La manifestazione antirazzista Get up, Stand Up! Stand up for your rights, organizzata da una serie di associazioni tra cui in prima fila la Coalizione Internazionale Sans Papier e Migranti (CISPM), il sindacato USB e Potere al Popolo, si è tenuta il 15 Dicembre 2018, sollevando a livello mediatico un minimo di attenzione principalmente per il tentativo di annullamento da parte della questura e per le esecrate alterazioni che avrebbe causato alla circolazione dei notoriamente efficientissimi mezzi pubblici romani.
Questa scarsa attenzione è tanto più imbarazzante se si considerano gli effetti drammatici che la legge n. 132/2018, approvata il 29 Novembre 2018, sta avendo ed avrà sui cittadini extracomunitari residenti in Italia; l’opposizione al cosiddetto “decreto sicurezza”, ancora prima di una battaglia politica, è una battaglia di banale buonsenso e basilare umanità.
Dispiace dunque aver riscontrato la sola presenza di Potere al Popolo, Partito della Rifondazione Comunista e Partito Comunista Italiano tra le forze di opposizione che dichiaratamente si rifanno a valori progressisti, se non ad una riflessione di sinistra. Se l’assenza del Partito Democratico, ancorché rattristante, è facilmente interpretabile alla luce della sostanziale contiguità del “decreto sicurezza” con le politiche securitarie inaugurate nell’ultima legislatura, meno comprensibile risulta l’assenza del Movimento Democratico e Progressista e di Sinistra Italiana.
Questo non ha tanto a che fare con la speranza, tendenzialmente vana, di ripartire dall’opposizione alle politiche repressive e discriminatorie del governo gialloverde per ricostruire un’unità di sinistra (per quanto, a monte di qualsiasi riflessione strategica e di analisi raffinata, ad un livello viscerale e fondamentale continuo ad essere convinto di quanto emerso alla terza bottiglia di bianco discutendo con un amico e collega, lui elettore di SEL, io all’epoca del PRC: i comunisti devono stare insieme); ha a che fare, piuttosto, con il fatto che il rischio di una svolta autoritaria è talmente forte che la necessità di opporsi dovrebbe passare davanti alle strategie politiche, di breve o lungo termine, ed utilizzare qualsiasi mezzo lecito, prima di essere ridotti a dover impiegare quelli illeciti. È con questa idea in mente – l’idea di portare una voce in più in piazza contro una legge autoritaria e discriminatoria – che, pur essendo un sostenitore alquanto tiepido e già parzialmente deluso dell’esperienza di PaP, ho ritenuto opportuno partecipare alla manifestazione, e pur lasciando un’appropriata analisi politica a qualcuno che ne abbia le competenze, non ritengo inopportuno offrire due brevi commenti a caldo.
Il primo commento, decisamente critico, riguarda l’aperto riferimento da parte della piazza al movimento francese dei gilets jaunes. Non è difficile notare, astraendo in maniera minima dalla narrazione di parte – da qualunque parte sia – una sostanziale contiguità tra il movimento francese dei gilets jaunes e quello, italiano e apparentemente caduto in un meritato dimenticatoio, dei forconi: la retorica dei cittadini stufi da un establishment corrotto e servo della finanza internazionale, l’assenza di un progetto politico di lungo termine, l’assenza di una teoria politica ed economica a monte delle richieste. È appunto la vaghezza di questo tipo di rivendicazioni che rende questo tipo di movimento “di popolo” estremamente permeabile a infiltrazioni di estrema destra – quando non sia direttamente organizzato da esse, come nel caso dei forconi. Nonostante il movimento in questione non si sia dimostrato, fin dall’inizio, particolarmente sensibile nei confronti dei diritti dei migranti, al momento sembra che i partecipanti siano quasi equamente suddivisi tra simpatizzanti di France Insoumise e del Front National, contribuendo ad alimentare la confusione. Apparentemente le associazioni che hanno organizzato “Get Up Stand Up” non hanno resistito alla tentazione di cavalcare una tigre di colore incerto e cangiante – ma è a mio vedere un errore, che rischia di alimentare delle confusioni peraltro già esistenti (“sei per l’autarchia”, si sentì dire una mia amica dopo aver dichiarato che avrebbe votato PaP) e di sostenere l’erronea idea che il nemico del nostro nemico è nostro amico. Certo, come militanti di sinistra che si riconoscono nel marxismo non possiamo accettare una narrazione politica che vede il capitalismo come unica scelta possibile; ma al tempo stesso, non possiamo considerare alleati eversori di destra che mirano a ricostruire, in genere con l’aperta connivenza della malavita organizzata, un’oligarchia basata sulla sistematica discriminazione e sulla marginalizzazione di migliaia di persone. Se non possiamo che criticare governi che celano un’impostazione economica di destra iperliberista sotto una sottile coperta di diritti civili, a maggior ragione non possiamo considerare accettabile la possibilità di condividere una lotta con un’estrema destra che non solo sostiene idee diametralmente opposte alle nostre, ma minaccia quotidianamente i minimi diritti e la sicurezza personale di gran parte di noi. Il tentativo di appropriarsi di simboli ambigui rappresenta in un certo senso l’esatto opposto della necessità (insorta tra la fine del diciannovesimo e l’inizio del ventesimo secolo) di trovare un simbolo universale, che unisse a livello ideologico – bandiera rossa, bandiera nera, scudo crociato; simboli “nuovi”, senza una storia pregressa cui sentirsi legati, possono sembrare rassicuranti e liberatori – si pensi ad esempio al tentativo di liberarsi del peso del socialismo reale eliminando falce e martello; ma al tempo stesso sono anche forieri di un’inevitabile ambiguità politica, potenzialmente dannosissima in un momento in cui abbiamo bisogno, come sinistra, di fare chiarezza – abbiamo tutti visto dove ci hanno portati il dilagarsi e il confondersi delle idee di sinistra di fronte ad un prospettivo tornaconto elettorale che, peraltro, non c’è mai stato.
