Pubblicato per la prima volta il 3 gennaio 2016
Anche considerando, nelle elezioni regionali francesi, l’aggregato nazionale del primo turno, che ha visto le liste di sinistra e centrosinistra ottenere la maggioranza relativa con il 36% dei voti, il consenso al Front National è tale da risultare, più che un eufemistico campanello d’allarme, un vero e proprio boato: non per le sue concrete o meno possibilità di vittoria quanto per il problema democratico che rappresenta. Tale problema era del resto già evidente quando il FN veleggiava per anni sul 10-15%, o probabilmente fin da quando gli è stato concesso di presentarsi alle elezioni.
All’indomani del primo turno, con le parziali affermazioni del FN in alcune regioni, fu detto che la sinistra perderebbe “se fa la destra” – non si capisce se il riferimento è alle misure securitarie successive agli attentati di Parigi, a una imprecisata poca combattività contro i dogmi finanziari tedeschi, oppure ad entrambe.
Specularmente, il FN, oltre a radicalizzare ancor più i propri toni fascisti e razzisti come risposta al terrorismo, si è appropriato di alcune battaglie tipicamente associate con la sinistra, come l’abbassamento dell’età pensionabile o l’aumento del salario minimo.
La risposta alla controversa domanda se l’elettorato premi le proposte di sinistra discende, ovviamente, anche da una definizione del termine “sinistra”.
A questo riguardo una delle sciagurate tendenze della discussione politica occidentale sembra oggi il parlare molto di destra e sinistra e poco di concrete visioni del mondo. Legato al parlare molto di sinistra e poco di socialismo è l’equivoco che la sinistra sia il partito dei trasferimenti economici dallo Stato ai ceti medi e popolari. Sicuramente il socialismo ha come obiettivo non meri determinati trasferimenti di ricchezza, bensì lo sviluppo dell’uomo.
La differenza appare evidente considerando due fatti:
1) il Front de Gauche – brutalizzando e semplificando all’osso – propone la fine dell’austerity e benefici per tutti i poveri, il Front National propone la fine dell’austerity e benefici solo per i poveri che votano (i migranti, infatti, devono essere respinti; un giorno, chissà, potrebbero essere esclusi anche gli ebrei);
2) il Front de Gauche – sempre brutalizzando – chiarisce che lo Stato trarrà il danaro necessario alla politica sociale da una tassazione sui grandi capitali, il Front National appare molto vago e in realtà ispirato a un istinto antitasse (si ricordi che Le Pen mosse i primi passi nel poujadismo).
La filosofia dell’elettore del FN sembra dunque essere “voglio stare bene io e male gli altri”. Il risultato è che il Front de Gauche (incluse le liste del PCF ove presenti da sole) totalizza il 4% e il Front National il 28%, drenando consensi non solo dalla radicalizzazione di elettori di destra ma anche dalla conversione al fascismo di elettori di “sinistra” (secondo una dinamica già verificatasi in Italia, nel Regno Unito, in Polonia…).
Questo equivoco, questa mancata coscienza, porta non solo elettori di “sinistra” a votare per la destra o la destra estrema, ma anche molti analisti a leggere malamente il risultato.
Per ciò che riguarda la popolazione, scomparsa la memoria del terrore nazista gli elettori diventano, da un lato, meno consapevoli dei rischi che si corrono votando per l’estrema destra e per il rovesciamento del sistema politico democratico; dall’altro, meno in grado di riconoscere nel nuovo fascismo il volto di quello vecchio. Siamo così di fronte al tramonto dell’antifascismo?
Si pensi ad una tendenza che interessa tutti i Paesi dell’Occidente: una delle più forti divisioni politiche nei Paesi capitalisti sviluppati è, al momento, quella tra “insider” e “outsider”. Questo è particolarmente evidente, ad esempio, negli attuali travagli in cui versa il Partito repubblicano americano: Trump e Carson, che non hanno mai ricoperto alcun incarico politico, raccolgono al momento il 45% delle intenzioni di voto, che diventa 65% aggiungendo Cruz, che è sì senatore ma rappresenta l’opposizione irriducibile della destra interna. Secondo il gruppo di VoteView, che si occupa di ridurre a variabili numeriche lo spettro politico americano, l’opposizione insider/outsider ha ormai soppiantato i diritti civili come “seconda dimensione” dello spazio politico cartesiano (la prima restando la politica economica).
Molti studiosi hanno messo in rilievo come una simile opposizione, e il collegato successo dei percepiti outsider, interroghi la categoria di populismo e non quella di estrema destra (Manuel Valls, per contrasto, parla di estrema destra e non di Front National). L’estrema destra proporrebbe infatti una visione elitaria, autoritaria e gerarchica, immaginando una nazione organico-funzionalista, ovvero stratificata e diversificata al proprio interno con una militaresca direzione centrale. Il populismo, al contrario, immaginerebbe una nazione sostanzialmente egualitaria e naturalmente indifferenziata, leggendo le stratificazioni istituzionali come indebiti ostacoli al pieno svolgersi del dominio popolare.
È – si immagina – seguendo un simile schema (considerando cioè il FN come “populista” e non fascista) che Enrico Letta auspicò, tra il primo e il secondo turno, la vittoria del Front National in almeno una regione. La sua argomentazione era che il governare avrebbe tolto al FN “l’alibi” di essere fuori dal sistema e di poter scaricare ogni colpa sui partiti di Sarkozy e Hollande.
