Cominciamo dalla fine. Nel 2004 Stieg Larsson moriva di infarto a Stoccolma a soli 50 anni. L’anno successivo il mondo conobbe il giallo scandinavo con il primo volume della saga di Millennium: “Uomini che odiano le donne”. Dopo di lui arrivarono maestri come Jo Nesbo, Camilla Lackberg, Lars Kepler e tanti altri che “invasero” le librerie di tutto il mondo. Quei freddi paesi del nord Europa diventarono noti in tutto il globo appassionando oltre 8 milioni di lettori e lettrici. Il motivo di questo fenomeno dilagante era dovuto alla capacità di questi scrittori di far capire che anche i Paesi del nord Europa avevano dei problemi. Nel resto del Vecchio Continente spesso si immaginano la Norvegia, la Danimarca, la Finlandia, la Svezia come all’avanguardia dal punto di vista del welfare, ma anche posti isolati, freddi, irraggiungibili dalle storture dell’animo umano.
In ogni caso questo primo volume, “Uomini che odiano le donne” è stato quel capolavoro capace di fare breccia nel cuore di milioni di persone, pur parlando di temi difficilissimi. Larsson, noto esponente di sinistra, dedicò buona parte della sua vita a studiare le organizzazioni neonaziste del nord Europa. Tutti lo ignoravano, ma aveva ragione lui: fondò la rivista antirazzista “Expo” e si fece instancabile voce contro il rigurgito neofascista e neonazista. Il pericolo che lo scrittore denunciava oggi è sotto gli occhi di tutti. In Germania specialmente oggi la cosa è particolarmente visibile (vedi qui).
All’inizio del film Henrik dice una frase importante a Mikael: “non è interessante come i fascisti rubino sempre la parola libertà?”
In effetti il termine nazista è l’(eccessiva) abbreviazione di una contrapposizione letale tra due termini opposti: nazionalismo e socialismo. Hitler definì i concetti in modo volutamente ambiguo: il nazionalismo è citato come la devozione del singolo per la sua comunità nazionale, mentre il socialismo è descritto come una responsabilità della comunità nazionale per l’individuo.
Durante questi studi, Larsson capì che c’erano delle forti connessioni tra questi movimenti antisemiti e razzisti e la violenza sistematica sulle donne. Già ai tempi di Hitler, le femmine venivano sistematicamente perseguitate perché considerate inferiori e fondamentalmente inutili a livello lavorativo sui carichi pesanti. Servivano essenzialmente esclusivamente per fare ed allevare i figli (rigorosamente ariani) della Nuova Germania. Alle donne tedesche venivano elargiti ricchi premi (la Croce d’Onore) se facevano un alto numero di figli. Se poi si facevano mettere incinta da ufficiali di Gestapo e SS, erano razza ariana purissima. La pratica si chiama eugenetica.
Gli studi intrapresi da Larsson portarono alla stesura del primo libro della saga di “Millennium”: c’è una società “normale”, ricca, civile e progredita, ma resa fragile dall’integralismo religioso cristiano (che pochi osano denunciare), dalla violenza sottorranea di estrazione neofascista e neonazista.
Oggi la deriva sembra inarrestabile: i femminicidi sono in aumento, di pari passo con l’odio. Nell’Italia del 2020 viene uccisa, mediamente, una donna ogni due giorni. Se si guardano i dati mondiali, il tutto appare come un gigantesco genocidio. Anche durante il lockdown, la situazione non è affatto migliorata soprattutto in Toscana e Lazio (leggi qui).
Nel film la violenza non viene usata per intrattenere, ma per mostrare un mondo apparentemente felice che usa la stessa per mantenere questa apparenza. Il successo di questo romanzo portò la sua casa editrice a pubblicare altri due volumi della saga. Più tardi il giornalista David Lagercrantz scrisse altri tre libri riprendendo la saga originale. In ogni caso il piano di Larsson era quello di fare 10 volumi.
Il successo dei romanzi portò gli svedesi a trasporre i volumi sul grande schermo. Il regista danese Oplev fu chiamato a dirigere la prima trilogia (Lisbeth Salander era interpretata da Noomi Rapace). Il successo anche dei film portò alla nascita di una serie tv in 6 puntate.
La cosa fece scalpore e gli americani allora capirono, in ritardo, che dovevano muoversi.
Quasi sempre i remake hollywodiani di film europei sono un disastro (vedere alla voce Quasi amici o Il segreto dei suoi occhi) rispetto agli originali. Questo è uno di quei rari casi dove l’operazione nel complesso funziona meglio del prodotto a cui è ispirato.
Il merito è principalmente del regista David Fincher. In effetti questa pellicola ha diverse analogie con opere come Seven, Fight Club, Zodiac, L’amore bugiardo e The Social Network.
