Il Movimento 5 Stelle, con tutte le scelte che ha preso nel tempo (dai meet-up ai Vaffa day, dalla candidatura di Grillo alla segreteria del Pd al partito di governo con la Lega) incarna, più di tutti gli altri soggetti politici, il partito dell’evoluzione del sistema soprannominato “Terza Repubblica” (vera o presunta che sia). Dopo appena un anno di governo, tra difficoltà crescenti e obiettivi raggiunti, proviamo a fare il punto dell’evoluzione di questo modello.
Piergiorgio Desantis
Il Movimento 5 Stelle rappresenta il partito politico di più recente formazione (opera della Casaleggio associati) e quello che si definisce né di destra né di sinistra (in passato chi si era autodefinito così era durato abbastanza poco, vedi Giannini e Uomo Qualunque). C’è chi lo considera come un movimento di centro (e in effetti, non mi pare di dargli troppo torto, viste le varie prese di posizione), di certo gli esiti del governo sono stati per il momento catastrofici per la tenuta di questa forza politica.
Vedendoli all’opera tra ministeri e sottoministeri si capisce che è completamente assente una classe e una formazione politica; pertanto, probabilmente, li vedremo sempre più arrancare in un’impresa per niente semplice. Hanno compiuto alcune azioni positive (legge anticorruzione e firma del memorandum sulla Via della Seta per esempio) ma hanno sconfessato battaglie storiche (dal voto sull’immunità a Salvini, al voto sulla Tap e l’infinita querelle sulla Tav); purtuttavia l’immagine che ne viene fuori è essere al rimorchio di Salvini e della Lega. Forse, subito dopo le elezioni europee, sarebbe necessario per loro, aprire una fase di riflessione ma, probabilmente, non ci sarà spazio anche perché loro votano (e non discutono) sulla piattaforma Russeau.
Alex Marsaglia
Si sono scritte migliaia di pagine sul Movimento 5 Stelle, ma devo dire che il nodo centrale non è ancora sciolto. Solo i fatti ci diranno che fine farà quella larghissima fetta di elettorato, quasi il 33% degli elettori, che schiacciati dalla pauperizzazione e delusi dalle politiche delle convergenze parallele di destra e sinistra si sono affidati alla speranza di una nuova organizzazione politica, rendendola la prima in numero di consensi.
Che il Movimento stia arrivando a una precoce implosione mi sembra quasi scontato vista la forzatura fatta per la formazione del Governo. Intendiamoci subito, è un bene che vi sia stata tale forzatura altrimenti saremmo finiti sotto la scure dell’ennesimo Governo tecnico, ma purtroppo l’elettorato pentastellato sembra averla presa piuttosto male. La scalata nel numero di consensi dal 2009 ad oggi pare arrestarsi e visti i compromessi attuati per portare a casa norme indispensabili per arginare la rovinosa situazione sociale del Paese, pare che si assisterà al primo arretramento del M5S. Riuscirà il Movimento a reggere a questa prima crisi che sembra preconizzarsi? E in tal caso le fasce sociali che si sono affidate al M5S dove ripiegheranno?
Credo che una parziale risposta l’abbia fornita proprio Veltroni, affermando come si ritornerà probabilmente allo scontro tra centrodestra e centrosinistra. Sembra una risposta ovvia, in caso di implosione del movimento che si definiva come oltre la destra e la sinistra, ma tanto ovvia non è in caso di fallimento totale nelle ipotesi di ricostruzione del centrosinistra. La Lega è lì pronta a fare incetta dei consensi fuoriusciti dal M5S essendosi rifatta il trucco accreditandosi come nuovo partito populista.
