Sabato si sono aperti, al Casino del Bel Respiro di Villa Doria Pamphilj, gli Stati generali dell’economia convocati da Giuseppe Conte e dedicati, specie a partire da lunedì, alla discussione sulle linee di intervento per le politiche di ricostruzione economica post-Covid. La scelta si è rivelata controversa ma costituisce in ogni caso un momento cruciale per comprendere e definire le politiche pubbliche a venire o se non altro l’orientamento governativo.
Leonardo Croatto
“All’ordine Facite Ammuina” potrebbe essere già una prima ed esaustiva valutazione su questi Stati Generali di non si è capito bene cosa, presso i quali dovrebbero elaborarsi imprescindibili e catartiche Riforme Strutturali che anche questa volta finiranno per essere una riedizione dei soliti teoremi liberisti che oramai anche il cittadino più distratto rispetto alle cose della politica è capace di recitare a memoria. Il piano Colao in questo senso promette già benissimo.
E’ più o meno da tutti gli anni ’80 che le stesse ricette vengono proposte a più riprese, sempre accompagnate dalla traduzione in economia del principio cristiano secondo cui attraverso il supplizio si dovrebbe giungere alla redenzione: basterà infliggere ai più deboli un periodo di sofferenza di durata appropriata e l’economia del paese ripartirà di slancio!
Della retorica delle riforme, alla luce di altri stati generali della scuola (o qualche altro nome del genere che adesso non ricordo) targati Matteo Renzi scrissi in un vecchio articolo. Quel contenuto può con poco sforzo adattarsi anche all’oggi, ma, con spirito di servizio, voglio offrire anche io un contributo per l’analisi dei problemi della nostra economia: secondo l’OCSE il nostro paese spende meno dell’1,5% del PIL in ricerca, la Francia circa il 2,3% del PIL, la Germania oltre il 3%; secondo i dati della stessa organizzazione in Italia lavorano circa 200.000 ricercatori, in Francia circa 400.000 e in Germania circa 600.000. A questi dati possiamo aggiungere ad esempio che l’italia spende meno dell’1% del PIL per l’educazione terziaria, la Germania circa l’1,2% del PIL, la Francia un po’ sopra l’1,4%.
Distanze enormi tra l’Italia e gli altri paesi europei si registrano anche sulla spesa complessiva per l’educazione, ma nonostante questo durante la crisi per salvare la bollitissima Alitalia (10.000 dipendenti) è stato stanziato il doppio rispetto a quanto previsto per il sistema dell’istruzione (ben oltre 1 milione di dipendenti).
Ovviamente ci sono anche statistiche in cui eccelliamo: uno studio dell’anno scorso (su dati del 2015) commissionato dal Gruppo dell’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici al Parlamento Europeo alla London University stimava in circa 191 miliardi l’evasione fiscale in Italia, seconda la Germania con 125 miliardi evasi e terza la Francia con 117 miliardi (Rapportare al PIL rende il confronto ancora più disastroso: la Germania ha un PIL doppio rispetto al nostro!).
Ecco, non mi pare che ci sia bisogno di troppa elaborazione per capire dove stanno i problemi, direi anzi che ce li abbiamo sotto gli occhi da un bel po’ di tempo.
Poi certo, perché investire in istruzione e ricerca quando puoi precarizzare il lavoro? si son sempre ottenuti risultati fenomenali per l’economia in quel modo, perché non ripetere quelle ricette che hanno funzionato sempre così bene ogni volta che si son provate?
Piergiorgio Desantis
Non è più una tendenza ma è un fatto notorio che, ormai, l’Italia abbia perso la caratteristica del proprio sistema fondato sulla centralità parlamentare. La costituzione reale ha sopravanzato (già da lungo tempo) la costituzione di carta, mettendo al centro organi esterni oltre quelli previsti in costituzione appunto. Dopo la sbornia degli anni ’90 per l’imprenditore che si è fatto tutto da sé, siamo passati al culto delle eccellenze, legate anch’esse, quasi pedissequamente, al mondo delle imprese. Dopo il piano Colao, ecco gli Stati generali dell’economia, iniziativa voluta principalmente dal Presidente del Consiglio e dal M5s. Lasciando stare l’eco nominalistico (che pur c’è) a un passato a tratti inquietante, continua questa sorta di concertazione 2.0 del governo in carica per puntellare sé stesso e le politiche di uscita dalla profonda ed ennesima crisi in cui siamo inseriti. Quello che colpisce è la segretezza che avvolge contenuti degli incontri, mentre sappiamo tutto della location degna di una società dello spettacolo di debordiana memoria. Tutto è lasciato al fideismo per il Presidente del Consiglio che, infatti, è l’unico che può comunicare con l’esterno e che, per il momento, si affida a dichiarazioni piuttosto generali legate a un rilancio dell’Italia stessa. Le politiche per la rinascita sono ancora piuttosto confuse, tranne che per ciò che riguarda il tamponamento sociale quali la cassa integrazione o il reddito di emergenza. “A pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso si indovina” diceva un controverso decano della Repubblica italiana ed, infatti, l’iniziativa governativa sembrerebbe proprio un anticipo di una possibile campagna elettorale autunnale e la road map per un programma ancora piuttosto fumoso e contraddittorio.
