Fin da tempi antichi, il Mugello e i crinali appenninici sono stati luogo di passaggio tra pianura padana e Toscana. Ne sono prova i recenti ritrovamenti, attribuiti alla Flaminia militare, presso il passo della Futa, su cui ancor oggi si dibatte.
Nel XIX secolo, con la comparsa delle strade ferrate, iniziarono i progetti per collegare Firenze con l’Emilia e la Romagna. Oltre al collegamento con Bologna, per cui fu decisa la costruzione nel 1851 della ferrovia Porrettana, si era definita l’esigenza di raggiungere Marradi e Faenza. Il dibattito parlamentare su questa ipotesi fu acceso e la ferrovia fu infine inaugurata nell’aprile del 1893. I treni che percorrevano la linea erano tutti trainati da locomotive a vapore della Rete Adriatica.
Diversamente dalla Porrettana, che ha il suo culmine altimetrico nella stazione di Pracchia, la ferrovia Faentina raggiunge la quota più elevata nella galleria di valico degli Allocchi. Era quindi necessario un impianto di servizio per manovrare le locomotive di rinforzo ai pesanti convogli che salivano da Borgo san Lorenzo, prima della galleria. Avvenne così che, a mezza costa nella boscosa valle del Muccione, distante da luoghi abitati, sorse la fermata di Fornello, a circa cinquanta chilometri da Firenze, quasi a metà tra il capoluogo toscano e Faenza.
Nelle prossimità della fermata, fu realizzata anche una cava di pietrisco con piano caricatore, che rimase in uso fino agli anni ’30 del secolo scorso. Si racconta che in essa abbiano lavorato anche prigionieri austriaci, dal 1915.
Dopo l’intenso uso negli anni della guerra fino al 1918, la ferrovia, che pure non ebbe mai una rilevanza pari alla Porrettana, vide le prime automotrici, che iniziavano a ridurre la necessità delle macchine a vapore. Numerose devastazioni colpirono la linea durante la ritirata tedesca del 1944.
La riapertura avvenne nel 1957, anche se il personale di Fornello, insieme ai familiari, rimase alla fermata durante gli anni della ricostruzione.
Un maestro elementare saliva dal fondo della valle per i bambini che abitavano lassù e spesso prodotti di pastori e coltivatori locali erano richiesti dai ferrovieri di passaggio.
L’orario riportò la fermata a Fornello per una decina di anni ancora, fino al 1967. Le locomotive a vapore non erano più usate regolarmente sulla linea e non era quindi più necessario che la fermata fosse presidiata. Gli impianti furono abbandonati e in buona parte rapidamente smantellati.
La vedova di un casellante, conosciuta come la Beppa, rimase invece nella sua abituale residenza, un remoto casello alla confluenza del fosso Acerella nel torrente Muccione, proprio all’imbocco della galleria degli Allocchi, fino al 1979, quando l’amministrazione delle Ferrovie ne decise l’obbligato trasferimento, con grande dispiacere dell’interessata, che non voleva lasciare le ombrose foreste dell’Appennino.
Molte vestigia rimangono però ancor oggi, come il serbatoio idrico e la galleria di servizio, oltre alla piccola ferrovia a scartamento ridotto della cava di pietrisco. Il casello della Beppa è ormai avvolto dai rovi e prossimo al crollo finale.
Fornello è al momento raggiungibile a piedi, con un agevole sentiero dalla frazione di Gattaia, termine della strada asfaltata proveniente da Vicchio, nel cui territorio comunale si trova la valle del Muccione, affluente della Sieve. Il sentiero (n° 56) è stato recentemente mantenuto e consente di raggiungere anche il crinale appenninico lungo la giogaia degli Allocchi.
Le disposizioni attualmente vigenti, sul divieto di spostamento, per il contenimento dell’epidemia di Coronavirus, non consentono una visita a Fornello, fatta probabilmente eccezione per i residenti a Gattaia e dintorni, ma queste non dovrebbero durare per sempre.
Da qualche tempo, con varie iniziative, si susseguono le proposte per un recupero della fermata che interrompa il costante deterioramento del fabbricato principale e magari porti qualche treno a fermarsi nuovamente a Fornello, porta di accesso o tappa intermedia alla rete dei sentieri circostanti e memoria del passato. Per far fermare nuovamente il treno a Fornello, servirebbe una collaborazione tra enti locali, Ferrovie e associazioni, anche se questa prospettiva non pare prossima. Ovviamente, un auspicato recupero dovrebbe tener conto della relativa integrità della valle senza deturpare l’alveo del torrente e i versanti, spesso coltivati a marroneti.
Nell’ottica di diffondere chi visita Firenze sul territorio, uscendo dal centro storico, Fornello, raggiungibile a poco più di un’ora dalla stazione principale del capoluogo, potrebbe esser una importante possibilità in tal senso e poco avrebbe da invidiare ad altre rinomate località simili in Europa e non solo.
Appare però evidente, senza acrimonia alcuna, che, al momento, le decisioni prese dagli enti locali preferiscano favorire spesso gli spostamenti di turisti o gitanti dai centri abitati verso destinazioni come il centro commerciale vicino allo svincolo autostradale di Barberino o quello di Leccio presso Reggello, invece di curarsi di recuperare luoghi come Fornello o il castello di Sammezzano, per citarne un altro, che avrebbero un ruolo non secondario nella storia del territorio e delle comunità.
Ovviamente, queste parole potranno non far molto per Fornello o altri ambienti nelle stesse condizioni ma se saranno riuscite a distogliere, per un momento, lettrici e lettori, da considerazioni stereotipate e vieti cliché, suscitando magari il desiderio di una escursione nella valle del Muccione, avranno già ottenuto un ragionevole risultato.
Immagine di copertina: vagoncini della cava di pietrisco, foto di G. Berti (dettaglio)
Nato nel 1986 a Firenze, mi sono laureato in Lettere nel 2017 e sto proseguendo con Filologia moderna. Nel 2018, ho curato una nuova edizione della raccolta di novelle di Renato Fucini, Le veglie di Neri, recuperando le illustrazioni originali. Sono appassionato di attività all’aria aperta, come escursionismo e ciclismo.