Fincher è sempre più interessato a quel che accade ai protagonisti della caccia più che al suo esito. Tuttavia si capisce perché abbia attratto il regista: personaggi corrotti nell’anima, indagini complicate, una massiccia dose di violenza sono gli ingredienti alla base della storia.
Ma è nei dettagli e nei contrasti che questo film centra maledettamente il bersaglio. È praticamente impossibile fare una sola pellicola su un libro come quello di Larsson. Bisogna per forza concentrarsi su qualcosa, lasciando da parte altri particolari.
Nonostante molte differenze con il romanzo (le principali le potete leggere qui), Fincher denuncia la radicalità politica esibita da Larsson e una rappresentazione della violenza mai fino a sé stessa. Perché non è solo fisica, ma è anche psicologica e/o indotta. Quindi più disturbante. Non a caso la sceneggiatura porta la firma del premio Oscar Steve Zaillian, già collaboratore di Scorsese (The Irishman, Gangs of New York), Spielberg (Schindler’s list) e Ridley Scott (Hannibal, Exodus, American Gangster).
Veniamo alla trama. Siamo nel 2006 in una glaciale Svezia, ricoperta da una spessa coltre bianca. Stoccolma. Mikael Blomkvist (Daniel Craig) è un giornalista di 40 anni che dirige la rivista “Millennium” con l’amante Erika Berger (Robin Wright). Questo giornale indaga su scandali, truffe del mondo politico, finanziario e imprenditoriale. La vita di Blomkvist diventa complicata nel momento in cui accusa l’industriale Wennerstrom di pesanti reati. Purtroppo per lui la causa si conclude con la sua condanna per diffamazione. Mikael è costretto a farsi da parte per non far travolgere “Millennium” dalla sua fama.
Contemporaneamente a Blomkvist, si muovono altri due personaggi. L’ex industriale Henrik Vanger (Christopher Plummer), ormai anziano, vuole scrivere la sua biografia. L’uomo ha un tarlo nella sua testa: vuole risolvere il caso della nipote Harriet che è scomparsa misteriosamente nel 1966. Henrik sospetta che qualcuno della sua ambigua famiglia l’abbia uccisa. D’altronde Henrik avvisa subito Mikael: “ti troverai ad indagare su ladri, avari, prepotenti… La più detestabile collezione di individui che incontrerai mai: la mia famiglia!”
Ciò spinge l’uomo ad ingaggiare Blomkvist per risolvere il caso e per aiutarlo nella stesura del libro. Il giornalista accetta con la promessa di Vanger di ottenere prove importanti per capovolgere l’esito della causa Wennerstrom. Tant’è che la famiglia Vanger decide di finanziare la rivista Millennium per dare maggior peso (anche politico) a Blomkvist.
Quello che Mikael non sa è che una giovane hacker dal carattere schivo e riservato sta indagando segretamente su di lui su richiesta dell’avvocato dei Vanger. Il suo nome è Lisbeth Salander (Rooney Mara), ha 24 anni. Una giovane donna androgina dai capelli neri, piena zeppa di piercing e tatuaggi, dotata di una spiccata memoria fotografica, dal carattere complesso: asociale, introversa, con un passato fatto di violenze, ricoveri e perizie psichiatriche. A 18 anni venne affidata a un tutore. Ma alla morte di quest’uomo, finisce nelle grinfie del sadico avvocato Bjurman che sfrutta la sua posizione per estorcerle favori sessuali.
Mikael si trasferisce sull’isola dove risiedono i Vanger. Attraverso alcuni scritti di Harriet, scopre alcuni efferati omicidi su alcune donne ritenute peccatrici. Il giornalista però ha bisogno di un aiuto nelle indagini. L’avvocato dei Vanger consiglia a Blomkvist il nome di Lisbeth. Così Mikael scopre le competenze e l’abilità della ragazza e le indagini segrete su di lui.
Si instaura un rapporto molto proficuo tra i due: Mikael trova una persona affidabile che l’aiuta, Lisbeth finalmente comprende cosa significa avere accanto una persona che la comprende, che la vede per com’è veramente. Non è il “mostro” esteriore come i più la vedono. Questo è il vero nocciolo del film, la parte più affascinante del racconto. Perché il lettore/spettatore comprenderà le sfaccettature del personaggio della Salander. Se pensate di aver capito tutto, sappiate che rimarrete delusi.
La chiave per convincerla è la violenza sulle donne che accende la rabbia della Salander. Una volta raggiunto Blomkvist, è lei che riesce a capire il nesso tra gli omicidi e queste donne: ogni vittima è contrassegnata da evidenti citazioni bibliche. Una cosa che i poliziotti locali non avevano mai capito. Il che testimonia che questo serial killer non solo odiava il gentil sesso, ma che aveva tendenze antisemite.
