L’effetto Regina Rossa è quel meccanismo per cui, dato un sistema competitivo, un’azione di un membro del sistema genera una reazione, da parte degli altri membri, volta a neutralizzare il vantaggio ottenuto, producendo una corsa sempre più frenetica che in realtà genera solo un enorme spreco di energie e nessun avanzamento relativo.
Se in “Attraverso lo specchio” la Regina Rossa e Alice correndo consumano le loro energie pur restando ferme, la corsa agli armamenti – esempio perfetto di “Corsa della Regina Rossa” -, nel non produrre nessun vantaggio per nessun contendente, scarica i suoi effetti sulla popolazione dell’intero pianeta: consumo di materie prime, inquinamento, spreco di risorse che potrebbero essere usate per risolvere problemi reali, e, infine, l’aumento del rischio di estinzione della razza umana in un ultimo evento bellico non arginabile. Un parossismo, quello del principio di deterrenza, che oramai appare privo di senso anche agli osservatori più distratti, ma che sembra inarrestabile.
Leonardo Croatto
Sul principio di deterrenza, ed in particolare quello di deterrenza nucleare, esiste un’ampia articolistica scientifica. Esistono scuole di pensiero e una divisione in “epoche” nelle quali il pensiero scientifico sul tema si è articolato in correnti, come qualsiasi altro settore della conoscenza umana: dal primo periodo in cui si è strutturato il concetto di deterrenza a seguito dell’invenzione e della diffusione delle armi atomiche, fino al contesto attuale in cui, scomparse le grandi potenze, ci si interroga sul ruolo di attori che non siano formalmente organizzati in stati nazione.
L’idea di caricarsi di armi al fine di scoraggiare attacchi da parte dei vicini non è affatto nuova, ma l’atomica ha determinato uno scenario in cui il potere distruttivo a disposizione di una nazione basta e avanza non solo per fermare l’esercito avversario, ma anche per cancellare dall’esistenza, potenzialmente, tutta la vita sul pianeta in un tempo brevissimo.
La deterrenza consente ai maschi bianchi, non di rado recanti gravi disturbi mentali, a capo delle nazioni del pianeta di rappresentare sul piano della politica tutti i loro squilibri mentali i loro problemi di maturazione nella sfera delle relazioni interpersonali: la deterrenza, per essere efficace, richiede non solo gli strumenti per recare danni incalcolabili, ma una rappresentazione della disponibilità al loro uso. Una postura da bullo di periferia applicata alla geopolitica che si attaglia perfettamente sull’idealtipo del primo ministro di una nazione.
Sulle psicosi di intere nazioni guidate da una classe dirigente perfettamente adeguata al compito di rappresentarle prospera un’intera industria di morte, anche questa in mano quasi esclusivamente a vecchi maschi bianchi sociopatici, che si nutre di una spesa in armamenti in continua crescita.
Viene da chiedersi, dato il contesto, quale sarà (e se mai si attiverà) la dinamica che interromperà questo meccanismo di autocatalisi del disastro, visto che al momento tutte le voci che suggeriscono strade alternative allo sviluppo della società umana sono troppo fioche per essere udite.
Jacopo Vannucchi
Alessandro Zabban
È ormai abbastanza palese che si sia aperta una seconda Guerra Fredda che vede un Occidente in declino cercare di mantenere in ogni modo la sua posizione privilegiata nei rapporti di forza mondiali. L’avversario principale è la Cina, perché unico vero attore globale in grado di scalzare gli Stati Uniti e aprire una nuova fase egemonica (a tal proposito le osservazioni di Giovanni Arrighi risultano ancora illuminanti). La Russia in tutto questo rappresenta il principale alleato del Dragone ed è dunque nel mirino dell’imperialismo occidentale da decenni, cioè da quando si è cominciato a capire che la Federazione Russa, nonostante il crollo del blocco sovietico, non si sarebbe piegata a Washington e avrebbe perseguito i propri interessi nazionali.
Negli ultimi anni si è visto come sia ormai praticamente impossibile isolare la Cina o minacciarla con dazi, sanzioni e altri strumenti di guerra economica senza produrre una crisi globale che si ripercuoterebbe per prima sugli stessi paesi occidentali. Con stupore di Washington e Bruxelles, anche la Russia, nonostante abbia dei fondamentali economici meno robusti della Cina, si sta dimostrando resistente alle pesantissime sanzioni imposte per la guerra in Ucraina.
Quindi che fare? La cosa più sensata (ed eticamente giusta!) sarebbe venire a patti, accettare un sistema multipolare in cui l’Occidente è chiamato ad avere un ruolo sempre importante ma senza i privilegi di cui ha goduto negli ultimi duecento anni. Ma la maggior parte della classe dirigente occidentale preferirebbe l’annientamento nucleare piuttosto che vedere un cinese o un russo come un suo pari. Si tratta di una forma di suprematismo che riporta in auge il mito colonialista della superiorità dell’Occidente e dei suoi valori “democratici”.
Non resta allora che un confronto muscolare con il blocco di Mosca e Pechino ma partendo da una situazione diversa rispetto a quella della Guerra Fredda. A quel tempo, la corsa agli armamenti è stata persa dai sovietici perché non erano economicamente in grado di sostenerne i costi. Oggi invece, con Stati Uniti, Giappone e molti paesi europei enormemente indebitati è possibile e probabile che Pechino possa assolutamente tenere il passo di una escalation negli acquisti e nella produzione bellica. A Washinton questo è abbastanza chiaro e puntano a provocare Mosca e Pechino in un coinvolgimento bellico volto a dissanguarli. L’intervento di Mosca in Ucraina è stata una scelta che Putin poteva evitare ma che sicuramente sarà piaciuta a Washington, che sogna una Russia impantanata in un nuovo Afghanistan. Ma non è detto che ciò accada anche perché l’economia russa, come detto, sta reggendo alle sanzioni e la situazione bellica non appare così butta per i russi (nonostante molti vogliano convincerci del contrario). Allo stesso modo un’invasione della Cina ai danni di Taiwan, darebbe all’Occidente l’occasione di provare a indebolire Pechino, in mancanza di un’altra reale strategia che possa funzionare.
La corsa agli armamenti attuale non è dunque volta a difendere l’Ucraina, attore politico del tutto sacrificabile, ma a indebolire la Russia, dopo averla provocata in una conflitto che comunque poteva evitare. Lo stesso copione è stato scritto per Taiwan, con le continue provocazioni ed esercitazioni che avvengono a pochi chilometri dalla coste cinesi.
Quel che è certo è che l’Occidente non si può più permettere una corsa agli armamenti senza ottenere risultati concreti nell’indebolire gli avversari, sarebbe economicamente insostenibile. Per ora la situazione in Ucraina è fluida, bisognerà capire chi uscirà vincitore da questo braccio di ferro. Ma se la Russia riuscisse a preservare la sua economia e a prendersi ampie zone della Novorussia, si potrebbe aprire una fase di cambiamento epocale nei rapporti di forza globali.
Immagine di By John Tenniel – Алиса в зазеркалье. Оригинальные гравюры Джона Тенниела, Public Domain, commone.wikimedia.org
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.