Jacopo Vannucchi
Il 2 dicembre 2012 Renzi perse contro Bersani il ballottaggio delle primarie di centrosinistra e qualcuno coniò un’interessante rappresentazione: «Finalmente ha fatto qualcosa di sinistra: ha perso». La frase poteva mettere d’accordo avversari (“è di destra, quindi perdendo ha aiutato la sinistra”) e sostenitori (“senza di lui la sinistra continuerà a perdere”).
Il termine “Stati generali” mi coglie sempre con un misto tra noia e stizza, perché è dal 1998 che ne sento parlare a sinistra. Ultimamente, nel 2012 li chiesero Di Pietro e Vendola (en passant, cosa fanno ora?), nel 2019 li ha convocati Speranza ma evidentemente non bastarono perché due mesi dopo Bersani chiese una “grande assemblea” (con un tavolo, un percorso, un miniprogramma, ecc.). E non si contano i sinonimi.
Per questo ho particolarmente apprezzato la strigliata di Orfini, il quale ha ricordato che la convegnistica è materia da opposizione, mentre quando si è al governo si governa e se si deve discutere lo si fa in Parlamento. Tanto più che agli Stati generali dell’economia sembrano più che altro – ma potrebbe essere diversamente? – una passerella di nomi noti e un’elencazione vuoi di titoli condivisibili la cui declinazione resta irrisolta, vuoi delle consuete lamentazioni datoriali.
L’opposizione ha avuto buon gioco a rispondere di essere disposta al confronto solo in sedi istituzionali, tanto più che Conte se la era già inimicata con il protratto ricorso ai DPCM.
L’impressione insomma è che il Presidente del Consiglio si serva dell’occasione per rendere meno instabile la propria posizione all’interno della maggioranza, difendendosi da pressoché tutti i suoi partiti e dalla concorrenza del Ministro Gualtieri. Conte, «furbissimo avvocato di provincia» secondo la recente definizione di Pippo Baudo, ha già più volte tradito il gusto per il retorico e l’inclinazione all’ampollosità. Ora dovrebbe semmai preoccuparsi di imparare dalle disavventure di uomini a cui è stato paragonato – Prodi, che fu impopolare e cadde nonostante i buoni risultati economici e occupazionali – o con cui più si è scontrato – Salvini, che non ha saputo capitalizzare la sua pur vasta popolarità.
Alessandro Zabban
Da anni ci si sente ripetere che l’Italia è malata e ha bisogno di riforme strutturali per ripartire. Ciclicamente tutte le forze politiche hanno una formula magica per risolvere il problema dell’evasione fiscale, della corruzione o dell’inefficienza della pubblica amministrazione ma alla fine le proposte concrete sono condoni, tagli lineari alla spesa pubblica o privatizzazioni che hanno ulteriormente aggravato la condizione di sofferenza socio-economica del Paese. Quello che inquieta di questi Stati Generali è proprio il fatto di essere del tutto conformi a questo modello fatto di vaghi impegni e di ricette vecchie di trent’anni che quando applicate si sono rivelate del tutto fallimentari. La presenza di esponenti di spicco dell’Unione Europea non fa che consolidare questo presentimento. Nonostante le forze centriste si siano spesi in elogi trionfalistici sul’operato dell’Unione Europea in questi mesi, in realtà sappiamo tutti che continua a essere consumata e divisa dalle stesse logiche egoistiche di prima e che il negoziato sul Recovery Fund rischia di indebolire enormemente, anche per una questione di tempistiche, lo strumento cardine sul quale l’Italia progetta la sua ripartenza. I programmi di austerità a seguito della crisi del debito sovrano ci hanno dato un assaggio di cosa comporta una situazione in cui ricette neoliberiste e pochi soldi stanno insieme.
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.