Il film rasenta la perfezione a livello di montaggio (premiato con l’Oscar), fotografia e descrizione degli spazi. È un’opera cupa, elegante, fredda come deve essere. Tutto parte ovviamente dai titoli di testa. David Fincher ancora una volta dimostra di non aver rivali. Dopo gli inarrivabili inizi di Fight Club e Seven, stavolta, sulle note di una cover di “The Immigrant song” dei Led Zeppelin, Fincher sforna una sorta di videoclip tutto fuoco, petrolio e antracite per farci capire, in anticipo, gli incubi neri della psiche di Lisbeth Salander (lo potete vedere qui). E poi c’è un cast di attori di gran classe: ci sono i veterani Christopher Plummer (spesso magistrale), Robin Wright e Stellan Skarsgard in ruoli di contorno, mentre i due protagonisti principali sono Daniel “007” Craig (che dopo questo film girerà lo splendido “Skyfall”) e Rooney Mara. I due sono amalgamati molto bene: lui è navigato ed esperto, torbido e ambiguo, lei all’epoca era l’astro nascente, tanto da arrivare alla prima nomination agli Oscar (nella categoria miglior attrice protagonista vinse, tanto per cambiare, Meryl Streep per l’interpretazione della Tatcher in “The Iron Lady”). Dopo esser stata lanciata proprio da Fincher nella scena di apertura di “The social network”, Rooney Mara è una Lisbeth Salander più sessuale che asessuata, più femminile che maschile (rispetto al libro chiaramente), ambigua, forte, ma allo stesso tempo fragile e vulnerabile. In tal senso una delle cose migliori del film è il finale che è in piena sintonia con l’idea che il romanzo vuole trasmettere. Per entrare nella parte l’attrice ha rivestito il suo corpo di tatuaggi e veri piercing, oltre a un corposo make up (notare in particolar modo le sopracciglia e gli occhi).
L’interpretazione e la fisicità di Noomi Rapace nella trilogia svedese originale è più vicina alla descrizione del libro, ma questa versione di Rooney Mara (prova maiuscola ed eccelsa la sua) è migliore perchè caratterialmente l’attrice americana è schiva, introversa, ma decisa e combattiva. Così come il suo personaggio (potete vedere l’intervista qui).
Larsson nel delineare il personaggio è partito da Pippi Calzelunghe, di cui era appassionato, per poi metterci dentro tanto del suo carattere ribelle, di ricercatore instancabile. Lisbeth Salander è diventata un’icona, un’eroina per le donne e le ragazze ribelli. Tant’è che nel 2018 la Sony ha cercato di usare ancora il personaggio nella trasposizione di “Quello che non uccide” di Lagercrantz con Claire Foy assoluta protagonista della pellicola (trovate qui la recensione). La regia fu affidata a Fede Alvarez, ma l’operazione nel complesso non era particolarmente efficace. Il personaggio di Blomkvist, ad esempio, non contava quasi nulla, la Salander sembrava una sorta di Batgirl più che un hacker.
Credo fermamente che “Uomini che odiano le donne” di Fincher sia un’opera imperfetta (se la confrontiamo con il romanzo), ma sicuramente fedele al messaggio che Stieg Larsson voleva trasmettere. Le 2 ore e 40 minuti di durata non devono spaventare perché è proprio nella costruzione dell’atmosfera, nel ritmo serrato e nella parte finale che il film trova le sue parti più riuscite ed efficaci.
Fonti: Mymovies, Comingsoon, Cinematographe, Ondacinema, Repubblica, Sentieri selvaggi
MILLENNIUM – UOMINI CHE ODIANO LE DONNE ****
(USA, Svezia, Regno Unito, Canada, Germania 2011)
Genere: Noir, Thriller, Drammatico
Regia: David Fincher
Sceneggiatura: Steven Zaillian
Fotografia: Jeff Cronenewelth
Cast: Daniel CRAIG, Rooney Mara, Christopher Plummer, Stellan Skasgard, Robin Wright, Joel Kinnaman
Durata: 2h e 40 minuti
Vincitore di 1 Premio Oscar 2012 per miglior montaggio
Prodotto e distribuito da MGM e Sony Pictures
Budget: 100 milioni di dollari
Intervista a David Fincher e Rooney Mara qui
Trailer italiano qui
La frase: Non è interessante come i fascisti rubino sempre la parola libertà?
Regia ***** Interpretazioni ****1/2 Musica **** Sceneggiatura ****
Fotografia ****1/2
Immagine da www.stancedicinema.com
Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant’altro.
Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.
Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.