte professionalità. Questo ha portato città come Firenze ad abbandonare qualsiasi altra vocazione imprenditoriale trasformandosi in grandi stazioni di mungitura per turisti, in una spirale che prima ha portato alla sostituzione delle altre attività produttive e successivamente all’abbassamento dei livelli qualitativi anche dell’offerta turistica stessa.
Da questa crisi si potrebbe uscrire con una completa riprogettazione degli indirizzi economico-produttivi – sia tentando di ridurre la dipendenza dal turismo sia modificandone la qualità in modo da renderlo meno impattante per i territori – non cedendo quindi alla tentazione di rilanciare le attività ricettive come strumento per tornare a far cassa in tempi brevi e col minimimo sforzo. Ma sappiamo bene come andrà a finire.
Piergiorgio Desantis
È parso, da almeno una ventina d’anni, che il turismo avesse capacità infinite di sviluppo e che meritasse disinvestire e smontare il resto del tessuto economico e sociale per lasciargli spazio, soprattutto nelle città d’arte. Il cosiddetto turismo nella declinazione di petrolio italiano (che brutta espressione), spesso celava retribuzioni assai basse, talvolta elusione e evasione fiscale nonché le dinamiche distruttive delle piattaforme. È stato solamente un evento esterno, una pandemia, che ha determinato un parziale (almeno per il momento) cambiamento di paradigma. È ancora troppo presto per dirlo, ma i sindaci, anche quelli che avevano portato alle estreme conseguenze questo modello, si stanno interrogando seriamente sulla capacità di modificarlo, di tornare a popolare i centri storici di abitanti e, anche, di lavoro e lavoratori di più comparti. Le risposte sono tutte ancora parziali: c’è chi punta sull’artigianato per ripopolare centri storici, sottacendo quale sarebbe il mercato di quei prodotti, considerando anche la moderazione salariale trentennale italiana. C’è anche chi punta sulla possibilità dell’affitto anche per lunghi periodi, in palazzi dove si sentiva solamente il monotono rumore del trolley nelle mattinate, tutte eguali, del check-in e del check-out. Insomma, di soluzioni all’orizzonte davvero efficaci non ci sono, eppure va giudicata positivamente la riflessione e il ripensamento innescato da un evento esogeno. Probabilmente, però, e questa è la nota positiva, il distanziamento sociale, misura che andrà sicuramente avanti per un bel po’ di tempo, già determina e determinerà evoluzioni del turismo e, in generale, delle modalità di vita e di lavoro nei centri urbani con una centralità maggiore degli spazi sociali e della persona stessa, vero motore della rinascita e del pensiero critico.
Dmitrij Palagi
Il turismo non è considerato come un fenomeno economico globale e di grande rilievo. O meglio le istituzioni sono consapevoli del suo ruolo, ma la politica non accetta di discuterne in modo specifico. Sembra quasi un fenomeno naturale. Arriva, cresce, si prova magari a contenerlo, ma non si può governare il vento… Lo si può sfruttare e indirizzare al massimo.
Interi territori italiani sono oggi travolti dall’emergenza Covid-19, ma l’insostenibilità del turismo di massa è una questione ambientale con cui occorrerà fare i conti. Nel brevissimo periodo, perché è evidente come la speranza diffusa sia quella di un rapido ripristino della situazione precedente alla pandemia. È un meccanismo psicologico comprensibile. Oltre due mesi di eventi negativi inducono a preferire i problemi noti a quelli ignoti.
Crea lavoro precario e forme di sfruttamento particolarmente odiose? Sempre meglio che la disoccupazione.
Consuma le città e le svuota dalle persone residenti? Sempre meglio che vederle impoverirsi…
Nella crescita della povertà e della disuguaglianza il diritto a poter girare il mondo come turisti acquista davvero una dimensione particolare.
Un altro mondo è possibile, sosteneva il movimento alter-mondialista, che alcuni chiamavano no-global. Il sovranismo non era una categoria concepibile ai tempi… Sembra il secolo scorso, era l’inizio del nuovo millennio.
Tanta elaborazione è venuta a mancare in questi ultimi dieci anni. Se prima risultava contraddittoria o inadeguata, adesso sembra semplicemente latitare.