Il secondo commento è invece decisamente positivo, e prende le mosse non solo dalla partecipazione di massa di lavoratori africani (dopotutto prevedibile, trattandosi di una manifestazione antirazzista), ma anche dal ruolo centrale nella manifestazione assunto dal sindacalista USB italo-ivoriano Aboubakar Soumahoro. Qui è necessaria una piccola parentesi: nel corso degli anni la sinistra extraparlamentare italiana ha mostrato una progressiva diffidenza nei confronti dei politici di professione, e una speculare tendenza a cercare un messia politico in personaggi che svolgevano un’altra professione, tra cui giornalisti, giuristi e sindacalisti hanno avuto la parte del leone. Ora, non solo è implausibile che una singola figura carismatica riesca a recuperare con uno schiocco di dita una cultura di sinistra ridotta ai minimi termini da trent’anni di narrazione assolutamente tossica, ma il miglior risultato di questa impostazione è perdere un ottimo sindacalista (o giornalista, o giurista) per ottenere un mediocre parlamentare. Non penso che Soumahoro possa salvare la sinistra, e non penso che il compito di Soumahoro sia salvare la sinistra: il compito di Soumahoro è combattere per i diritti dei lavoratori, e questo lo sta facendo benissimo. Tuttavia la posizione di Soumahoro può aiutarci a riprendere una direzione in cui ci saremmo dovuti incamminare da tempo, e che pure sembriamo aver perso; questo, beninteso, a patto che smettiamo di aspettare che qualcun altro arrivi a rifondare la sinistra e ricondurla a vittoria, e iniziamo a collaborare, a fare ognuno la sua parte, per ricostruire quella cultura di sinistra che al momento è allo sbando più totale. Soumahoro, essendo nero, di sinistra e intelligente, non può fare che paura a Salvini e quelli come lui, ma la sua rilevanza non si ferma a livelli simbolici. Mentre la sinistra ha sostenuto negli ultimi vent’anni la necessità di supportare i diritti civili delle minoranze in nome di un generico umanitarismo, Soumahoro legge l’attenzione ai diritti delle minoranze alla luce di una teoria marxista, come fondamentale per la costruzione di un fronte comune dei lavoratori, in aperta opposizione tanto al capitale che vive del loro sfruttamento, quanto all’eversione di destra, che rappresenta la sua mano armata. Le posizioni di Soumahoro – e la convergenza tra lavoratori migranti e italiani – sono ciò da cui dobbiamo ripartire non solo per costruire un fronte di classe, ma anche per recuperare l’idea dell’internazionalismo contro la retorica sovranista del “popolo” definito su base etnica e nazionalista che portano avanti con successo le destre estreme. In questo senso, l’incentivazione della condivisione delle lotte è probabilmente la strategia migliore per rallentare e disincentivare la rapida fascistizzazione della società italiana – e per disinnescare le retoriche di destra, e in questo senso ogni partito che si definisca di sinistra dovrebbe prendere parte a questo percorso.
Immagine liberamente ripresa dalla pagina Facebook dell’Unione Sindacale di Base
Joachim Langeneck, assegnista di ricerca in biologia presso l’Università di Pisa, nasce a Torino il 29/11/1989. La sua ricerca si concentra principalmente sullo studio di processi evolutivi negli invertebrati marini, con sporadiche incursioni nell’ambito dell’etica della scienza, in particolare a livello divulgativo.