«Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha annunciato in conferenza stampa le misure per il contenimento dell’emergenza Covid-19 nella cosiddetta “fase due”» durante una conferenza stampa del 26 aprile. Il passaggio è stato oggetto di forti critiche, a partire da una presunta scarsa chiarezza, su cui è stata fatta anche molta ironia (sia sui social, che nelle trasmissioni televisive e radiofoniche). La cosiddetta fase 2 si caratterizza anche per una ripresa conflittualità tra Stato e Regioni, oltre che per alcune dure critiche espresse dalle opposizioni in Parlamento, accompagnate da voci critiche all’interno della maggioranza. Si può parlare comunque di incertezza per l’immediato futuro. Su questa situazione ci confrontiamo nella nostra rubrica settimanale a più mani.
Piergiorgio Desantis
“Bisogna avere ben presente che quella che sta iniziando è la stagione dei doveri e dei sacrifici, per tutti”. Così il nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi, in un’intervista del 4 maggio al Corriere della Sera, vede le modalità del dispiegarsi della fase 2. Dopo oltre trent’anni di moderazione salariale e di riduzione dei diritti per il mondo dei lavoratori, si richiedono ulteriori sacrifici a chi ha continuato a lavorare nonostante pandemia.
Addirittura si chiede da parte datoriale anche la deroga alla contrattazione nazionale per avere piena libertà di orari e ulteriore flessibilità. Si individua, soprattutto, quale sarà il prossimo obiettivo da smontare: il contratto collettivo nazionale.
L’aggressività di Confindustria è massima contro questo governo, reo di aver bloccato per esempio i licenziamenti, arrivando a opporsi anche a ogni tipo di intervento dello Stato come attore e creatore di lavoro e di politica industriale: “Non abbiamo bisogno di uno Stato imprenditore – dice Bonomi – ne conosciamo fin troppo bene i difetti”. Una visione puramente liberista continua a aggirarsi dalle parti di viale dell’Astronomia, purtroppo. Dense nubi si accumulano sulle teste dei lavoratori italiani se non ci sarà un risveglio delle coscienze.
È urgente una presa d’atto della necessità di praticare spazi di dibattito e di conflitto attraverso le modalità previste dalla Costituzione italiana. Senza tutto ciò, probabilmente da questa pandemia si uscirà con un mondo del lavoro ulteriormente ridotto sia sotto l’aspetto dei diritti che quello dei salari.
Dmitrij Palagi
il manifesto, quotidiano comunista, ha pubblicato un appello a sostegno dell’attuale governo italiano, il Primo Maggio. Due giorni dopo un editoriale della direttrice ha rivendicato questo testo. La continuità dell’attuale esecutivo pare essere vista in modo positivo da chi si ostina a definirsi di sinistra nel 2020, in Italia.
In effetti Liberi e Uguali non solo fa parte del Governo, ma esprime il Ministro della Salute. Si aggiunga come il Movimento 5 Stelle, negli anni, si sia caratterizzato nelle sue proposte all’elettorato, come una forza politica attendo alla democrazia e alle istituzioni. Diventa quindi strano affermare come larga parte della confusione legata alla cosiddetta fase 2 sia da attribuire alla scarsa discussione pubblica relativamente alle nostre società. Si è chiesto a una parte maggioritaria delle persone di restare a casa per quasi due mesi, individuando settori specifici ritenuti essenziali (o indicati come tali da parte delle imprese).
Ora nessuno ha bene idea di come si andrà avanti. I comportamenti individuali non si possono normare, al tempo stesso la pandemia ha reso necessario definire nuovi limiti alle libertà delle persone. Il contesto non è inedito in astratto, ma certamente le nostre società contemporanee si trovano ad affrontare concretamente situazioni nuove. Purtroppo non esistono adeguati spazi collettivi in cui confrontarsi.
Il ricatto dell’economia sembra strozzare la possibilità di prendere in considerazioni quali sono le reali esigenze delle nostre vite. Non intendendole semplicemente come attività primarie finalizzate alla sopravvivenza. Quali sono le necessità nel presente? Non basta rispondere a questo ovviamente. Definito di cosa abbiamo bisogno, si dovrebbe dire anche come si fa a soddisfare quel bisogno. Il mercato è l’unica dimensione in cui immaginarsi il nostro futuro?
In questi due mesi poco si è riusciti a discutere di questo. Più facile arrovellarsi su cosa sia un affetto stabile… Questa fase 2 probabilmente può essere raccontata così: si ricomincia a uscire e a lavorare, tenendo però la maggior parte dei negozi chiusi, riducendo le occasioni di incontro e confronto al di fuori del lavoro e di una visione abbastanza conservatrice delle relazioni umane. Vediamo come va, incrociando le dita, perché tutto possa tornare come prima, con qualche debito in più, ma senza aver messo in discussione i paradigmi.