Per tornare alla domanda sul tramonto dell’antifascismo, il magistrato Falcone ebbe a dire che la mafia, essendo un prodotto storico umano, come tutte le cose umane avrà una fine. Ciò vale ovviamente anche per il fascismo. Le lotte acutissime che opposero cesariani e ottimati oltre venti secoli fa, o quelle più recenti tra monarchici e bonapartisti in Francia, hanno suscitato maree enormi di passione e di sangue ma sono oggi consegnate ai libri di Storia.
Si ricordi però la definizione terzinternazionalista del fascismo: la dittatura aperta degli elementi più reazionari e più imperialisti del capitale finanziario. Il fenomeno veniva così connotato su basi di classe e non sulle sue peculiari determinazioni formali politico-organizzative. Inoltre a chi conosce il terreno sociale di cui si nutrirono le radici del fascismo in Europa, e specialmente in Italia e Germania, non sfuggirà che l’estrema destra vagheggiata dai politologi è esistita poco più che in tre aree: nei libri dei politologi, nelle formulazioni di intellettuali fascisti isolati in torri d’avorio, nei deliri di sparuti gruppi terroristici.
Il voto all’estrema destra proviene da e condivide le stesse motivazioni del populismo, o per meglio dire i politologi sono troppo generosi nel riconoscere alla realtà del populismo (come del fascismo) le articolate riflessioni elaborate da pensatori e studiosi. Del resto già nella riflessione marxista sul fascismo dell’era tra le due guerre si parlava di “demagogia sociale” (oggi si direbbe: “populismo”) per definire gli atteggiamenti di sinistra, ma privi di ogni contenuto classista, adottati dal nazismo tedesco.
Chi vota per il FN o per il M5S, infatti, non prefigura né una società evoliana né una compiuta democrazia a rete come da ideologia del blog di Grillo. Tutto ciò che esula dal loro portafoglio, infatti, è un fastidio: essi esprimono semplicemente una rabbia sociale costruita su anni di rancore verso lo Stato e di complessi di inferiorità verso entrambi gli attori organizzati del conflitto di classe: i padroni, invidiati ed ammirati per la ricchezza, e i proletari, visti con fastidio in quanto poveri ma anche in quanto organizzati e perciò troppo influenti nelle negoziazioni sociali rispetto a quanto “dovrebbe” loro spettare.
Ciò che quindi interessa ai fini di una definizione non è né il programma politico né la base sociale di militanti, bensì la tendenza oggettiva e l’oggettivo risultato nei termini sopra richiamati:
a) le posizioni di classe
b) il metodo di governo
c) le posizioni dell’imperialismo.
Su quest’ultimo punto è evidente che l’avanzata delle formazioni fasciste rafforzerebbe l’imperialismo nelle sue forze sia centripete (grandi fondi d’oltreoceano potrebbero mangiarsi con poca fatica interi Stati europei) sia centrifughe (in un’Europa balcanizzata si scatenerebbe una corsa al riarmo).
Da ciò appare ovvio come la lotta contro il fascismo, lungi dall’essere superata, proprio ora si intensifica. Da bambino ritenevo poco più che retorica l’appello a non dimenticare i Lager “perché ciò che è accaduto potrebbe ripetersi”: ero certo che l’esempio fosse talmente forte da impedire qualsiasi ripetizione. Mi sbagliavo. È proprio con lo svanire nel tempo dei protagonisti e della memoria di quel periodo che si apre il deserto culturale e muoiono alcune difese (fermo restando che la determinante ultima del fascismo si afferma nel mondo delle lotte economiche reali; tuttavia senza il ricordo dei Lager è molto più facile convincere un 25% di elettori a votare per l’abolizione per via costituzionale di tutti i partiti come chiesto da Giuseppe Grillo).
E oggi è proprio il terreno economico a reclamare l’emergere di una potenza continentale europea. Lo Stato nazionale risulta infatti troppo debole per fare fronte alle imponenti masse di capitale globalizzato. In un simile contesto lo stato sociale nazionale è tecnicamente indifendibile: per finanziarlo occorre la leva fiscale, ma qual è il potere fiscale di uno Stato europeo di fronte a imprese il cui fatturato è superiore al PIL di molte nazioni?
L’estrema destra ha così un’ottima possibilità: difendere a parole lo stato sociale e difenderne fattivamente ciò che lo mina, cioè appunto il suo carattere nazionale. In questo modo l’estrema destra è in grado di svolgere il proprio compito, ovvero spianare la strada al predominio del capitale monopolistico sui popoli europei. (Non per niente Valls ha ammonito che la vittoria del FN avrebbe portato la Francia alla rovina economica, che sarebbe stata pagata dai ceti deboli.)
L’antifascismo contemporaneo deve quindi di necessità coniugare alla propria posizione politica uno sguardo continentale. Singole lotte entro i confini nazionali, come purtroppo vediamo in tutti i Paesi d’Europa, dalla Scandinavia alla Spagna, non si risolvono in altro che in pestare i piedi in una pozzanghera, contribuendo a imputridire l’acqua e favorire così i partiti fascisti (o di “demagogia sociale”…).
Immagine: Jérémy-Günther-Heinz Jähnick / Lille – Meeting de Marine Le Pen pour les élections régionales, le 30 novembre 2015 à Lille Grand Palais (39) / Wikimedia Commons / GFDL-1.2
Nato a Firenze nel 1989. Laureato in Scienze storiche (una tesi sul thatcherismo, una sul Risorgimento a Palazzuolo di Romagna), lavoro nel settore dei servizi all’impresa. Europeista e di formazione marxista, ho aderito a Italia Viva dopo quattordici anni in DS e PD.