Dmitrij Palagi
Pensare il Movimento 5 Stelle senza uno sguardo complessivo al sistema ha senso? La forma di un’organizzazione di opinione chiaramente non misura i problemi classici dei partiti. Quale segretario dovrebbe dimettersi, dove si può discutere l’impianto generale di una realtà priva di uno statuto interno? In passato sono molte le realtà salite al governo e poi scomparse. L’Italia dei Valori giace tra le materie della Lista Ingroia e i frammenti dell’implosione della Sinistra Arcobaleno vagano nella galassia, aggregandosi casualmente peer poi frantumarsi nuovamente. La Lega si è rilanciata mutandosi in maniera rilevante e la Forza Italia di oggi non ha niente a che vedere con chi è cresciuto conoscendola tra gli anni ’90 e 2000. In più stiamo parlando di un Movimento da sempre debole sulla tornata amministrative, con rilevanti eccezioni. La stessa Lega fatica a proporre in molti territori candidature credibili, che non siano riciclate da altri percorsi. Il Partito Democratico sta provando a inglobare qualcosa di quel che era di Liberi e Uguali, mentre non si capisce bene chi dovrebbe raccogliere i delusi pentastellati, nell’assenza generale di progettualità. Alla fine a chi interessa davvero come potrà andare il Movimento di Grillo? Quali sono i loro obiettivi? Probabilmente una loro prima fase si sta esaurendo. Che si rinnovi o che finisca, il punto rimane: quale è l’alternativa?
Jacopo Vannucchi
Esattamente un anno fa commentammo sul Dieci mani la saldatura M5S-destra per l’elezione dei Presidenti delle Camere.
Scrivevo all’epoca: «Simili manovre, che preparano un nuovo possente blocco reazionario delle classi abbienti, non costituiscono né un’evoluzione né una mutazione del M5S. Ne sono anzi il più conseguente sviluppo, l’unico possibile, talmente scontato da risultare noioso sotto uno sguardo puramente accademico».
Un giudizio che non posso che confermare.
Il modo in cui il blocco reazionario italiano risponde ai pericoli di svolta progressista è una costante da cento anni. Quando la vecchia classe dirigente è caduta in generale discredito, o addirittura disprezzo, i ceti dirigenti, per evitare l’affermarsi egemonico di un’alleanza progressista, seguono sempre la medesima strada. Prima mandano avanti elementi populisti, che diffondono con una mano demagogia sociale e con l’altra odio verso le sinistre. Poi, una volta che questa forza populista ha eroso consensi a sinistra e si è incuneata tra i progressisti e il potere, la integrano in una forza integralmente reazionaria che dovrebbe svolgere le funzioni di partito unico della borghesia.
Così abbiamo “fascismo-movimento” e “fascismo-regime” dopo il 1919, Uomo qualunque e centrismo Dc dopo il 1945, Lega Nord e Polo delle Libertà dopo il 1992, Movimento 5 Stelle e “Governo del cambiamento” dopo il 2011.
(Sia notato incidentalmente, non tutti i tentativi della fase-regime hanno avuto analogo successo; in particolare dopo il 1945 non si rivelò possibile né mantenere la monarchia né restaurare un sistema di tipo fascista o franchista.)
Sarebbe perciò strabico, a mio parere, condurre soltanto un’analisi del declino del M5S e non anche un’analisi del blocco M5S-Lega, o M5S-destra. Le intenzioni di voto alla coalizione di governo raccolgono tra il 50 e il 55% e quelle per il blocco M5S-destra restano attorno al 70%. Entrambi i dati sono inferiori di non più di 5 punti rispetto al giugno 2018 (insediamento dell’esecutivo Conte).
Questo nuovo tentativo egemonico del blocco reazionario è stato per qualche anno arrestato dalla vicenda del Governo Renzi, che anzi sembrò ribaltare i rapporti di forza (per la prima volta fu il centrosinistra l’area sottovalutata negli exit poll – segno di una presa tra gli elettori più antipolitici e qualunquisti: come disse un mio amico, “il voto della bestia è come il terremoto; quel voto ora è con noi”).