Jacopo Vannucchi
Quando sul Dieci mani cercammo di fornire una prima valutazione del contratto di governo M5S-Lega, personalmente vi ravvisai «una politica […] di indebolimento del Paese e della sua produzione», fondata «su una visione dell’Italia i cui perni strategici sarebbero la riduzione a Paese turistico» e la «piccola impresa che invece, con la sua refrattarietà all’innovazione e il fabbisogno di manodopera poco qualificata, è oggi semmai tra i principali problemi» (vedi qui).
Sarebbe storicamente scorretto affermare che una simile raccapricciante visione sia provenuta negli anni solo dal M5S o solo dalla Lega. Anzi, il turismo è stato individuato spesso come la naturale rete di protezione che avrebbe protetto almeno parzialmente l’Italia dai colpi della deindustrializzazione. Se è vero che nelle leggende c’è sempre un fondo di verità, in questo caso il fondo veritiero è che l’Italia ha effettivamente un potenziale turistico, tanto culturale quanto ambientale, che non molti Paesi possono vantare.
Inoltre, parlando degli effetti economici del Covid-19, economie con maggior presenza del settore secondario non sembrano passarsela meglio.
Il nodo, però, riguarda il tipo di turismo e di città. La trasformazione delle città d’arte in parchi a tema, oltre ad essere moralmente indisponente – «la fila coi panini davanti ai musei mi fa malinconia», cantava Giorgio Gaber –, ha prodotto una grave devastazione del tessuto urbano. Il vuoto lasciato nei centri storici dall’espulsione dei residenti è stato infatti riempito da figure “di passaggio” (turisti, studenti universitari, immigrati irregolari) il cui impatto è stato distruttivo per lo stesso ordine pubblico (casi celebri: Perugia, Firenze).
Certamente, il fenomeno è stato foraggiato dalla crescente disponibilità di tratte aeree a basso costo. In un contesto economico in cui l’Italia non era in grado di mantenere una stabile situazione produttiva si capisce che le amministrazioni locali con maggior potenziale turistico non abbiano storto il naso davanti alla possibilità di massimizzare le entrate.
Ora però, dato che il turismo è uno dei settori più eccezionalmente colpiti dalla recessione attuale, se nella frase «sfruttiamo il Covid-19 per uscirne migliori» ci si crede davvero sarebbe d’uopo lavorare a un rilancio industriale anche nelle zone turistiche nonché a una reintegrazione dei centri storici nel tessuto cittadino.
Alessandro Zabban
Sfortunatamente, l’appello venuto da più parti di sfruttare la crisi per ripensare il nostro modo di vivere non sta godendo di grande fortuna. L’idea di un turismo sostenibile, sensibile alle esigenze di vita dei cittadini che abitano i luoghi, appare già messa in secondo piano rispetto all’esigenza ansiosa e frenetica dei Paesi di riaprire per attrarre lo stock di turisti più ampio possibile.
Questo esito deludente non può però stupire. Ripensare il turismo è infatti possibile, a patto però che venga profondamente trasformato l’assetto socio-economico che lo sorregge. Il turismo non è un mero fenomeno culturale ma innanzitutto un meccanismo consolidato di messa a profitto del tempo libero, uno dei settori industriali cardine del capitalismo globale avanzato. Ripensarne le logiche non può dunque avvenire senza rivoluzionare le logiche economiche che lo plasmano.
Non è un caso che tutti i tentativi di proporre un turismo alternativo o esperienziale non abbiano dato le risposte sperate, dato che sono sempre offerte in un ottica di scelta individuale. Si può stare alla larga dagli spazi chiusi del turismo più standardizzato e massificato, ma difficilmente ci si può sottrarre dall’entrare negli ingranaggi dell’infrastruttura turistica. Spesso anzi, questa forma di turismo, produce delle vere e proprie aberrazioni, come nel caso di quelli che in nome dell’autenticità e del contatto coi locali utilizzano piattaforme distruttive del tessuto sociale come airbnb. Viviamo in una situazione in cui il Capitale, nelle vorace ricerca di nuovi margini di profitto, sta per inaugurare il turismo spaziale per miliardari, incurante di tutte le contraddizioni sociali, economiche ed ecologiche che si moltiplicano nel mondo. Solo una trasformazione radicale dei rapporti produttivi può portare a un vero ripensamento del turismo.
Immagine da www.piqsels.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.