Alla sinistra rimarrebbe di chiedere un po’ di investimenti pubblici in più e l’illusione di poter ricostruire lo “stato sociale” attaccato negli ultimi decenni…
Jacopo Vannucchi
Nelle ultime settimane le accuse alla Cina sono tornate a crescere, tanto che adesso la supposta colpa non è più quella di aver nascosto la pericolosità del SARS-CoV-2, ma di averlo addirittura lasciato involontariamente fuggire da un laboratorio di virologia.
Tornano alla mente le polemiche che si ebbero, quasi fin dall’inizio in Occidente o almeno in Italia, sull’attendibilità della curva del contagio cinese e dei numeri contenuti dell’epidemia (si parlava, all’epoca, di 80.000 contagiati su 1.300.000.000 persone). Personalmente appartengo alla schiera di chi ritiene quei numeri veritieri, per due motivi. In primo luogo, essendo la Cina il luogo in cui il nuovo coronavirus è stato per la prima volta identificato come tale, è evidente che una serie di casi pregressi possano essere sfuggiti e derubricati a polmoniti o influenze. (Riguardo le difficoltà di queste prime diagnosi un articolo su TPI qui) In secondo luogo, una volta individuata la novità dell’agente patogeno, la Cina ha disposto misure di sicurezza draconiane, assai più stringenti di quelle italiane, e messo in campo uno sforzo collettivo ineguagliato.
Il contagio è ancora tra noi e ci resterà ancora per tempo, anche se è ragionevole immaginare che le campagne di vaccinazione velocizzeranno la naturale tendenza dei virus a indebolirsi nel tempo (per il semplice motivo che le mutazioni più aggressive rallentano la mobilità del malato, o addirittura lo uccidono, all’inverso di quelle più blande che hanno quindi una più facile diffusione). Sotto l’aspetto sanitario resta dunque fondamentale la capacità della popolazione di seguire le regole e disciplinarsi. Se sarà mantenuto l’impegno della “fase 1” si potrà scongiurare l’arrivo del contagio in numeri troppo alti nelle regioni con servizio sanitario più debole.
Sotto l’aspetto economico, nessuna discussione sulla “fase 2” può essere fatta seriamente se non riferita a un orizzonte europeo. L’Europa era già avviata a un destino di deindustrializzazione e declino del tenore di vita, così come il mondo già correva verso una nuova recessione. Il Covid-19 ha soltanto accelerato questi processi. Oggi come prima, per risollevare le sorti dell’Europa serve una forte mobilitazione di capitali pubblici.
C’è un grande assente sanitario, ossia la presenza di un corpus di dati che, necessariamente, potrà essere considerato organico solo a conclusione della pandemia (e non il giorno dopo, ma anni dopo). Ma a maggior ragione se dovesse confermarsi l’ipotesi che il Covid-19 sia talmente contagioso da avere una mortalità di fatto molto bassa (si veda un articolo su la Stampa qui), la principale preoccupazione dovrebbe essere la ricostruzione economica.
Al Senato degli Stati Uniti i democratici bloccarono per diversi giorni il piano proposto dai repubblicani, accusandolo di assomigliare troppo a quello del 2008 basato di fatto sul principio di socializzazione delle perdite fermi restando i profitti privati. In Europa, oggi come nel 2011-12 molti Stati rischiano di farsi azzannare alla gola dalla grande speculazione e come nel 2011-12 dovranno difendersi. Questa difesa, però, oggi non potrà certo andare esente da una spiccata connotazione nel senso della giustizia sociale.
Alessandro Zabban
Inizia una fase due all’insegna della totale incertezza sullo sfondo di uno scontro politico poco edificante fra i paladini della prudenza e gli invasati delle riaperture. Al di là delle differenze di facciata, viene condiviso da quasi tutto lo spettro politico un approccio consuetudinario, fondato sull’ortodossia politica ed economica.
Nessuno si aspetta rivoluzioni in un momento in cui c’è più che altro da occuparsi dei problemi nel breve termine ma preoccupa il fatto che non si cominci a porre la questione se l’Italia possa, con le regole del gioco a cui siamo abituati, realmente riprendersi all’indomani della fine dell’emergenza sanitaria.
Con un debito pubblico fuori controllo, con la chiusure di molte imprese, con la produzione industriale a picco, con il turismo, settore per noi essenziale, in uno stato di crisi di cui non si intravede la fine, con un difficilmente evitabile incremento di disoccupati e diminuzione dei consumi, possiamo veramente pensare di poterne uscire senza strumenti di politica economica radicali?
Non occorre essere antieuropeisti per affermare che non ci si possa aspettare un salvifico piano Marshall da parte di Bruxelles. La sensazione è che se non si cambiano le regole del gioco la sconfitta sarà molto peggiore di quella subita dalla Grecia lo scorso decennio.
Immagine da pxhere.com
Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
A volta sono otto, altre dodici (le mani dietro agli articoli): ci teniamo elastici.