Arenatosi il tentativo Renzi, la reazione è tornata alla carica e compie oggi le proprie vendette. La “sinistra” del M5S delle origini farà la fine che già fecero le sue predecessore: o non è mai esistita (Uq), o accetterà di farsi integrare a destra (es. Maroni), o verrà emarginata in cagnolinesche posizioni di costume (es. Bombacci).fsfs
Alessandro Zabban
Si potrebbero scrivere pagine intere sull’inconsistenza dei 5 Stelle, sul loro essere un movimento di protesta in grado di incanalare qualsiasi forma di malcontento ma quasi del tutto impreparati a trovare una sintesi coerente che possa orientare una buona politica di governo. Con le idee confuse e con l’esigenza di accontentare un elettorato del tutto eterogeneo, la capacità di incidere sulla realtà e dare risposte concrete alla rabbia e frustrazione del popolo si assottigliano in maniera drammatica. E così le enormi speranze che molti avevano riposto nel Movimento si sono rapidamente trasformate in delusione e disillusione.
Disastrosi sul piano ambientale, pasticcioni sulle politiche sociali, in balìa della Lega sul tema della sicurezza e dell’immigrazione, inconcludenti sul versante delle scelte di politica economica, i 5 Stelle hanno persino dimostrato di non essere mediamente più “onesti” di quelli che hanno sempre criticato.
Molti gioiranno di fronte a questo fallimento annunciato, molti non faranno mancare la loro risatina di scherno, molti diranno che per governare bene ci vogliono le competenze. Ma cosa hanno prodotto decenni di politiche “ragionevoli”, “equilibrate”, rispettose dei diritti “liberali”, fatte da persone “competenti” e non da questi sporchi populisti, straccioni, ciarlatani, plebaglia? I risultati sono sotto gli occhi di tutti. La realtà è che non siamo solo sul baratro economico ma siamo al collasso civile, culturale, sociale. Di fronte a tutto questo, il disprezzo del benpensante di destra o di sinistra per la massa di elettori che si sono recati alle urne per –a loro dire – elemosinare un reddito minimo perché non vogliono lavorare, risulta raccapricciante.
Questi intellettuali forse penseranno che gli elettori delusi del 5 Stelle, come di altri partiti di protesta in Europa, torneranno all’ovile dei partiti tradizionali. Si rischia invece che il malcontento generalizzato alimenti forze ancora più pericolose o sfoci in una conflittualità sociale disordinata, in una guerra fra poveri autolesionista e distruttiva, almeno fino a quando la sinistra continuerà a guardare una massa enorme di disperati con il solito disprezzo e disgusto.
Rispetto all’ordoliberismo atlantista ed europeista, il 5 Stelle ha provato almeno a fare qualcosa per dare sollievo al ceto medio impoverito e al sottoproletariato giovanile con il reddito di cittadinanza (misura pastrocchiata, ma meglio di niente), ha rimesso dopo decenni al centro della discussione pubblica il tema delle nazionalizzazioni (in maniera inconcludente, certo ma sempre meglio di chi non ci ha nemmeno voluto provare), ha ridato un barlume di dignità internazionale all’Italia rifiutandosi di riconoscere l’impostore Guidó e firmando uno storico memorandum con la Cina, nonostante le vergognose ingerenze francesi e americane. Poco, pochissimo, soprattutto se paragonate alle leggi vergognose che invece hanno fatto passare, in primis il Decreto Sicurezza, ma sicuramente meglio di un Salvini che si presenta come sovranista e poi si dimostra il servo più miserabile degli Stati Uniti, e non certo peggio di un PD che critica da destra il governo sul reddito di cittadinanza, sul salario minimo, sulle nazionalizzazioni o sul Venezuela. Piuttosto che lo scherno (il bullismo e l’accanimento nei confronti di Toninelli non mostrano più maturità politica di un “Vaffa day”) e la spocchia, la sinistra dovrebbe piuttosto riflettere su cosa significhi agire e provare a cambiare la società in un sistema globalizzato totalizzante che accetta solo la legge del libero mercato.
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Ogni martedì, dieci mani, di cinque autori de Il Becco, che partono da punti di vista diversi, attorno al “tema della settimana”. Una sorta di editoriale collettivo, dove non si ricerca la sintesi o lo scontro, ma un confronto (possibilmente interessante e utile).
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