Sono decisamente lontani i tempi dei dibattiti all’interno del mondo antifascista, quando si organizzavano i presidi per contestare le “marce” dell’estrema destra. La galassia fascista rendeva onore alle vittime del comunismo (perché così le ha sempre presentate), mescolando corpi e vicende, per riabilitare i franchi tiratori e i “ragazzi di Salò”. A sinistra, tra i movimenti e le diverse organizzazioni, si dibatteva su come contrastare con maggiore efficacia questa operazione di riscrittura della storia. Il dubbio? Fornire visibilità, con delle risposte di piazza, a manifestazioni poco partecipate.
Oggi contestare le ricostruzioni di Fratelli d’Italia rischia di non essere neanche possibile.
La Lega è al governo e il partito guidato da Giorgia Meloni non sta mettendo in discussione l’asse del centrodestra: possiamo quindi dire che larga parte della galassia fascista, assorbita da queste due realtà, è stata definitivamente riabilitata nel sistema politico e istituzionale.
Il Giorno del Ricordo è a tutti gli effetti la risposta al 25 aprile, più che un’integrazione al Giorno della Memoria. Già era grave ignorare la differenza tra i contesti storici del Terzo Reich e del conflitto sul confine orientale, ma finire per banalizzare tutto il Novecento italiano era difficile da pensare fino a pochi anni fa.
Le partigiane e i partigiani purtroppo stanno scomparendo. Le testimonianze dirette si sono disperse e il campo progressista ha scelto di ammiccare all’anticomunismo, provando a gestire il potere in nome dell’antiberlusconismo – prima – e dell’argine contro Salvini – dopo. Salvo poi finire per governare con entrambi i “mostri”, come di fatto stava già facendo in Europa da oltre un decennio.
Il fascismo si è nascosto e camuffato a lungo. Ora può riemergere con nuove vesti, senza rinnegare alcunché di quella che ritengono essere una storia di resistenza e sacrifici. A difesa della tradizione e dei confini, suggerendo a chi sta male di prendersela con chi sta peggio, proclamando un regime di scarsità in cui ci si afferma riuscendo a sopraffare un altro pezzo di umanità.
Le numerose pubblicazioni editoriali – in particolare quelle curate da Laterza – sono sicuramente strumenti utili, ma sono indice di una grave situazione di retroguardia.
Il Consiglio comunale di Firenze, per il Giorno del Ricordo, ha accettato di invitare Emanuele Merlino, in qualità di Presidente del Comitato 10 febbraio e vice presidente dell’associazione nazionale dalmata. Tra le altre cose si tratta di un dirigente di Fratelli d’Italia, che pubblica con Ferrogallico (casa editrice di estrema destra) e non disdegna la partecipazione a iniziative di CasaPound. Si è trattata di un’abile azione della destra istituzionale, coperta da un Giorno del Ricordo sempre più piegato da un disegno politico preciso: sdoganare il fascismo. Lo si equipara al comunismo, attribuendo a questa seconda categoria le caratteristiche di un’ideologia straniera (slava), appesantita dalle vicende storiche dell’Unione Sovietica.
Il fascismo italiano era brutto? Forse ha sbagliato. Ma erano errori italiani. In più ha perso la seconda guerra mondiale, quindi ha già pagato pegno. Inoltre è quasi sparito. Non così il comunismo, spettro evocato da anni, nonostante nessuna forza politica comunista sia più presente in Parlamento dal 2008.
Questa indecenza fa parte del discorso pubblico ed è pacificamente accettata implicitamente dal sistema di informazione e da quello istituzionale.
In alcune realtà locali si è iniziato a mettere in discussione l’intitolazione di luoghi toponomastici a Norma Cossetto. È ormai palese a cosa serva il Giorno del Ricordo, accettato con imbarazzo o indifferenza dal centrosinistra, e brandito in modo eversivo dalle destre.
La memoria ha una funzione diversa dalla storia. Dovrebbe servirci a essere migliori. Per questo sono importanti le campagne con cui si denunciano i crimini del colonialismo italiano, guardando a chi non è considerato italiana o italiano, per il colore della pelle o il luogo di nascita.
Può apparire una battaglia persa quella tesa a evidenziare i crimini del proprio Paese, rispetto a una retorica tesa a consolarci sul fatto che saremmo un “popolo” di brava gente, che tutto sommato è meno peggio di altri. Ci sono però tante storie importanti da raccontare. Quelle delle partigiane e dei partigiani. Di chi ha resistito, quando questo significava mettere a rischio la propria vita. Ci sono le storie delle comuniste e dei comunisti d’Italia. A partire dai volti sconosciuti. Si può partire dalla persona che in famiglia, nel corso del Novecento, ha militato per un mondo migliore, contribuendo alla nascita di una casa del popolo, o partecipando alle lotte per i diritti di cui tutte e tutti godiamo (almeno quelli che non sono stati demoliti nel XXI secolo), arrivando all’episodio locale in cui si è caduti per lottare per la nostra libertà.
Una storia preziosa è quella di Lorenzo Orsetti. Giustamente lo si chiama partigiano di Rifredi. Perché ancora oggi ci sono forme di oppressione e di fascismo da combattere.
Accettare la complessità della storia può voler dire uscire dai miti costituenti: l’Armata Rossa e gli eserciti “alleati” si sono macchiati di crimini verso la popolazione civile mentre la “liberavano”? Esistono numerosi episodi studiati e raccontati. Le organizzazioni resistenti si sono sparate tra loro, sul confine orientale italiano, alla fine della seconda guerra mondiale? Lo testimonia anche Pasolini, quando scrive di come è morto suo fratello.
L’antifascismo non è un’armata di amichevoli e felici Teletubbies. È composta da un’umanità resistente e piena di contraddizioni, ma collocata dalla parte giusta delle lotte e che ovviamente può commettere errori.
Passato il 10 febbraio 2021, occorre però contestare apertamente ciò che è diventato il Giorno del Ricordo, dicendo chiaramente che lo si è voluto così. Quindi o viene cambiato radicalmente nel suo significato, oppure deve essere cancellato. Altre opzioni non esistono. Lo sdoganamento del fascismo non può essere mitigato, così come il rigurgito delle varie forme di razzismo a cui continuiamo ad assistere.
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Classe 1988, una laurea in filosofia, un dottorato in corso in storia medievale, con diversi anni di lavoro alle spalle tra assistenza fiscale e impaginazione riviste. Iscritto a Rifondazione dal 2006, consigliere comunale a Firenze dal 2019.